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Napolitano commemora i caduti di El Alamein

Publie le sabato 25 ottobre 2008 par Open-Publishing
3 commenti

Napolitano, che dovrebbe sempre rappresentare TUTTO il Paese, è volato oggi ad El Alamein, in Egitto, per le celebrazioni ufficiali dell’anniversario della famosa battaglia del 1942.
Nonostante i contorsionismi verbali, è un fatto che Napolitano oggi ha reso omaggio al sacrario dei caduti della guerra nazifascista insieme a uno sparuto gruppo di reduci-nostalgici e di rottami filofascisti capitanati dal ministro della difesa camerata La Russa.

Il nostro amato Presidente si è esibito in un discorso-minestrone, un vero capolavoro di cerchiobottismo pilatesco a cui ormai ci ha da tempo abituato.
Ed è così che, pur condannando il nazifascismo, è riuscito nello stesso tempo a sostenere che la sconfitta di El Alamein “non ha gettato alcuna ombra sui valori di lealtà e di eroismo dei combattenti italiani o tedeschi”.
Ha poi reso omaggio alle “alte virtù morali e alle straordinarie doti di coraggio di cui decine e decine di migliaia di uomini diedero qui incontestabile prova. Tutti furono guidati dal sentimento nazionale e dall’amor di Patria…”

Ma non basta. Il buon Napolitano ha avuto anche la faccia tosta di esaltare la partecipazione italiana attuale alle missioni internazionali di guerra, affermando che esse esprimono “quella stessa carica di lealtà, di coraggio e di umanità che contraddistinse tutti i nostri Corpi e reparti a El Alamein”.

Viene da chiedersi se questo sia realmente il Presidente della Repubblica nata dalla Resistenza antifascista ovvero il presidente della Folgore guerrafondaia che , nelle stesse ore, patrocinava a Livorno un’analoga commemorazione, nonostante le proteste dei compagni antifascisti livornesi.
Alla squallida celebrazione di Livorno ha partecipato il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, il quale ha ricordato come “quando l’Italia chiama, la Folgore sia sempre pronta a rispondere”…

Messaggi

  • La Folgore, insieme alle autorità locali, festeggiano ogni anno a Livorno una battaglia combattuta (e persa) a fianco di Hitler

    La Campagna del Nord Africa, conosciuta anche come Guerra nel Deserto, si riferisce ad un teatro di guerra in cui si confrontarono italo-tedeschi da una parte e Alleati dall’altra tra il 1940 e il 1943.
    L’esercito italiano in Libia, forte di 200mila uomini, ma del tutto impreparato ad una guerra moderna, aveva invaso, nel settembre del 1940, l’Egitto, difeso da 30mila soldati inglesi, con lo scopo di impossessarsi del canale di Suez. Dopo qualche successo iniziale nel dicembre dello stesso anno gli inglesi iniziarono la loro controffensiva.
    Quando Mussolini chiese aiuto ad Hitler, la Germania inviò alcuni reparti della Luftwaffe e l’Afrika Korps con al comando di Erwin Rommel, che sarebbe divenuto celebre come la Volpe del deserto. Dopo una serie di offensive in Libia e in Egitto, la decisiva vittoria di El Alamein costrinse le forze italo-tedesche ad abbandonare la Libia e ad attestarsi in Tunisia.

    L’asse italo-tedesco poteva contare su 80mila uomini, 200 carri armati e 345 aerei, mentre gli inglesi, guidati da Montgomery, potevano schierare 230mila uomini, mille carrarmati e altrettanti aerei. Il piano di Montgomery consisteva nel fingere un attacco a sud , dove c’era il reparto della Folgore per poi invece concentrare le forze a nord senza farsene accorgere (per quasto piano ingaggiò uno sceneggiatore, Barkas, e un illusionista, Maskelyne, che dovevano mimetizzare le forze concentrate a nord). L’avanzata inglese fu netta ma Hitler ordinò la resistenza ad oltranza fino alla morte. Rommel lo accontentò ma dopo pochi giorni dovette ripiegare con soli 30 carrarmati e pochissima benzina, tuttavia riuscì a non farsi accerchiare. Quando però sbarcarono anche 100.000 americani per l’esercito dell’Asse non ci fu più niente da fare.
    In questo contesto i paracadutisti della Folgore impegnarono e resistettero per 13 giorni al 13° Corpo d’Armata Inglese che a sud doveva fingere l’attacco mentre invece dovette impegnarsi fino alla fine in una dura battaglia. I Parà italiani erano partiti in 5.000 e si arresero in 304 con l’onore delle armi.

    Al di là della cronaca militare quello che noi ci chiediamo è perché nella nostra città, ogni anno, si debba festeggiare coloro che combatterono al fianco di Hitler in una campagna di aggressione al nord Africa.
    Il comportamento che l’esercito italiano tenne in quelle zone dal 1911 al 1943 dovrebbe essere fonte di vergogna e non di onore.
    L’unica cosa certa è che la presenza italiana in Libia, caratterizzata da massacri di civili, deportazioni in campo di concentramento, bombardamenti indiscriminati verso la popolazione civile, parla di un vero e proprio genocidio di 500mila persone.
    Sono proprio questi 30 anni di massacri che la valorosa Folgore si vanta di aver difeso, in nome della Patria e dell’alleanza Mussolini-Hitler.

    Tutto ciò senza contare che in occasione della ricorrenza di El Alamein la città si riempie di giovani ex parà o nostalgici combattenti che fanno il viottolo in Piazza XX Settembre a comprare baschi con il teschio e magliette della X MAS fascista.
    L’anno scorso, infatti, proprio un gruppetto di ex parà di Verona con tanto di magliette con celtiche e simboli fascisti vari, si scontrò con un gruppo di livornesi dopo essere stato protagonista di varie provocazioni proprio nella zona di Piazza XX Settembre.
    Sorprende, inoltre, l’enfasi con cui il sindaco Cosimi ogni anno ricorda questa ricorrenza. Commemorare una guerra è già un errore, lo è ancor più quando il ruolo avuto nella guerra in questione è quello di aggressori e per di più senza alcun risultato.
    Quest’anno state a casa, non c’è niente da festeggiare.

    Franco Marino (Senza Soste)

    I DATI

    • El Alamein (Egitto, a 100 km da Alessandria).
    • Data: 23 ottobre – 4 novembre 1942.
    • Eserciti: Inglese contro Italo-tedesco.
    • Contesto: seconda guerra mondiale, campagna del Nord-Africa

    • Le grandi celebrazioni diventano retoriche e patetiche quando non si contestualizzano i fatti. Ma perché si trovavano lì i nostri ragazzi!?
      Non dovevano certo difendere la propria patria dal nemico, loro…
      Loro che non sapevano nemmeno di imperi e colonie e le ultime battaglie che conoscevano erano state quelle per la liberazione della propria terra.
      Male equipaggiati, reclutati alla rinfusa fra ceti sociali deboli ignoranti ma prolifici di carne da macello, partirono per un posto lontano in una terra innominabile EL ALAMEIN ….

      Eroi per forza… eroi per caso…. Ma oggi c’è bisogno anche di loro per rispolverare la grandezza di un mito che illuse ed illude, ma soprattutto evoca… la forza, la prepotenza, l’arroganza della guerra di conquista; quel colonialismo becero, per l’Italia, che non ne ricavò che infamia e debiti da pagare in cambio di enormi sacrifici umani e di tanto male arrecato al continente africano insieme ad altri paesi occidentali.

      Non c’è niente da festeggiare. Anche quei ragazzi che partirono e morirono per un posto lontano ed innominabile non saprebbero perché, dopo tanta fame, sete, paura, morte, ora qualcuno dice che sono stati degli eroi e lo stesso qualcuno ( vedi Berlusconi), pochi giorni prima è andato a scusarsi ( con Gheddafi), per quello che loro hanno fatto nello stesso continente, con le stesse motivazioni di conquista.
      Ci sarebbe da impazzire se non fossero già morti!!…….
      Ma quest’anno alle fanfare celebrative degli eroi di EL ALAMEIN a Livorno qualcuno darà la grande notizia:- L’Egitto ha deciso di donar all’Italia una porzione del suo territorio…. Quella dove sorge il mausoleo degli "eroi" di EL ALAMEIN….- Se non altro adesso gli Italiani, da quelle parti, avranno una "proprietà", ce la siamo proprio "conquistata"!
      Ancora, dall’"Africa selvaggia" ci arrivano delle lezioni di vita che hanno , per qualcuno , l’intenso sapore della beffa.
      Chissà cosa ne penserebbero quei poveri ragazzi mandati a morire chissà come … chissà dove… chissà perché…

      Morale della favola.
      Più che festeggiare, s’impone di ricordare con serietà e cordoglio le troppe tragedie in cui il fascismo ha trascinato il nostro popolo. Avendo nel cuore i tanti trucidati, in Africa come in Jugoslavia, dalla furia criminale dei gerarchi fascisti e quanti, al lugubre grido di "o vincere o morire" furono costretti, loro malgrado, a dover morire, non potendo vincere.
      Quella di El Alamein, come altre sconfitte, ha permesso al nostro paese di voltare pagina e, con la Resistenza antifascista e la Liberazione, di cominciare finalmente a scriverne una di riscatto, pace e democrazia.

      Secondo aspetto. Livorno è una città che, in coerenza con il dettato costituzionale, ripudia la guerra.
      Come sa benissimo chi è chiamato a farla, la guerra è la massima espressione della violenza, della sofferenza e della morte che colpiscono, in principal modo, le popolazioni civili.
      Sarebbe un atto di rispetto per questa sensibilità dei livornesi se sabato non si assistesse alla esposizione di strumenti e tecnologie di morte che inducono la popolazione a "familiarizzare" con la guerra e ad accettarla come un’inevitabile necessità. In questo dovrebbe dimostrare un impegno anche il Comune, sempre attento nella lotta ad ogni forma e cultura di violenza.

      Livorno, 24 ottobre 2008

      Partito della Rifondazione Comunista
      Federazione Livornese

    • Non penso che, nel caso di El Alamein, il fatto di ricordare le gesta della Folgore, della Trieste, dell’Ariete o della Pavia sia un omaggio a quelle cose becere, oscene ed infanganti per l’Italia che furono fascismo e colonialismo.

      In tutto cio’ vi è piuttosto una vistosa sindrome che definirei di "Fort Alamo".

      Quando un gruppo di uomini si difende ad oltranza di fronte a un avversario di gran lunga superiore in tutti i settori (mezzi, uomini, approvigionamento), questi non puo’ che suscitare una forma di ammirazione che finisce col travalicare credo politico e giudizi storici (come, per esempio, nel caso di quei 120 uomini della Legione Straniera che nel 1866 resistettero 48 ore all’assedio di 600 Messicani, facendosi sterminare fino all’ultimo).

      Non penso che gli Inglesi fossero soliti rendere l’onore delle armi ad ogni reparto italiano fatto prigioniero; e comunque, 300 "supersititi" su 5000 è un dato che la dice assai lunga sul coraggio che quegli uomini dimostrarono, anche se questi fu messo al servizio di odiose ideologie e concetti truffaldini come la "patria", cosa che non bisognerebbe MAI dimenticarsi di ricordare al contempo (ma non è il ruolo di un presidente della repubblica, lo ammetto...).

      Brunz