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Nettuno: l’odio e la violenza come modello di vita

Publie le martedì 3 febbraio 2009 par Open-Publishing

Nettuno: l’odio e la violenza come modello di vita

di Alessandro Cardulli

Ci si interroga se chi ha dato fuoco a un indiano che dormiva dentro la stazione di Nettuno sia stato mosso da razzismo. Agli inquirenti non risulta e non poteva che essere così perché nessun criminale, neppure il più incallito, direbbe che ha pestato a sangue e bruciato un indiano perché ha la pelle di un colore diverso, proviene da un mondo che non è il tuo, non vuoi che viva né lavori, quando può, in Italia.

Gli “ incendiari” di Nettuno, che danno fuoco a carne umana, vanno ben oltre il razzismo. O meglio nelle loro gesta criminali c’è anche la componente razzismo ma la matrice è la violenza, pura, assoluta, cieca. Il razzismo è un ingrediente della violenza, può essere la miccia che fa divampare l’odio. Non si può, infatti, parlare di razzismo nei casi di stupro che si sono verificati nel mese che se ne è andato. Se così è, bisogna prendere atto che nella società italiana di oggi ci sono i germi di un odio feroce che arriva fino ad incendiare una persona che dorme e non ha altra dimora di una stazione di una cittadina romana. Odio contro i deboli, i diversi che sono i più esposti, come una donna sola che torna a casa, scende da un bus in una strada di una periferia di una grande metropoli come Roma o di una cittadina di provincia,viene aggredita, violentata, il suo uomo chiuso nel bagagliaio di un’auto, oppure lo si fa assistere alla violenza. O un barbone, lui sì proprio un diverso perché ha scelto, o è stato costretto a scegliere, un altro modo di vivere, perché rifiuta l’attuale organizzazione della nostra società con tutte le regole e i riti che la segnano. Non accetta le regole, è esposto, si può colpire, si può bruciare. Così come si possono colpire,umiliare tutti coloro che sono “diversi” nell’espressione della loro sessualità.

I giovani delinquenti di Nettuno hanno scelto un obiettivo fra i più deboli: un migrante, uno dei tanti indiani, tre quattro mila che lavorano la terra in questa zona a cavallo fra il Sud di Roma e il litorale pontino. C’è la crisi anche in agricoltura. Chiudono una miriade di piccole imprese. I primi ad essere cacciati, sono loro, gli indiani. Precariato, quando va bene, spesso lavoro nero. E quando ti cacciano perdi anche la possibilità di avere un alloggio. Già perché a un immigrato si affitta malvolentieri una camera. Però se ha quattrocento euro si può fare un’eccezione. E se l’immigrato rimane senza lavoro, o nei campi o nell’edilizia, se il piccolo commercio, le collane, gli anelli e altri oggettini che vengono dai paesi d’origine, ti procura qualche euro che non ti basta neppure per mangiare, allora non ti resta che trovare un giaciglio in una stazione. Se resisti fino all’estate batterai la spiaggia, il litorale pontino, Anzio, Nettuno, Latina, poi fino a San Felice Circeo, Sabaudia, Terracina e giù , giù verso il napoletano. Borse, orologi, pareo, vestitini, perline,cosucce da vendere, cercando di sfuggire alla caccia che ti daranno vigili urbani e poliziotti. Le cinesi ti offriranno massaggi rilassanti, ti spalmano di olio profumato. Dicono i giovani delinquenti di Nettuno che volevano provare nuove emozioni, che volevano divertirsi. Il guaio, forse , è che non si rendano conto neppure di ciò che hanno fatto. Non c’è nelle loro parole un ceno di angoscia, di dolore, non diciamo di pentimento.

Sono la droga e l’alcol bellezza, che ti fanno perdere la testa. No, troppo facile dare la colpa a delle sostanze che, certo, provocano uno sballo. In delitti di questo tipo c’è la voglia, il piacere di commetterlo. Si tinge la faccia del malcapitato, si percuote, si offende. Poi si brucia e si abbandona lì come un sacco vuoto. Invece è una persona. E’ violenza pura che dà anche al razzismo contorni più odiosi. Che fare? Punire i colpevoli, ovviamente. Ma ciò non serve a capire ciò che spinge dei giovani a stuprare, bruciare, uccidere. E’ una società che dovrebbe interrogarsi a partire dalle sue istituzioni, dalla scuola , dalla famiglia, dai mezzi di comunicazione che ti mostrano, senza un cenno di raccapriccio, di condanna, le violenze che dominano in tanta parte del mondo. Donne e uomini uccisi, dalla fame, dalle malattie, dalla tortura, dalle guerre. La persona che diventa oggetto, che si può umiliare, colpire a morte. Forse è il momento di un esame di coscienza, se ne siamo ancora capaci.