Home > No alla missione militare in Libano
Non siamo contrari ad interventi di interposizione di forze di pace tra parti belligeranti, a patto che questi svolgano effettivamente un ruolo di equidistanza tra i contendenti per l’affermazione di una pace giusta.
Il contingente UNIFIL che si dispiegherà nel sud del Libano, di cui l’Italia farà parte, non potrà avere questa funzione, perché inviato in forza di una risoluzione O.N.U. che ignora che Israele, oltre ad occupare il Libano, ha deliberatamente colpito la popolazione civile, distrutto infrastrutture (depositi farmaceutici, ponti, centrali del latte) e, contemporaneamente, ha continuato la guerra nei Territori Palestinesi Occupati, bombardando la popolazione, sperimentando l’uso di nuove armi e sequestrando parlamentari e ministri palestinesi.
Inoltre, non costituisce equidistanza tra le parti il fatto che la forza internazionale si schieri interamente sul territorio del paese invaso, nella stessa area attualmente occupata dall’esercito invasore, e non a cavallo del confine.
L’Italia, in particolare, non può essere considerato un paese equidistante tra le parti in causa, avendo stipulato un accordo di cooperazione militare con Israele.
Per tutta la missione è stato coniato un nuovo termine: “autodifesa preventiva”, vero e proprio mostro linguistico pari a quello di “guerra umanitaria” usato per l’aggressione alla Jugoslavia; formula che legittima le forze ONU ad attaccare e può giustificare, in pratica, qualsiasi operazione militare.
La parzialità della risoluzione, il modo non equidistante di insediare sul terreno la forza di interposizione, la sua composizione sbilanciata verso gli alleati di Israele, le regole operative della forza UNIFIL, mettono in luce che non di forza di interposizione si tratta, ma di una missione militare volta a stabilizzare il Libano in ottica filo-occidentale e a rendere più sicura Israele nel dominio delle risorse e dei territori occupati (oltre alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza, le Alture del Golan e le Fattorie di Sheba).
Questa operazione si inserisce in un contesto di guerra, in corso da almeno 15 anni, per conquistare e controllare le risorse petrolifere, per impedire lo sviluppo e il rafforzarsi di stati che egemonizzino il Medio Oriente con politiche non rispondenti alla volontà delle potenze occidentali (in primis gli U.S.A.). L’intervento in Libano con il suo portato di filo-occidentalizzazione e disarmo Hezbollah è quindi un tassello della “guerra infinita”, che vede l’Iran e la Siria, dopo l’Iraq e l’Afghanistan, nei panni dei prossimi “stati canaglia” da abbattere.
In questo contesto internazionale l’unica pace giusta e l’unica interposizione possibile è quella che abbia come base l’autodeterminazione dei popoli, e in Medio Oriente ciò significa innanzitutto consentire l’autodeterminazione del popolo palestinese.
L’Italia, dunque, non solo non deve andare in Libano, ma deve altresì ritirarsi subito da Iraq e Afghanistan come segno tangibile del rifiuto della logica della “guerra infinita” e per permettere la libertà e l’autodeterminazione di tutti i popoli dell’area mediorientale.
ASA ASSEMBLEA SPAZI AUTOGESTITI
AMBIENTE E FUTURO
SKA “SANKARA”