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Nè Peter Pan, nè Robin Hood: Michele de Palma sugli espropri (e altri)

Publie le domenica 14 novembre 2004 par Open-Publishing

di Michele de Palma, coordinatore nazionale dei/delle Giovani Comunisti/e

Ci sono cifre che nella tempesta d’inchiostro scatenatasi dopo la giornata di mobilitazione del 6 novembre non si vedono. Quanti sono nel nostro paese i precari? A che vita sono costretti? Ve lo dico io: 7 milioni di donne e uomini vivono nella più totale incertezza sul proprio futuro. Circa 3 milioni tirano avanti con un contratto ex-co. co. co., 2 milioni a part - time, 1 milione e mezzo a tempo determinato e mezzo milione sono lavoratori interinali. In pochi anni i contratti atipici sono diventati il 27,1% di tutta la forza lavoro. Più di un lavoratore su quattro è precario. Vedete: stiamo parlando di un fenomeno enorme. Che però non fa notizia e vive nell’invisibilità. Ogni qual volta si discute di lavoro e di non lavoro se ne discute a partire dalle esigenze del mercato. Non dalle nostre. Per anni ci hanno spiegato che la flessibilità costituisce una grande possibilità di libertà, che non saremmo più stati costretto a vivere una vita intera alla catena di montaggio, che col pacchetto Treu prima, e con la legge-trenta poi, si sarebbero moltiplicate le possibilità di vivere senza le catene del lavoro.

Non era vero niente. La giornata del 6 novembre, con il corteo a Roma, ci ha fatto vedere c’è emergenza non più rinviabile.

Il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara - persona assai autorevole- dice che «quando in un paese i ceti medi si sentono a rischio povertà, si mette in pericolo la stessa democrazia», e aggiunge che «dopo anni di crescita economica, ormai si è imboccata un’autostrada verso il basso». Marco Revelli, in una intervista al Messaggero, ha descritto la crisi economica nel nostro Paese. Revelli ha spiegato che la strada imboccata ci porta dritto al disastro argentino. Non siamo ancora in quella condizione, la crisi economica non si è consumata fino in fondo, non sono stati congelati conti correnti e stipendi, e la moneta non è carta straccia per via dell’inflazione.

Noi, non siamo i piqueteros o le donne argentine che, non potendo fare la spesa al supermarket, rompono i bancomat col tacco delle scarpe. Tutti abbiamo solidarizzato con il movimento argentino che si è ribellato all’esproprio della propria economia attraverso i trattati internazionali. Per questo penso che sabato 6 abbiamo sbagliato. Abbiamo sbagliato perché non era neanche nelle intenzioni. Abbiamo sbagliato perché l’obiettivo non è stato centrato. Si potrà dire, senza essere accusati di dissociazione?

La crisi degli spazi di discussione che sono stati una novità straordinaria, un grande fatto di partecipazione e democrazia diretta - da Genova in poi - è oggi per noi un problema grandissimo, che condiziona negativamente le relazioni di rete. Non sto riproponendo antiche modalità, ma la ricerca comune di nuove.

Penso che abbia ragione chi ha sostenuto in questi giorni che dobbiamo uscire dalla sindrome di Peter Pan, che dobbiamo conquistare la maturità, anche nelle relazioni fra di noi. Propongo di ripartire da assemblee territoriali pubbliche e aperte in cui lavorare alla convergenza tra soggettività, associazioni, sindacati, collettivi, per rimettere al centro la relazione tra guerra e neoliberismo. Quali sono i temi? guerra, legge 30 e reddito, Bossi-Fini e legge-Moratti. Le elezioni americane insegnano che non basta la spinta di un movimento a invertire la tendenza di fondo indotta dalla guerra.

Il nostro obiettivo non è quello di diventare dei Robin Hood post-moderni, ma solo quello di denunciare una condizione maggioritaria nel nostro Paese, e di riuscire a scandalizzare i media e l’opinione pubblica.

Due terzi della mia generazione prova a sopravvivere nella tenaglia di legge 30 e disoccupazione e non vede prospettive. L’autoriduzione del costo delle bollette dell’affitto e delle merci è la pratica che stiamo provando a esercitare. Penso che il 27 di ogni mese debba diventare la data di festeggiamento di San Precario. Lo dico prima di tutto per le giovani comuniste e i giovani comunisti. Il 27 è una data terribile sia per chi ha un salario, che il mese precedente si è già mangiato, sia per chi non ce l’ha. E’ vero, è illegale autoridurre il prezzo delle merci in un supermaket, ma è giusto. Come è giusto andare in una delle filiali della Feltrinelli e denunciare, come avrebbe fatto il suo fondatore, le condizioni di lavoro dei dipendenti. Quanti sono gli studenti che lavorano con contratti atipici in Feltrinelli e che ogni giorno vendono libri e cd a prezzi per loro inaccessibili? E ancora, è giusto andare in una delle filiali e distribuire libri fotocopiati e cd masterizzati è un atto di civiltà in un mondo in cui domina la proprietà intellettuale. La proprietà intellettuale è un esproprio della ricerca, delle intelligenze che non può continuare.

Martedì mattina a Roma nelle prime ore di luce è stato sgomberato un palazzo occupato. Sarà illegale, ma difendere il diritto alla casa con un’altra occupazione è un obbligo.

Michele De Palma