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Nigeria: un popolo ai margini della società

Publie le giovedì 10 maggio 2007 par Open-Publishing

Edo Dominici di ASud: "Risarcire il debito ecologico"
Interrogazione parlamentare del gruppo di Rifondazione Comunista
di Alessandro Ambrosin

A fronte degli ultimi tragici episodi verificatosi nel delta del Niger, Raul Mantovani, Paolo Cacciari, Alì Rashid e Sabina Siniscalchi, del Prc hanno presentato un’interrogazione parlamentare, chiedendo al governo, fortemente presente sul territorio con il gruppo Eni, di rilanciare una nuova apertura di dialogo con il neo parlamento Nigeriano. Le richieste espresse dal Prc sono chiare ed esplicite. Nell’interrogazione si chiede all’Eni di rivedere i propri impegni e i programmi di sfruttamento petrolifero nella regione del Delta, risanare il territorio dall’inquinamento e garantire le ricadute economiche positive anche per le popolazioni locali. In caso non dovessero perdurare le condizioni di sicurezza e di mancanza di collaborazione si chiede all’Eni di rinunciare alle proprie concessioni e ritirarsi dall’area. Prerogative, che di fatto darebbe un impulso positivo alle drammatica situazione che colpisce le popolazioni e il territorio del delta del Niger.
La Nigeria, lo stato più popolato dell’Africa con i suoi 132 milioni di abitanti, detiene il primato negativo per aver subito la più violenta depradazione territoriale negli ultimi cinquant’anni. Omicidi di massa, violazioni dei diritti umani non destano più quell’attenzione mediatica se non per la mera divulgazione di episodi eclatanti che captano il temporaneo interesse degli organi d’informazione, per cadere subito dopo nel dimenticatoio.

Lo stato nigeriano si attesta all’ottavo posto per la produzione mondiale di petrolio, con i suoi 2,5 milioni di barili prodotti ogni giorno. La zona del Delta del Niger, ricca dell’oro nero, è da sempre il territorio più ambito per le multinazionali, a cominciare dal colosso Shell che controlla circa la metà del greggio, seguita da Total, Mobil, Elf, Texaco, Chevron e l’italiana Agip. La massiccia colonizzazione industriale ha inizio verso la fine degli anni 50, beneficiando, attraverso lauti compensi versati ai governatori nigeriani, di garanzie militari a difesa dei nuovi domini economici. La realizzazione dei giacimenti petroliferi delle multinazionali darà luogo ben presto ad una violenza inaudita contro le comunità indigene che si opporranno a tale progetto.
Le 250 minoranze etniche espropriate dal loro habitat naturale, sono le prime a pagare le dure conseguenze, obbligate a lasciare i territori per dare spazio ai nuovi insediamenti per l’estrazione e la lavorazione del greggio.

Se da un lato l’abuso plateale dei territori ha determinato una distruzione ecologica senza eguali, dall’altro, la condizione sociale dei nigeriani ha subito un colossale impoverimento. Le ingenti somme che ricavano le multinazionali con la complicità del governo, sono in piena contraddizione con la reale condizione dei nigeriani, costretti a sopravvivere con un dollaro al giorno, in territori depressi, in assenza di acqua potabile e di fognature. Un ambiente, di fatto, sempre più compromesso dall’inquinamento e dalle malattie epidemiche. Il disboscamento, le cospicue perdite di greggio dai pozzi e dalle condutture in superficie obsolete hanno generato una situazione che non è più giustificabile. Le fughe di gas, a differenza degli altri pozzi nel mondo, non vengono recuperate, ma bruciate nell’aria. Questa pratica – gas flaring – è adottata da tutte le multinazionali nel delta del Niger. La conseguenza è drammatica, la Nigeria è il primo paese al mondo per emissioni di CO2.

Nel novembre 2004 Amnesty International ha stilato un rapporto intitolato - Nigeria: i diritti umani nell’oleodotto - , dove emerge il continuo perpetuare di violazioni dei diritti umani che i nigeriani subiscono quotidianamente.
Le battaglie sociali ed ecologiche sollevate dalle popolazioni locali hanno raggiunto epiloghi drammatici. Ken Saro-Wiwa, reo di aver denunciato e lottato per la difesa del territorio e delle popolazioni, fu impiccato, sulla base di un falso processo, con altri otto connazionali il 10 novembre 1995. Non fu un caso isolato, la repressione resta, purtroppo, l’unica risposta al dissenso di un popolo colpevole di rivendicare i propri diritti. Nel delta del Niger le multinazionali, grazie all’appoggio di un governo sempre più corrotto, beneficiano di una concessione particolare che li rende potenzialmente soggetti a qualsiasi diritto territoriale, nella completa assenza di politiche anti-inquinamento.

Abbiamo incontrato Edo Dominici, dell’Onlus ASud, l’associazione italiana che affianca dal 2003 i movimenti sociali e indigeni del mondo attraverso progetti di cooperazione internazionale.

L’impossibilità di acquisire notizie certe dalla Nigeria nella loro completezza crea interpretazioni a volte fuorvianti, quale effetto di una manipolazione mediatica ben congeniata. Resta il fatto che della Nigeria si parla troppo poco. Per quale motivo?
In questo territorio le fonti di notizie sono pochissime e tutte controllate dalle multinazionali e/o dal Governo Nigeriano. Entrambi hanno tutto l’interesse a manipolare una realtà di cui sono i principali responsabili. Il 26 Dicembre, ad esempio, quando a Abule Egba, a nord di Lagos, dopo un’esplosione che aprì una falla nell’oleodotto e in cui perirono 500 persone, la gente si riversò in massa sul luogo, spinta da una condizione al limite della sopravvivenza, per riempire taniche e bottiglie del prezioso oro nero. La stampa locale parlò di uno spiacevole incidente causato da un tentativo di furto. Il 21 aprile del 2004, la Cronica, quotidiano spagnolo, diede addirittura un’immagine pittoresca dei dissidenti, descrivendo l’etnia Ijaw, - un popolo che indossa amuleti per rendersi invulnerabile alle pallottole - . E’ indubbio che la notizia fosse finalizzata a sminuire le capacità di condurre serie richieste politiche.

Come reperite le notizie da questi luoghi e che tipo di collaborazione avete intrapreso in Nigeria in tal senso?
Grazie ad uno strumento, come Internet, abbiamo seguito in questi anni la vicenda Nigeriana. La nostra associazione, ASUD ha un accordo di collaborazione con la rappresentanza in Italia del MOSOP (Gli Ogoni di Saro Wiwa). Abbiamo attivato una rete di rapporti con giornalisti e organizzazioni italiane che seguono la vicenda Nigeriana e con le quali abbiamo un continuo scambio d’informazioni. Oltre a questo abbiamo rapporti anche con una Ong Nigeriana che opera direttamente sul Delta .

Le azioni contro i siti petroliferi e i rapimenti ad opera del Mend, da un lato, e la repressione del governo, dall’altra. hanno raggiunto dei livelli senza precedenti. Basti pensare ai 200 morti del dopo elezioni del neo presidente Yar’Adua. Come avete agito in questa situazione?
Premetto che il Mend, (Movement for the Emancipation of the Niger Delta), non è voluto entrare nella vicenda elettorale. “La scarsa attendibilità delle elezioni, - ha dichiarato Jomo Gbomo, portavoce del Mend - non porteranno ad alcun cambiamento, infatti per evitare false strumentalizzazioni il 4 Aprile (15 giorni prima dalle elezioni ndr) abbiamo liberato tutti gli ostaggi.” Oggi a compiere le azioni di sabotaggio armato nelle installazioni delle multinazionali sono soprattutto, ma non solo, i guerriglieri del Movimento di emancipazione del Delta del Niger (Mend, nell’acronimo inglese). Non è un’organizzazione guerrigliera nel sens/ classico del termine, ma più un ombrello che racchiude diverse sigle e diverse componenti. Una frammentazione "operativa" che riflette la complessità etnica e sociale della regione del Delta. La nostra Associazione ha iniziato a denunciare quanto stava accadendo dall’inizio del 2006, quando il MEND aveva dimostrato tutta la sua capacità di azione e di intervento nella zona del Delta. Le azioni si sono intensificate nel corso del 2006 ed oltre 80 stranieri sono stati rapiti e poi rilasciati nella zona. Sin dall’inizio abbiamo denunciato la situazione come - una guerra a bassa intensità occultata dalle Multinazionali - attraverso il controllo dei media, in particolare dall’ENI per quanto riguarda l’Italia. Nel dicembre 2006, abbiamo lanciato un primo appello al Governo italiano, insieme a Padre Zanotelli ed altre organizzazioni per “liberare gli ostaggi e disinquinare la Nigeria”. Il 6 febbraio 2006, abbiamo incontrato il presidente della Camera Fausto Bertinotti, il capogruppo alla Camera Gennaro Migliore e il Ministro del’Ambiente, Pecoraro Scanio, per segnalare l’esplosività della situazione, chiedendo di intervenire tempestivamente sull’ENI.

I rapimenti dei tecnici delle compagnie petrolifere, come gli attacchi ai siti delle multinazionali si stanno moltiplicando. Sembra essere l’unico modo per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. Riuscite ad operare e coordinarvi in questi luoghi nonostante la drammatica situazione?
E’ vero, lo stesso MEND non lo nega, i rapimenti vengono utilizzati per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle drammatiche condizioni di vita delle popolazioni del Delta, principalmente gli Ijaw che con i suoi 14 milioni di persone sono la più povera etnia nigeriana, dalla quale provengono i componenti del MEND. La nostra attività, tra mille difficoltà, come ho evidenziato, si svolge soprattutto nel territorio nazionale attraverso una fitta operazione di sensibilizzazione.

Il Mend potrebbe segnare l’inizio di un cambiamento in positivo per questo popolo, oppure, vista la dilagante corruzione, potrebbe esclusivamente battersi per poi successivamente ottenere una fetta di questo mercato miliardario. Cosa ne pensi?
Noi non siamo entrati nel merito di come il MEND abbia portato avanti la sua battaglia, ma abbiamo rilevato come le richieste portate avanti siano ragionevoli. Esigenze legittime che si basano sulla fine del saccheggio indiscriminato del territorio, ad un’equa ripartizione delle ricchezze petrolifere, al risarcimento del debito ecologico e alla fine della p