Home > Nessuno uscirà vivo di qui: gli americani si rifiutano di guardare nello (…)

Nessuno uscirà vivo di qui: gli americani si rifiutano di guardare nello specchio i segni premonitor

Publie le martedì 6 marzo 2007 par Open-Publishing

Nessuno uscirà vivo di qui
gli americani si rifiutano di guardare
nello specchio i segni premonitori della loro fine

Sinossi: lo scrittore americano Daniel Patrick Welch sostiene che non
siano solo quei pazzi neoconservatori di Washington a guidarci verso
l’ultimo capitolo della guerra globale, ma anche gli aspetti più
inveterati della cultura e della politica statunitense; primo fra
tutti la salda convinzione che nutrono gli americani nella della loro
nobiltà.

Ho spesso il discutibile piacere di ascoltare dei compiaciuti
liberali che piagnucolano parlando del "disagio" che provano nei
confronti di ciò che definiscono "cultura araba". Tra noi americani
sta prendendo piede uno strabiliante fenomeno, secondo il quale siamo
così convinti della nostra superiorità, che riusciamo ad essere sia
ignoranti rispetto al mondo che dominiamo e allo stesso tempo
totalmente disinteressati alla nostra stessa storia, cultura e
società. Il casino sta per scoppiare, gente. Niente più lasciapassare
per i liberali ed i cosiddetti "progressisti" che preferiscono
criticare le culture straniere o indirizzare le loro ire domestiche
nei confronti della combriccola che siede alla Casa Bianca.

Malgrado gli innumerevoli crimini di guerra commessi dagli scagnozzi
dei neoconservatori, questa loro piccola impresa sarebbe sfociata nel
nulla senza la piena complicità, per non dire l’avallo, dei
loro "amici dell’altro schieramento", l’altra metà del Partito di
Guerra Americano. Questo momento glorioso e memorabile della storia
americana non sarebbe stato possibile senza decenni di addestramento
alle spalle, in cui abbiamo selezionato gli uomini della classe
operaia per farne dei "volontari" delle forze armate, militarizzando
ogni più piccolo cantuccio della nostra società, dagli abiti e dai
giocattoli per bambini fino ai finanziamenti sempre maggiori che il
nostro Pentagono ha elargito alle più importanti università. Provate
a fare un giro nel settore maschile di qualsiasi negozio di
giocattoli locale e vedrete che è disseminato di carri armato di
plastica e bombardieri, accessoriati con missili rimovibili. Potete
scegliere tra una camicia mimetica rosa, una fascia per capelli, una
cartella per la scuola, o qualsiasi altro articolo che serve ad
instillare nei nostri figli l’idea che i nostri onnipresenti
combattenti siano fighi e alla moda. Siamo una cultura sul sentiero
di guerra, dove il termine "cultura" è da usarsi in senso lato.

A lungo denigrati in tutto il mondo per la nostra mancanza di
cultura, è forse irrilevante il fatto che siamo stati noi a
facilitare l’opera di sciacallaggio compiuta su alcuni dei tesori
culturali più antichi della civiltà umana presenti in Iraq, o che ci
siamo resi colpevoli della disintegrazione di un’altra cultura
mediterranea nel Libano tramite bombardamenti aerei. In tutto questo
i liberali blaterano di come gli arabi trattano le loro donne ed è
forse questo loro “disagio” che gli impedisce di mettere fine
all’imminente olocausto contro l’Iran. La titubanza sembra essere la
distrazione preferita della classe media statunitense (non chiamateli
borghesia o vi diranno che siete comunisti), che detiene la ricchezza
e il potere necessario per imporre dei cambiamenti nella politica
americana. "Usted no es nada", disse una volta Victor Vara
rimbrottando la classe media cilena. "No es chicha ni limonada". Nel
momento più importante della loro storia avrebbero potuto fare
qualcosa per impedire l’istaurarsi del regno omicida di Pinochet, ma
si sentivano troppo a loro agio, troppo impauriti e troppo titubanti.

Gli arabi di cui stiamo parlando sono di fatto persiani, ma queste
distinzioni non hanno molta importanza quando riguardano gli altri.
Quante sono le donne musulmane assassinate dalle bombe e dai
proiettili americani e israeliani? Quante donne e bambini sono morti
di fame e tenuti in uno stato di povertà criminale a causa delle
politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale
sponsorizzate dal governo americano? Non importa: noi americani siamo
ciechi davanti a questi numeri, come davanti alla scarsità e alla
scomparsa della cultura che ci circonda. La nostra ingordigia
nazionale è rovinosa per le nostre stesse vite, per nostre risorse
naturali e persino per il pianeta. Facciamo ammenda e cerchiamo di
proliferare in una cultura che ha fatto dell’accusare le vittime una
sofisticata scienza sociale, a partire da coloro che riuscirono a
sfuggire al genocidio dei padri fondatori fino alle vestigia della
popolazione schiava che abbiamo importato. Il trattamento che gli
Stati Uniti riservano agli immigrati, agli operai, alle minoranze, ai
bambini è notoriamente il peggiore di tutto il mondo "civilizzato"
che ci gloriamo di rappresentare.

E quando la polvere d’uranio delle bombe sganciate sull’Iran si
spanderà fino all’Asia del Sud, i liberali piangeranno le morti
evitabili di donne musulmane e indi, e dei loro bambini, la cui aria,
acqua e corpi rimarranno contaminati per un secolo? Questa guerra è
già cominciata: qualsiasi idiota riesce a percepirlo nella frenesia
scatenata dalla stampa e fatta ingurgitare agli americani. Ma noi
siamo esperti nel cercare le colpe altrove. I leader del Congresso
pontificano sull’Iraq a quattro anni dall’inizio: la guerra all’Iran
è iniziata nel momento in cui le sequenze della statua di Saddam che
cadeva hanno coronato il war porn della "liberazione" dell’Iraq nei
servizi giornalistici della stampa che viaggia al seguito dei
militari.

Infatti, il war porn consiste proprio nel menù che ci viene offerto
da questa nostra cultura, in cui i notiziari TV incollano insieme
foto identiche di "presunte basi nucleari" in Iran e in Corea del
Nord. Che differenza fa quando ciò che viene definito giornalismo è
esclusivamente un modo per riempire lo spazio tra uno spot e l’altro.

Ed i ruffiani della guerra di "entrambi gli schieramenti" sono felici
di prestarsi, declamando una retorica vuota che si unisce alla carta
stampata nella sua furia di non dire nulla velocemente. Quando il
partito al governo non riesce a instaurare un dibattito su una
risoluzione non vincolante è perché non ci sta nemmeno provando e,
ancora peggio, non vuole farlo. Eppure dovrebbe: la BBC ha
recentemente pubblicato una storia in cui si preannunciava che i
membri del Congresso americano, se gli Stati Uniti attaccassero
effettivamente l’Iran, sarebbero soggetti ad arresto e detenzione nel
caso si avventurassero nelle capitali euroccidentali.

Persino quel falso di Tony Blair ha annunciato un piano di ritiro
dall’Iraq. È possibile che i britannici vogliano evitare di rimanere
invischiati nell’imminente massacro? Non ci sarebbe via d’uscita da
questo Armageddon: i democratici si sono già macchiati di sangue fino
ai gomiti e stavolta nessuno ne uscirà. Gli americani dovranno
rinunciare a considerarsi come una nazione nobile, a considerarsi
come dei “white-hat”. Ma è proprio questo mito a mantenere intatta la
bolla: se ci trovassimo a guardare il nemico di Pogo nello specchio,
l’intera azione militare crollerebbe. Se non ci nascondessimo dietro
le parole “crociata” e “destino pomposo”, questa nostra sete di
dominio del mondo farebbe concorrenza a quella di Gengis Kahn più di
quanto vorremmo ammettere.

A proposito dei ruffiani della guerra, Binyamin Netanyahu e gli altri
folli urlano il loro perverso mantra dicendo che siamo nel 1938 e che
l’Iran è il Terzo Reich, una bugia storica che persino Condoleezza
non riuscirebbe mandar giù. Già questo dovrebbe farci capire quanto
folle sia questa analogia, senza chiarire la posizione della Rice. Ma
l’opposizione leale si aggrappa ancora alla teoria del “white-hat” in
modo così saldo, tanto da tirarci il cappello sugli occhi. Solo
togliendolo potremo cominciare a comprendere che l’analogia non solo
è sbagliata, ma va vista al contrario: siamo noi (tramite i
nostri "alleati" israeliani) che abbiamo distrutto il Libano mentre
il mondo è stato a guardare senza fare praticamente nulla. Il mondo
osserva la condizione disperata del popolo palestinese che viene
lentamente spazzato via dalla mappa geografica; ci osserva
distruggere l’Iraq ed ora distruggere anche l’Iran? Guardate anche
voi nello specchio di Pogo e ditemi quale cultura vi mette più "a
disagio".