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Noi antirazzisti rifiutiamo il ricatto dell’antisemitismo

Publie le mercoledì 23 agosto 2006 par Open-Publishing

Il Libano ci pone un problema di coscienza

di Angelo D’Orsi

Non avremo mai sufficienti parole per esecrare quell’orrore. Ed è bene che ogni sforzo sia compiuto per ricordare a chi tende a dimenticare, e, scomparendo gli ultimi testimoni, per ricostruire storicamente, con la maggiore accuratezza possibile, la verità del tentativo di annientare un popolo, ma anche tutti coloro che, per dirla con Zygmunt Bauman, non rientravano nella logica del giardiniere Hitler: comunisti, zingari, omosessuali, testimoni di Geova... La scomparsa, appena avvenuta, di Pierre Vidal-Naquet, grande studioso, vigoroso avversario dei “negazionisti”, deve indurci a essere ancora più fermi nel mantenere le postazioni, quasi vigili sentinelle della verità della Storia.

Essere di sinistra, e sentirsi personalmente, anche affettivamente, vicino alla tragedia del popolo ebraico, e di tutti coloro che ne hanno condiviso le conseguenze, significa forse appoggiare la politica israeliana? Di più: significa accettare gli orientamenti politici delle Comunità israelitiche? Si guardi a quella italiana: non fu il capo rabbino di Roma ad accompagnare, e a preparare, la famosa visita di Fini in Israele? In pieno berlusconismo, mentre lo stesso Fini, che poco prima aveva dichiarato Mussolini “il più grande statista del secolo”, che si era espresso contro la possibilità per un omosessuale di essere docente a scuola, firmava l’odiosa legge anti-immigrazione insieme a Umberto Bossi...: un esempio di razzismo e di discriminazione clamoroso.

La medesima Comunità israelitica, sempre più prona alle scelte politiche dei governanti israeliani, in una pericolosa confusione di ruoli, per bocca delle sue autorità, non si è forse pronunciata in occasione della trattativa per la costituzione del governo Prodi, contro uno dei più significativi intellettuali italiani degli ultimi decenni, Alberto Asor Rosa, già oggetto di anatema, da parte dell’intero ebraismo italiano (per aver duramente attaccato la politica israeliana nel suo bel libro Sulla guerra)? Un’organizzazione religiosa, rappresentativa di meno di quarantamila persone, poneva un veto alla designazione a ministro di un individuo: a proposito di laicità dello Stato! Davanti a fatti come questo, un silenzio preoccupante ha lasciato libero campo all’integralismo israelitico, sempre più legato all’oltranzismo politico israeliano, quello che si sta rivelando nella sua cecità strategica e nella sua ferocia morale, nella campagna del Libano in corso.

E non dovrebbero inquietarsi almeno un po’, gli ebrei democratici e di sinistra, a Tel Aviv come a Roma, della solidarietà ingombrante che la destra, tranne qualche frangia folclorica, tributa alle poderose armate d’Israele? Si osserva, al contrario, da parte di sostenitori delle ragioni di Israele, che il fatto che scrittori come David Grossman, Amos Oz, Abraham Yehoshua, o la cantante Noa, di solito colombe nel panorama del loro paese, questa volta pur con accenti diversi abbiano accettato questa guerra, dimostrerebbe la sua natura “giusta”. Poi sono cominciati a moltiplicarsi gli “errori” - Cana, è solo uno dei più emblematici e sanguinosi - e qualcuno, come Grossman, per esempio, ha accennato a uno smarcamento. E da noi? Non pochi intellettuali democratici, ma anche politici del Centrosinistra, hanno mostrato attenzione soprattutto per il diritto all’autodifesa di Israele, in una troppo equanime spartizione dei torti: insomma, il “feroce volto della guerra” a mezzadria tra Hezbollah e Talallah (l’esercito israeliano), evocato da Gianni Riotta, che tuttavia rischia di dimenticare il terzo attore, la vittima sacrificale, il popolo libanese.

E che dire della cinica ironia dispensata dal Foglio di Giuliano Ferrara ieri l’altro? Una disgustosa requisitoria scagliata contro gli imbelli pacifisti che avessero osato piangere di fronte alla strage di bambini di Cana, «è una vita che siete buoni e che piangete, che c’avete la commozione incorporata e la lacrima in servizio permanente lacerante - un’idea originale, si diceva, non potevate trovarla? Almeno su Cana? Un modo per sorridere del dolore sui bambini che pure vi travolge e vi ha impedito il bagno allo stabilimento, o la cotoletta panata con gli amici?». E via di seguito fino al finale beffardo: «Non potevate fingervi ebrei per una volta nella vita, come avrebbe detto Kennedy, e scherzare che quel missile sulla casupola di Cana era figlio, che ne so?, della Mira del pianto?».

Ci sono poi i soliti Bettiza o Magdi Allam (a cui, in questa come in tutte le ultime guerre infinite, spetta la palma del peggiore, un osceno seminatore di odio), per citare solo due nomi, che ingigantiscono le minacce che gravano su Israele, costruiscono foschi scenari geopolitici, per arrivare ancora una volta a giustificare l’ingiustificabile. A loro, però, non è nemmeno più necessario menzionare l’Olocausto; siamo noi, noi intellettuali di sinistra, che siamo soggetti a questa continua sollecitazione, che non si può che chiamare il ricatto della Shoah. Forse la guerra feroce in corso in quella terra gentile che è il Libano, paese a maggioranza cristiana, paese di “semiti”, costituisce il punto di non ritorno, detonatore possibile di una gigantesca deflagrazione che rischia di travolgerci tutti.

Punto di non ritorno anche per le nostre coscienze: perciò è tempo di gridare sui tetti ciò che tanti di noi - popolo di sinistra, antifascisti, antirazzisti e egualitari - mormoriamo da tempo all’orecchio: basta con il ricatto dell’Olocausto. Non si può, per riparare a una tragedia irredimibile, consumata nella Seconda Guerra mondiale, dar vita a un’altra tragedia senza fine. Oggi, è chiaro, non è pensabile uno Stato di Palestina, dove vivano in pace arabi, palestinesi, ebrei, cristiani; ma è pensabile e perseguibile uno Stato dei Palestinesi, a cui gli israeliani, fattisi ragionevoli, restituiscano ciò che con la violenza hanno tolto nel corso dei decenni, pezzo dopo pezzo. Ed è pensabile e necessario che il mondo democratico dica che il terrorismo è anche, e forse prima di tutto, quello israeliano, e statunitense. E che si può, e oggi, davanti alle braccia irrigidite dei bambini di Cana, si deve, essere antirazzisti e antifascisti, senza cadere nella trappola dell’anatema dell’antisemitismo.

Liberazione 4 agosto 2006