Home > Nicaragua : il silenzio vale di piu’ di tante parole...

Nicaragua : il silenzio vale di piu’ di tante parole...

Publie le domenica 27 febbraio 2005 par Open-Publishing

Dazibao America Latina

di Giorgio Trucchi

Leòn, ore 5,15.

Viaggiamo veloci per raggiungere la coda della lunga fila di bananeros.

Sappiamo che sono partiti alle 3 di mattina di questo quarto giorno di marcia e dopo poco cominciamo a scorgere le prime persone rimaste un po’ indietro rispetto al grosso del gruppo.

Non c’è protezione della Polizia ed alcuni bananeros camminano fuori dalla corsia d’emergenza, nel buio più totale e con macchine e camion che passano fin troppo vicini.

Scendiamo dalla macchina. Saluti. Qualche risata e gente che si ricorda perfettamente di noi, "degli italiani" che da anni accompagnano la loro lotta.
La marcia prosegue a un passo sorprendentemente veloce e si fa fatica a stargli dietro.

Probabilmente se ne accorgono. A tratti ridono o commentano a bassa voce.
Sembra non pesare i 60 chilometri già percorsi e la lunga tappa di ieri di circa venti chilometri per recuperare terreno e rispettare i piani dell’entrata a Managua il 2 marzo prossimo.

C’è silenzio, solo un leggero brulicare, qualche battuta, qualche risata, il morale alto, lo si vede, lo si sente. Non c’è bisogno di parole perché, a volte, il silenzio è più forte di tante parole.

Marciamo con loro per qualche chilometro, mentre rapidamente l’alba prende il posto del buio e il cielo dell’occidente nicaraguense si colora di quel rosa tipico dell’estate tropicale.

Camminando

Mi affianco a Josè Calderon Castro, Merlo Antonio Urrutia Silva e Guillermo Antonio Lòpez, con i quali scambio una sigaretta che viene prontamente messa in tasca per fumarla una volta giunti al luogo dove accamperanno.
"Ieri, durante la giornata, siamo andati a trovare due compagni che stanno morendo. Gli manca poco. Sono persone che lavoravano nell’irrigazione delle bananeras ed erano in costante contatto con il Nemagòn. A uno gli hanno già tagliato una gamba ed
ora è alla fine.

Io ho lavorato cinque anni, dal 1965 al 1970. Io invece dal 1965 al 1978, l’anno che hanno ucciso Pedro Joacquìn Chamorro. Poi è scoppiata l’offensiva contro la dittatura e ho abbandonato il lavoro e mi sono integrato nella guerriglia.

Ho lavorato fin da piccolo. Eravamo una famiglia molto povera e non c’era tempo per studiare o giocare, si doveva lavorare per sopravvivere. Porto ancora con me il mio machete ed è come se fosse la mia origine, le mie radici.
Nelle piantagioni era costante il contatto con il Nemagòn perché cadeva dalle piante di banane e ti copriva il corpo.

Quando arriviamo a Managua andiamo diretti davanti alla Casa Presidencial perché devono rispondere delle promesse che ci ha fatto.

Il governo e i deputati ci devono aiutare e rispettare le promesse fatte e darci quello ci spetta per poterci curare e per poter sopravvivere. Se non ci daranno risposte, moriremo lì.

L’altra volta siamo tornati a casa pensando che la firma del presidente e dei deputati fosse sufficiente, ma non è così. Ora vogliamo i fatti e non le firme. Sono 13 anni che stiamo lottando e siamo stanchi di tutto questo.

Non abbiamo lavoro e dobbiamo arrangiarci come possiamo. Appena un’impresa sa che abbiamo lavorato nelle bananeras non ci accetta perché pensa che siamo contagiosi e che possiamo passare qualche malattia agli altri lavoratori. Inoltre abbiamo già superato i 35 anni e nessuno dà da lavorare a gente della nostra età.
Per questo abbiamo bisogno di una Pensione e dei fondi per le visite mediche, le medicine e le operazioni.

Io ho seri problemi al fegato e ai reni. Soffro di pressione alta e devo costantemente prendere delle medicine se no non ce la faccio..."

Gli racconto del premio Ethic Award dato alla Chiquita "per i cambiamenti strutturali apportati per superare il passato...".

La reazione è forte.

"E’ assurdo. Sapevano benissimo quello che stavano facendo. Sapevano che il Nemagòn ci avrebbe ucciso e nonostante questo l’hanno portato qui in Nicaragua perché negli Stati Uniti non lo potevano più usare. Mio padre è morto con il corpo completamente rinsecchito e io sto male. Come si fa a cancellare il passato? Non si può. Va benissimo che abbiano cambiato modo di fare, ma devono risolvere il problema che vive la gente a causa di quello che hanno fatto nel passato. Vogliono cancellare il passato, ma noi siamo il presente perché abbiamo lavorato in quegli anni e la realtà che oggi siamo ammalati. Noi stiamo chiedendo che si rispettino i nostri diritti".

L’unione delle lotte

Si arriva al punto predisposto per l’accampamento, dove i bananeros si fermeranno fino a domani mattina per riprendere la marcia.

Un punto fondamentale di questa marcia è la presenza di vari settori che si sono aggregati alla marcia dei bananeros per far sentire la propria voce.

E’ il caso dei lavoratori di TRABANIC, che sono stati beneficiati all’inizio degli anni 90 dagli Accordi di Transizione con il governo della presidentessa Violeta Barrios de Chamorro e ai quali spetterebbe il 25 per cento degli utili delle imprese bananeras. Molti di loro, secondo la versione di Ilario Calero, sono stati ingannati, truffati da imprenditori senza scrupoli che hanno rubato i loro diritti o che gli danno una miseria invece delle somme che gli spettano.

Hanno iniziato un processo contro un deputato di Chinandega e marciano affinché gli si permetta di avere ciò che gli spetta.

E’ il caso anche degli ex lavoratori della canna da zucchero e dalle centinaia di vedove di ex lavoratori morti.

Come racconta Gustavo Martìnez, erano circa duemila le persone che, a causa dei pesticidi usati nell’Ingenio San Antonio, proprietà della potente famiglia Pellas, hanno cominciato a soffrire di insufficienza renale cronica. Una vera epidemia nella regione dell’occidente nicaraguense.

Di questi duemila, mille sono già morti ed ora, nonostante la legge 456 gli garantisca il diritto a una pensione vitalizia in quanto riconosce il lavoro del taglio della canna da zucchero come lavoro a rischio professionale, il Presidente della Repubblica ha prima vetato la legge e poi, una volta pubblicata, si rifiuta di applicarla.

Chiedono anche all’Ingenio San Antonio che li indennizzi per le morti e le malattie causate.

La sosta

La gente si ferma e si disperde subito per attaccare le proprie amache agli alberi. Amache che saranno i loro letti anche per questa notte.

Il morale è alto e si sente che la gente è cosciente di quello che sta facendo, anche se il corpo non risponde più come vorrebbero
Ci disperdiamo tra la gente. Molti sono stanchi e una persona anziana, a cui avevano sconsigliato venire ma che non ha voluto sentire ragioni, sta vomitando per lo sforzo fatto.

Poco più in là un altra persona si accascia vicino ad un albero, con le gambe tremanti, quasi svenendo. Gli portano acqua e si riprende lentamente.
C’è la corsa a prendere un po’ di caffè ed ognuno tira fuori il poco cibo che si è portato. Fino a questo momento solo alcune organizzazioni hanno portato del cibo da poter cucinare per tutti, per cui ognuno si arrangia come può.

"Speriamo che avvicinandoci a Managua, la società civile cominci ad aiutarci con il cibo", dice Victorino Espinales.

La storia di Paula Olivia

Paula Olivia Zuniga Lòpez è stesa su un’amaca, vicino a suo marito. Stanca, sfinita dalla lunga camminata.
Sul suo corpo, ma soprattutto su suoi piedi, gli effetti del Nemagòn dopo 8 anni passati nelle bananeras.

Parla con calma e si scopre la pancia per far vedere il corpo coperto di macchie, tipiche di molte persone che hanno subito i danni del pesticida.
"Ho lavorato dal 1972 al 1980 facendo ogni tipo di lavoro, tra cui il lavaggio delle banane coperte di pesticida. L’acqua inquinata ci cadeva sul corpo e soprattutto sui piedi.

Dopo otto anni me ne sono andata perché non sopportavo più la pesantezza di quel lavoro. Guadagnavo 1,15 cordobas l’ora e alla fine della giornata interminabile di lavoro guadagnavo una miseria.

A un certo punto non ce l’ho fatta più, ma ben presto sono arrivati i problemi fisici.
Ho problemi molto seri alla vista, ci vedo pochissimo. Ho dolori continui ai reni, a pancia e un seno coperti di macchie. Sono stata operata di cancro all’utero e i piedi si sono deformati e mi si spacca la pelle...guarda come sono....

L’anno scorso non sono potuta venire alla marcia perché avevo i piedi pieni di piaghe, ma quest’anno sopporterò il dolore, ma sono voluta venire. Dobbiamo andare davanti al governo e ai deputati perché ci diano quello che ci hanno promesso e che poi non hanno rispettato.

Negli ospedali non danno nulla, ti danno la ricetta e poi non ci sono medicine o sono carissime..."

Verso le 11.30 c’è fermento per la chiamata in diretta con radio Città del Capo di Bologna.

La gente si assiepa vicino al telefono e intorno a Victorino Espinales.
C’è coscienza che sia importante che le informazioni sulla loro marcia e sulla loro lotta escano dai confini del Nicaragua e giungano dall’altra parte dell’oceano affinché, anche da quel posto chiamato Italia e che probabilmente fanno fatica a realizzare dove si trovi, giungano pressioni sul governo e sui deputati.

La diretta viene fatta, anche se con qualche problema di comunicazione telefonica e ci apprestiamo ad andarcene.

Qualcuno chiede quando ci vedremo ancora e in quel momento ti rendi conto di quanto sia importante continuare a mantenere il nostro appoggio, la nostra mobilitazione in Italia, i nostri sforzi per far conoscere questa storia.


Sono partiti...

di Giorgio Trucchi

La Carretera che conduce a Chinandega è, per gli ultimi 70 chilometri, una lunga striscia di asfalto che attraversa la secca spianata dell’occidente nicaraguense.
Terra un tempo ricoperta di boschi ed oggi trasformatasi in una landa semi deserta e ingiallita dalla stagione estiva.

Negli anni, i boschi hanno lasciato spazio alle coltivazioni del cotone e poi alle bananeras e ai terreni predisposti per coltivazioni di sesamo e soprattutto, per l’allevamento.

Su questa strada, soffocante per il caldo e dove l’asfalto brucia sotto i piedi, marceranno per la quarta volta i bananeros ammalati a causa del pesticida Nemagòn, prodotto ed applicato senza nessuna misura di sicurezza dalle multinazionali nordamericane del banano.

Le multinazionali sono ora accusate di questo crimine, ma si rifiutano ancora di accettare la richiesta di indennizzo che migliaia di ex lavoratori e lavoratrici del banano stanno chiedendo per potersi curare e lasciare in eredità dopo la loro morte.
Risulta quindi ancora più beffardo il Premio "Ethic Award" concesso alla Chiquita dalla rivista Gdoweek e dalla società Kmpg "per il forte impegno adoperato a livello mondiale per superare il passato attraverso diverse modifiche strutturali".

Il passato è ancora presente, qui in Nicaragua, come in gran parte del Centroamerica, America latina e Africa e si esprime attraverso questa nuova marcia.
Il passato sarà tale solo e quando le multinazionali si faranno carico dei danni provocati, accetteranno le loro colpe e non attraverso un semplice colpo di spugna, un "borròn y cuenta nueva".

Molti di loro, il conteggio approssimativo arriva oggi a 838, non potranno effettuare questa ennesima marcia di protesta e tra l’ultima marcia di febbraio 2004 e questa, sono morte altre 110 persone.

Sono partiti verso le 4 di mattina di domenica 20 febbraio in circa mille persone e il numero aumenterà con il passare dei giorni. A Managua è previsto l’arrivo di almeno 10 mila persone.

E’ esattamente quanto era stato promesso l’anno scorso: "Se non verranno rispettati gli accordi che oggi abbiamo firmato (Acuerdo del Raizòn - 20 marzo 2004 - vedi www.itanica.org ), ci rivedrete qui molto presto, ma questa volta sarà con diecimila persone e non ce ne andremo fino a che non vedremo rispettate le promesse!".

Ora sono già al terzo giorno di marcia e secondo Victorino Espinales, presidente della Asotraexdan, ai bananeros si aggiungeranno i lavoratori della canna da zucchero che stanno morendo di insufficienza renale cronica a causa dei pesticidi usati nei cañaverales e ai quali il governo non vuole riconoscere una pensione vitalizia.

Si sono anche aggiunti i membri del Movimiento pro Vivienda che da anni chiedono terra per poter lavorare e sopravvivere.

Una lotta, questa, che unisce vari settori che si accomunano per le tragiche condizioni in cui versano. Una lotta sociale, non solo di resistenza, ma anche e soprattutto di proposte concrete. Una lotta contro lo strapotere delle multinazionali, un governo insensibile che si è rimangiato costantemente le promesse fatte e a cui si inumidiscono gli occhi quando vede una bandiera stella e strisce e una Asamblea Nacional che non ha voluto inserire nel Bilancio della Repubblica gli aiuti economici per le spese sanitarie di cui, i bananeros, hanno disperatamente bisogno.

Dopo tre giorni di cammino, dalle 4 alle 8 di mattina e dalle 16 alle 18 per evitare il calore della giornata, i bananeros si sono accampati all’entrata di Leòn dopo aver aspettato centinaia di persone che si sono aggiunte alla marcia provenendo dall’est e dal nord del paese.

Secondo Victorino Espinales il morale è molto alto nonostante la stanchezza, mentre cominciano a scarseggiare le medicine di prima necessità soprattutto per dolori, problemi di stomaco e di digestione.

Sotto controllo è invece l’aspetto alimentare dato che da più parti sono arrivate donazioni per permettere a tutte le persone di avere di che sfamarsi.

Continua intanto l’attività in preparazione dell’arrivo a Managua.

Una commissione che rappresenta i vari settori dei bananeros si è trasferita a Managua dove hanno già avuto la disponibilità da parte del vicesindaco Alexis Arguello per l’allestimento dell’accampamento davanti alla Asamblea General, dove verrà istallata acqua potabile, bagni e un punto medico con presenza di dottori del Ministerio de Salud (MINSA).

La Commissione ha anche presentato alla Commissione Economica, alla Segreteria del Parlamento e a tutti i Gruppi parlamentari la proposta di modifica del Bilancio Generale della Repubblica per inserire i 227 milioni di cordobas (circa 14 milioni di dollari) per le spese mediche e il Progetto di Legge per creare una pensione vitalizia per tutti gli ammalati accertati.

Per la legge mancano solo le firme di almeno sei deputati che sono richieste per poter iniziare l’iter di osservazione e discussione in Commissione del progetto stesso.
Chiederanno anche e questo è il terzo punto, che vengano pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale la risoluzione della Asamblea Nacional del novembre 2002, in cui si assicurava che la Legge 364 non sarebbe stata modificata e l’Accordo del Raizòn firmato con il Presidente Bolaños nel marzo del 2004. Questo per garantirsi nei confronti del governo e delle sue inadempienze e delle voci secondo le quali i deputati starebbero per iniziare un’analisi della 364 per una sua modifica.

"Nella riunione di tutti i leader del movimento dei bananeros abbiamo deciso che questa sarà una Marcia senza Ritorno. Non torniamo indietro fino a che non verrà approvato tutto quello che stiamo chiedendo. Se non facciamo così sappiamo già che ogni anno dovremo marciare su Managua e molta gente non se lo può permettere per le condizioni in cui versa.

Lavoriamo quindi su due fronti: la maggior parte nella marcia e una delegazione facendo pressione a Managua per preparare le condizioni al nostro arrivo. E’ una lotta finale e siamo disposti a tutto" ha concluso Victorino Espinales.

Nei prossimi giorni l’Associazione Italia-Nicaragua, in collaborazione con la Chico Mendes, inizierà una serie di azioni per sostenere ancora una volta la lotta dei bananeros.

Fate circolare il più possibile le informazioni e le notizie che arriveranno e al più presto vi comunicherò le iniziative di divulgazione, finanziamento e di pressione e solidarietà.

Un abrazo Giorgio


I love gringos... I love Negroponte

di Giorgio Trucchi

Il Presidente Bolaños, ancora una volta, non ha perso l’occasione per dimostrare la sua fedeltà agli Stati Uniti, unico suo vero alleato a cui si appoggia continuamente per far fronte all’isolamento politico in cui è caduto ormai da molto tempo.

Durante l’inaugurazione dei lavori per la costruzione della nuova ambasciata nordamericana a Managua, un mostro da 60 milioni di dollari, il presidente nicaraguense ha detto che "gli Stati Uniti sono l’esperimento con maggior successo del mondo intero, dove si fondono tutte le culture, le religioni e i popoli con tolleranza e armonia. Basta ripassare la storia nazionale per renderci conto come la grande nazione del nord è stata presente con la sua solidarietà e con il suo aiuto quando siamo stati colpiti da disastri naturali o quando siamo stati minacciati dal terrorismo internazionale.

Sono felice di esprimere e di continuare ad esprimere che le nostre esemplari relazioni di amicizia e cooperazione continuano a mantenersi intatte, nonostante le forze estremiste che hanno sempre voluto dividerci. Agli Stati Uniti d’America ci unisce la spinta e la proiezione allo sviluppo della libera impresa, della quale il Nicaragua ammira la sua forza e attitudine di fronte al lavoro...

Agli Stati Uniti ci uniscono anche atti di genuina solidarietà umana, come l’aiuto umanitario all’Irak, paese nel quale abbiamo inviato un contingente militare per salvaguardare vite umane.

Ci unisce anche il futuro Trattato di libero commercio (CAFTA) del quale vedremo presto i benefici quando i beni prodotti in Centroamerica verranno esportati negli Stati Uniti senza vincoli doganali...".

Un ripasso della storia

Nonostante le dichiarazioni di Bolaños e la sua visione quasi irreale della storia nicaraguense e delle relazioni tra gli Stati Uniti e il Nicaragua, la realtà è ben diversa.
Dopo decenni di invasioni militari all’inizio del secolo scorso, terminate a seguito della lotta di liberazione intrapresa da Augusto Sandino (proprio oggi, 21 febbraio, ricorre il 71 anniversario del suo assassinio ad opera di Somoza Garcìa), gli Stati Uniti appoggiarono la sanguinosa dittatura della famiglia Somoza e formarono e finanziarono i corpi militari repressivi, mantenendo il Nicaragua in balia del terrore e dello strapotere delle proprie multinazionali (non ultime le multinazionali del banano che tanto danno arrecarono con l’ormai famoso utilizzo del pesticida Nemagòn).

Dopo il trionfo della rivoluzione sandinista e la caduta della dittatura somozista, gli Stati Uniti iniziarono una guerra "di bassa intensità" finanziando ed addestrando la Contra anche con manovre totalmente illegali come il famoso scandalo "Iran-Contra gate".

Per questo tipo di azioni, che provocarono oltre 40 mila morti in Nicaragua, gli Stati Uniti vennero condannati per reati terroristici dalla Corte dell’Aia a pagare al Nicaragua circa 13 mila milioni di dollari.

Dopo la sconfitta elettorale sandinista nel 1990, gli Stati Uniti ripresero la loro influenza diretta in Nicaragua, non più attraverso mezzi militari ma con un controllo economico pressoché totale, appoggiando e finanziando i candidati della destra nicaraguense (tra cui l’ex presidente Alemàn attualmente agli arresti domiciliari per corruzione) che diedero il via libera alla svendita del paese e alla totale sottomissione dell’economia e della politica nazionale ai voleri degli Organismi finanziari internazionali (FMI, BM, BID).

La politica nordamericana verso il Nicaragua continua quindi ad essere una politica da "Guerra Fredda", con il Frente Sandinista visto ancora come il pericolo numero uno della regione (insieme al Fmln salvadoreño) e l’Esercito nazionale come un’entità di cui non ci si può fidare, almeno fino a quando non potranno mettere ai suoi vertici uomini di provata fiducia.

Proprio per questo, durante gli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno cercato in tutti i modi la distruzione dei missili SAM-7 ancora in possesso dell’esercito nicaraguense arrivando, negli ultimi mesi, a montare una campagna denigratoria contro l’esercito accusandolo indirettamente di non essere affidabile.

Secondo l’ex generale Hugo Torres, "gli Stati Uniti stanno montando una grande ragnatela per togliere prestigio all’esercito nicaraguense attraverso una serie di manovre come il ritrovamento di un missile SAM-7, arrugginito e inservibile, in una casa privata di Managua o la minaccia di dichiarare l’Aeroporto di Managua come non sicuro. Sono ancora convinti che Frente Sandinista ed esercito siano uniti e vedono il possibile trionfo del Fsln nelle prossime elezioni presidenziali del 2006 come un grave pericolo per la regione centroamericana".

A riprova di questo c’è la probabile sostituzione dell’ambasciatrice in Nicaragua, Barbara Moore, che da più parti si dice venga accusata di aver sottostimato la capacità del Fsln in occasione del trionfo elettorale nelle Municipali del novembre scorso. Inoltre avrebbe anche commesso un grave errore nel non essere riuscita a riunificare il Partido Liberal Constitucionalista in funzione antisandinista.

Il suo probabile sostituto sarà Paul Travelly, già diplomatico in Nicaragua agli inizi degli anni 90, che avrà il compito di unire la destra nicaraguense e di iniziare una forte campagna contro il leader sandinista Daniel Ortega.

Questa ennesima prova d’intolleranza nordamericana è spinta in modo particolare dai funzionari di Bush che vengono dall’esperienza degli anni 80 con Reagan. Tra questi c’è John Negroponte, nuovo Direttore della Direcciòn Nacional de Inteligencia (DNI).

John "Mani di velluto" Dimitri Negroponte

Negroponte è un volto molto conosciuto in Nicaragua.

Con la sua designazione come ambasciatore in Honduras durante l’amministrazione di Ronald Reagan (1980-1988), Negroponte trasformò il territorio honduregno in una delle più importanti basi militari e di controspionaggio della guerra fredda, diretta a neutralizzare il Nicaragua sandinista e la lotta della sinistra in El Salvador.

"In quel periodo arrivò a maneggiare un bilancio di mille milioni di dollari, tra programmi di spionaggio e di assistenza", ricorda l’ex Ministro degli esteri nell’amministrazione sandinista, Víctor Hugo Tinoco.

Tra il 1981 e il 1985, l’ambasciatore eseguì il lavoro assegnatogli con alti costi per l’amministrazione Reagan, chiaramente tradotti nello scandaloso caso "Iran-Contras."
Negroponte si dedicò a stringere alleanze con agenti della CIA in America Centrale e con il temuto generale Gustavo Álvarez Martínez, disposto a ripetere le tecniche di "guerra sporca" imparate in Argentina tra il 1976 e il 1983.

Con questo appoggio, Álvarez conformò un’unità di spionaggio militare honduregna, Battaglione 316, che con gli insegnamenti della CIA. e della dittatura argentina, si trasformò in un squadrone della morte, consolidato nell’instaurazione della base militare "El Aguacate", dove si istruirono i membri della Contra nicaraguense e i soldati salvadoregni.

In quegli anni, Negroponte fu accusato di concentrare la sua attenzione sugli attacchi della Contra nicaraguense al governo sandinista, mentre chiuse gli occhi sulle torture che si commettevano sotto il regime honduregno.

Più di 15 anni dopo, organismi dei Diritti Umani stimano che lo squadrone honduregno assassinò a non meno di 180 attivisti, alcuni di essi nordamericani.

Le conseguenze per il Nicaragua degli anni ottanta non furono meno violente.

L’ex generale Hugo Torres ricorda John Negroponte come il principale supporto alla cruda guerra civile tra 1982-1988 e l’artefice delle principali strategie che condussero all’ostruzione dell’economia nazionale.

"La sua missione non era solo militare, ma riuscì a debilitare le nostre economie come la forma più effettiva per alterare la correlazione politica della regione".
Tra le decisioni violente e gli scandali, Negroponte è percepito anche come un diplomatico di carriera, con modi morbidi come la seta e che padroneggia con fluidità cinque lingue.

Nelle sue ultime designazioni ha dimostrato di poter contare su un’enorme fiducia dell’amministrazione Bush. Il presidente statunitense lo scelse per essere ambasciatore all’ONU tra il 2001 e il 2004.

Fino a pochi giorni fa era il primo ambasciatore in Iraq dalla Guerra del Golfo in 1991, un altro incarico chiave che svolgeva solo da nove mesi, ma che ha aiutato a condurre le recenti elezioni presidenziali.

Negroponte si integrò al servizio diplomatico statunitense nella decade del 1960.
Il suo primo incarico rilevante fu il Vietnam, dove imparò così bene la lingua che l’allora sottosegretario, Henry Kissinger, lo scelse per condurre negoziazioni segrete di pace.

La sua conoscenza dell’America Centrale gli valse la nomina nel 1989 come ambasciatore in Messico, dove si mantenne fino al 1993 e nel quale si rivelò come un gran negoziatore, specialmente per la conclusione del Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord (Nafta), che integrò il commercio degli Stati Uniti, Canada e Messico.

Fu poi nominato dal presidente Bill Clinton per negoziare la permanenza delle basi militari degli Stati Uniti a Panama e per la creazione di un centro internazionale antidroga in quel paese.

Dopo questo tentativo infruttuoso si ritirò a vita privata e venne richiamato nel 2001 da Bush.


Vincono i maestri

di Giorgio Trucchi

Da lunedì prossimo i maestri del Nicaragua daranno inizio al nuovo anno scolastico dopo tre settimane di sciopero e mobilitazioni, che hanno costretto governo e deputati a trovare una soluzione al drammatico problema dei miseri stipendi di cui godeva il settore Educazione.

Durante la serata di venerdì 18 febbraio, i quattro principali sindacati, Anden, CEM, Confenitec e la Confederaciòn Nacional de Maestros (vedi foto END), hanno firmato un accordo con i ministri del Tesoro ed Educazione nei locali della Procura per la Difesa dei Diritti Umani che ha giocato un importante ruolo di mediazione, in cui si stabilisce che a partire dal mese di dicembre 2005 le buste paghe dei maestri di primaria e secundaria avranno un aumento di 706 cordobas (43 dollari), portando così i salari minimi complessivi a 1.852 cordobas (116 dollari) per le elementari e a 2.040 (128 dollari) per le superiori.

Sono stipendi ancora miseri rispetto alla media centroamericana e nettamente inferiori al valore del Paniere, ma rappresentano un passo in avanti e soprattutto, un risultato frutto di una prova di forza importante.

Probabilmente nemmeno il governo avrebbe mai pensato che i principali sindacati dei maestri sarebbero riusciti a bloccare l’inizio dell’anno scolastico e dare una prova di unità che non si vedeva da molto tempo.

Nell’accordo si prevede che il Ministero dell’educazione non intraprenderà nessun tipo di rappresaglia nei confronti dei maestri che hanno scioperato e che verranno immediatamente pagati gli stipendi di febbraio, fino ad ora sospesi.

I sindacati, da parte loro, ritireranno tutte le denunce presentate fino a questo momento contro il Ministero dell’educazione e funzionari pubblici.

Inoltre è stata inserita una clausola secondo la quale il Ministero dell’educazione dovrà garantire la totale gratuità della scuola pubblica e che verrà ridiscusso il Plan Nacional de Educaciòn, per il quale qualsiasi decisione dovrà avvenire con il consenso delle parti.

Fino alla fine dell’anno, i 706 cordobas verranno inseriti in busta paga in concetto di buono.

Come si è giunti all’accordo

Nella soluzione della vicenda ha partecipato attivamente il Frente Sandinista.

Dopo un incontro improvviso tra il Segretario generale del Fsln, Daniel Ortega e il Presidente Enrique Bolaños sulla delicata situazione in cui versa il tanto decantato Dialogo Nazionale, è nata la proposta di dirottare i 434 mila cordobas (26.500 dollari) che ogni deputato ha a disposizione durante l’anno per "fini sociali" (somma che molto spesso ha originato forti critiche in quanto non sempre ne viene spiegato l’utilizzo), al Ministero dell’educazione per gli aumenti ai maestri.

La proposta di Ortega non è stata accettata immediatamente da parte del gruppo parlamentare sandinista in quanto, secondo i deputati, questa somma era già vincolata per numerose borse di studio per ragazzi e ragazze con scarsi mezzi economici.

Durante la giornata di giovedì 17 febbraio, il Frente Sandinista ha però convocato una conferenza stampa in cui ha confermato l’offerta della quota che spetta ai 38 deputati per il 2005 e 2006, con la quale (circa 33,6 milioni di cordobas) si potrannocopriregli aumenti peri maestri.

Ortega ha inoltre invitato i deputati degli altri partiti a sommarsi a questa iniziativa per poter risolvere la grave problematica in corso.

L’unica condizione è che il Ministero d’educazione si faccia carico delle borse di studio che in questo modo resteranno scoperte.

Per ora sembra che i deputati del Partido Liberal Constitucionalista (Plc) siano intenzionati ad appoggiare la proposta.

Nei prossimi giorni, quindi, il governo manderà alla Asamblea Nacional una proposta di riforma al Bilancio Generale della Repubblica con carattere d’urgenza per apportare le modifiche necessarie.

Altre proposte sandiniste

Durante la conferenza stampa, Ortega ha anche annunciato che il Fsln e il Plc presenteranno la Legge di Regolazione Salariale dell’Amministrazione Pubblica e dei Funzionari Statali, con cui vengono ridotti in modo sostanzioso tutti gli stipendi dei funzionari di governo e dei Poteri dello Stato.

Con questa legge, che il Frente Sandinista aveva già presentato più di un anno fa e che in effetti sta già applicando internamente con la riduzione del 50 per cento dei salari dei propri sindaci, si dimezzerebbero tutti gli stipendi.

Il Presidente della Repubblica guadagnerebbe 5 mila dollari, il suo Vice 4 mila e tutti gli altri funzionari pubblici (ministri, magistrati, deputati, procuratori, presidenti degli Enti Autonomi, etc...) ne guadagnerebbero al massimo 3.500.

Con questi tagli, il governo avrebbe in mano circa 130 milioni di dollari all’anno (circa 8 milioni di dollari) da poter utilizzare dove è maggiore il bisogno.

"Se i funzionari non si accontenteranno di questi stipendi potranno sempre cercare lavoro nel settore privato, perché ci sono migliaia di professionisti preparati e seri in grado di sostituirli".

Inoltre Ortega ha anche proposto, in accordo con il Plc, che i 10 milioni di dollari a disposizione dei deputati come quota delle entrate della vendita della Telefonia (Enitel) avvenuta qualche anno fa, vengano messi a disposizione come Capitale Sociale di quella che dovrà essere il nuovo Banco de Fomento per la concessione di credito ai piccoli e medi produttori.

Tutto finito?

I maestri, quindi, hanno compiuto un grande passo in avanti, che non risolve i loro problemi economici e ancora meno i problemi strutturali di un sistema scolastico pubblico estremamente arretrato e povero, ma che ha dimostrato la capacità di mobilitazione.

I dirigenti sindacali hanno già fatto sapere che hanno firmato con l’intenzione di dare fiducia alle parole di questo governo, ma che resteranno sempre all’erta nel caso in cui, il prossimo dicembre, non venga rispettato l’accordo, cosa che per questo governo è la regola più che l’eccezione.

Intanto da Chinandega stanno per partire i bananeros ammalati a causa del pesticida Nemagòn e per il governo si aprirà un altro periodo di tensione.


Una speranza trasformata in realta’

di Giorgio Trucchi

"Comamnuvi" di Ciudad Sandino

Il capannone sorge a pochi chilometri da Managua, alla periferia di Ciudad Sandino nel quartiere che porta un nome pieno di speranza: Nueva Vida.

Il quartiere è sorto tra il 1998 e il 1999, quando l’Uragano Mitch arrivò con tutta la sua potenza in Centroamerica e investì anche il Nicaragua.

Managua non subì ingenti danni, almeno non come le zone del nord e dell’occidente nicaraguense, ma i quartieri che sorgevano sulle rive del Lago Xolotlàn o Managua vennero inondati e la maggior parte della gente evacuata.

Il governo dell’allora presidente Arnoldo Alemàn pensò bene di trasferirli in massa nella periferia di Ciudad Sandino, inventando questo nome così pieno di speranza che, nella realtà, si rivelò un quartiere inventato in mezzo a una landa deserta e con ben poche possibilità di sviluppo. Il governo ben presto si dimenticò di questa gente,
il solito concetto del "basta dargli un terreno e tutto va bene...".

E’ in questo contesto che si sviluppa la storia di questo gruppo di donne che ci racconta Yadira Vallejos, una delle socie della Cooperativa Maquiladora Mujeres de Nueva Vida Internacional (COMAMNUVI).

Gli inizi

L’idea della cooperativa che opera come una maquila nasce nel 1999 dopo l’Uragano Mitch. La maggior parte di noi viveva a Managua sulle sponde del Lago Xolotlàn e a conseguenza delle inondazioni ci trasferirono qui a Ciudad Sandino.

Eravamo circa 1200 capi famiglia per un totale di oltre 6 mila persone.

I primi aiuti arrivarono da parte di organismi internazionali che ci rifornirono di medicine, vestiti e alimentazione, ma le condizioni erano pessime e soprattutto avevamo perso quasi tutto. La nostra urgenza era quella di trovare qualcosa che ci permettesse di sopravvivere insieme alle nostre famiglie

Fu durante questo periodo che conoscemmo una Organizzazione Non Governativa (ONG) che si chiama Jubilee House Community - Centro pro Desarrollo en Centroamerica (CDCA), che era coinvolta nel processo di sostegno alle persone che erano rimaste senza niente a causa dell’uragano.

Con loro nacque l’idea di organizzarci e provare a far nascere un’attività produttiva che ci desse la possibilità di lavorare e sopravvivere nel rispetto di quelli che sono i diritti umani e lavorativi di ogni persona.

La sfida era enorme in quanto avremmo dovuto passare un lungo periodo lavorando alla costruzione e alla formazione, senza stipendio e con la necessità di badare e mantenere le nostre famiglie. Si trattava inoltre di provare a costituire una maquila, come quelle che lavorano nelle Zone Franche del paese, ma con criteri totalmente diversi, strutturata in cooperativa e dove noi stesse saremmo state le proprietarie.

All’inizio eravamo circa 50 donne e cominciammo a lavorare alla costruzione del capannone che oggi ospita l’attività produttiva. All’inizio chiedemmo anche agli uomini se fossero interessati nel partecipare a questa attività, ma nessuno si rese disponibile in quanto vedevano come assurdo il fatto di lavorare senza un salario.

Decidemmo quindi di andare avanti solo come donne.

Il costo della costruzione e dell’acquisto dei macchinari era molto alto e la Jubilee House Community non era in grado di finanziare tutto il progetto immediatamente e quindi si lavorava mano a mano che all’organismo straniero entravano fondi che poteva dirigere verso il nostro progetto.

Per due anni e mezzo lavorammo nella costruzione senza poter guadagnare nulla e facendoci aiutare dalle nostre famiglie o dai parenti e questa difficoltà fece sì che purtroppo delle 50 donne ne rimasero solo 12.

Parallelamente iniziammo un processo di formazione per imparare a usare la macchina da cucire e tutto il processo per confezionare vestiti partendo dalla materia prima e soprattutto una formazione teorica su tutto quello che implica e vuol dire formare una cooperativa, amministrarla e iniziare un’attività economica.

La costruzione e l’acquisto dei macchinari è stato finanziato con un fondo piuttosto cospicuo messo a disposizione dall’organismo che ci appoggia e che stiamo restituendo lentamente in modo da poter essere, un giorno, le uniche proprietarie.

L’idea era di poter pagare l’intera somma in circa sette anni, ma visto come vanno le cose è probabile che si possa estinguere il debito con un certo anticipo.

La produzione

Attualmente stiamo producendo prevalentemente magliette unisex utilizzando sia cotone convenzionale, prodotto quindi con uso di chimici, sia cotone cento per cento organico che rappresenta la maggior parte della nostra produzione.

Dopo un periodo di assestamento, in cui a volte veniva a mancare la materia prima e che quindi limitava il tempo di lavoro, si è creata ora una certa stabilità e il lavoro è costante.

La materia prima viene acquistata all’estero dato che in Nicaragua non esiste produzione di cotone. Questi prodotti vengono poi venduti quasi esclusivamente negli Stati Uniti e solo un 2-3 per cento è destinato al mercato nicaraguense.

Siamo comunque sempre alla ricerca di nuovi sbocchi di mercato, soprattutto per quello che riguarda i nostri prodotti di cotone organico.

Qui in Nicaragua c’è poca sensibilità sul significato dei prodotti organici e sul fatto che costino di più di quelli convenzionali. Per questo stiamo cercando di fare un lavoro di sensibilizzazione che possa espandere anche il mercato locale.

Negli Stati Uniti, sempre attraverso l’aiuto della Jubilee House Community, abbiamo trovato una buona ricettività verso i nostri prodotti ed esportiamo alla compagnia Maggie’s Organics del Michigan e alla Chiesa Presbiteriana degli Stati Uniti che poi rivendono il prodotto nei loro circuiti. Abbiamo anche alcune persone che si sono formate in serigrafia in modo da poter già stampare le magliette prodotte con i marchi che ci vengono richiesti.

Attualmente stanno lavorando circa 55 persone e il gruppo continua a crescere perché la richiesta è notevole.

La maggior parte delle lavoratrici sono già socie della cooperativa e le altre sono pre socie.

Con il passare del tempo abbiamo cominciato a inserire anche qualche uomo che ne faceva richiesta e che aveva bisogno di lavorare. Il concetto resta comunque che la maggioranza dovrà sempre essere di donne.

Le persone nuove che vogliono entrare a far parte della cooperativa devono passare un anno lavorando come pre socie, alla fine del quale si effettua una valutazione del loro lavoro e del loro impegno nel progetto. L’obiettivo è che tutte siano socie della cooperativa e quindi impegnate nel progetto non solo per il fatto di avere un lavoro.
L’entrata nella cooperativa richiede una quota di circa 350 dollari che può essere apportata in piccole quote mensili.

Una nuova forma di maquila

E’ un’esperienza molto importante perché è la prima volta che una maquila è di proprietà delle stesse lavoratrici e siamo in attesa di ricevere il permesso per lavorare in regime di Zona Franca, cosa che ci permetterà di eliminare o abbassare molti dei costi fissi e di avere notevoli esenzioni.

Saremmo rimaste volentieri con la figura giuridica di cooperativa, ma effettivamente cominciamo ad avere bisogno di acquistare una serie di pezzi di ricambio per i macchinari, di effettuare maggiori operazioni di importazione ed esportazione e il regime di Zona Franca velocizza le pratiche burocratiche di queste azioni, oltre a permettere l’esonero dalle imposte.

Quelli che non cambieranno sono i regolamenti interni che resteranno gli stessi perché sono quelli che caratterizzano la nostra esperienza.

La forma di organizzazione che abbiamo scelto è molto importante, perché chi acquista i nostri prodotti negli Stati Uniti sta anche facendo un lavoro di sensibilizzazione sul significato della nostra esperienza.

Non solo garantiamo la qualità del prodotto e l’utilizzo di cotone organico, ma siamo strutturate in cooperativa, che diventerà Zona Franca, in cui le stesse lavoratrici sono proprietarie dell’attività e quindi garantiscono tutti i diritti lavorativi e umani, con un salario giusto che viene verificato e deciso tra le lavoratrici stesse.

Esistono quindi molte persone, legate al Commercio Equo e Solidale negli Stati Uniti, che sono interessate a sostenere un progetto di questo tipo.

Esiste una differenza abissale tra la nostra esperienza di maquila e quella tradizionale delle altre imprese di Zona Franca in Nicaragua.

A fronte delle condizioni delle lavoratrici della Zona Franca che hanno orari lunghissimi, con mete produttive molto alte che portano a giornate lavorative estenuanti per poter guadagnare un salario misero, con repressione sindacale e violazione dei diritti umani e lavorativi, la nostra esperienza si distingue per l’attenzione e il rispetto di tutti questi punti.

Si lavorano 8 ore da lunedì a venerdì e il salario dipende da due componenti: il salario base e il salario di produzione.

Il salario base è di circa 54 cordobas al giorno (3,5 dollari) e a questo si somma una quota per la produzione fatta e molto spesso le lavoratrici riescono a raggiungere i 100 cordobas al giorno (7 dollari).

Le nostre mete di produzione giornaliera sono molto più basse di quelle di una comune maquila e toccano le 500 unità prodotte a fronte delle duemila o tremila richieste nelle altre maquilas. Questo permette alla lavoratrice di svolgere una giornata lavorativa più rilassata e più umana, ma di poter comunque guadagnare di più rispetto agli altri luoghi di lavoro.

A fine anno, per le persone che sono già socie, c’è la ripartizione di quella parte di utili che non devono rimanere nelle casse come fondo per le attività della cooperativa. Per le pre socie vengono garantiti i pagamenti delle ferie e della tredicesima.

Tutto questo processo è stato deciso da noi con l’aiuto dell’organismo che ci appoggia e il criterio è stato quello di dare un salario e delle condizioni migliori rispetto a quelle delle Zone Franche classiche. Per esempio, in queste ultime attaccare 10 maniche lo pagano 16 cordobas come salario di produzione e noi lo paghiamo 25 cordobas.

Un’altra cosa che facciamo è la continua modificazione del salario in base allo slittamento della moneta nazionale rispetto al dollaro per cercare di riadeguarlo in base al potere d’acquisto reale della moneta.

Tra le lavoratrici e i lavoratori presenti ce ne sono alcuni che hanno lavorato precedentemente nella Zona Franca e che quando parli con loro ti rendi conto che stai veramente offrendo un lavoro più umano, sia per gli orari di lavoro, sia per il salario, ma soprattutto per il tipo di relazione che esiste e per il fatto che si sta lavorando per un progetto proprio e non per gli interessi di un padrone.

Nella zona di Ciudad Sandino ormai la gente si è resa conto dell’importanza di questo progetto e c’è molta richiesta per poter entrare nel progetto.

Oltre a questo abbiamo contatti con altre realtà, soprattutto di donne, che sono interessate a riprodurre questa esperienza. A Corinto ad esempio, esiste un gruppo di donne che sta facendo un grosso sforzo per iniziare un’attività di maquila come la nostra dedicandosi alla produzione di pantaloni.