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Noi e i testi marxiani, una risposta a Gianni

Publie le domenica 9 novembre 2008 par Open-Publishing
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Noi e i testi marxiani, una risposta a Gianni

di Alberto Burgio

Nell’intervenire nella discussione sul comunismo (cominciata in realtà diversi mesi fa sulle pagine di essere comunisti), Alfonso Gianni parte da una premessa del tutto condivisibile. Discutendo, scrive, bisognerebbe «evitare gratuiti immiserimenti delle rispettive posizioni». Giusto. Siccome Gianni ha la cortesia di occuparsi, tra l’altro, della mia risposta all’articolo di Marcello Cini e, nel farlo, mi attribuisce affermazioni nelle quali non mi riconosco (così come, del resto, ascrive a Cini tesi diverse da quelle che mi pare Cini sostenga), mi sembra doveroso – e coerente con il principio metodologico che egli enuncia – tentare di dissipare qualche equivoco.

Non ho inteso suggerire – e non mi pare di avere scritto – che il Capitale «superi» i Grundrisse. Mi pare piuttosto sia Cini a sostenere il contrario, attribuendo a Marx l’idea che «oggi la sua stessa teoria del valore-lavoro» (quella enunciata nel Capitale) «non sarebbe più stata adeguata», mentre lo sarebbe quella contenuta in alcune pagine dei Grundrisse. A parte il fatto che è tutto da dimostrare che effettivamente quelle pagine contengano (o alludano a) una diversa teoria del valore, mi pare che l’«onere della prova» incomba su chi sostiene che un autore abbia pubblicato un’opera pur ritenendone «inadeguata» (e già superata da teorie consegnate ai propri appunti inediti) la tesi fondamentale. Non mi pare un comportamento immediatamente comprensibile. Soprattutto in questo caso, considerato il ruolo che Marx annette al Capitale nel quadro della propria produzione teorica.

Concordo con Gianni sul fatto che il pensiero di Marx (come quello di chiunque, del resto) si evolva nel tempo. Tale generalissima avvertenza non basta tuttavia a dimostrare la fondatezza di una determinata interpretazione della sua evoluzione. Di che si tratta tra noi? Di due questioni in particolare, entrambe legate all’analisi del processo di accumulazione.

La prima concerne la natura del capitalismo contemporaneo. Cini ritiene che lo sviluppo della produzione di beni immateriali abbia modificato il processo di valorizzazione. Per questo si volge ai Grundrisse che – come ho ricordato – considera più avanzati rispetto al Capitale. Nel rispondergli, ho provato a mostrare come invece per Marx la logica della valorizzazione rimanga immutata indipendentemente dalla natura della merce. Gianni legge il testo da me citato rovesciando l’argomento: a suo giudizio, Marx sottolinea che la natura del prodotto «non cambia nulla» ai fini della valorizzazione poiché intende «distinguere tra beni immateriali e beni materiali». A me sembra un ragionamento davvero bizzarro. Mi pare che, lungi dal rafforzarla, la prima affermazione limiti la seconda. Tendo quindi a pensare che – se veramente volesse sostenere la tesi che Gianni gli attribuisce – Marx eviterebbe di porre l’accento sulla non-rilevanza delle caratteristiche della merce. Ma evidentemente, nella lettura dei testi, Gianni ed io maneggiamo armamentari logici differenti.

La seconda, ben più corposa questione sul tappeto riguarda il ruolo del lavoro vivo nel processo di riproduzione. Gianni mi critica perché attribuirei arbitrariamente a Cini la tesi della «esistenza del capitalismo senza lavoro salariato», laddove invece Cini si limiterebbe a sostenere che, in conseguenza dello sviluppo della produzione di beni immateriali, «è cambiata la composizione di capitale e lavoro». Non dubito che Gianni conosca assai meglio di me il pensiero di Cini e non ho difficoltà a credere che la sua sintesi lo rappresenti precisamente.

Ma l’articolo al quale ho provato a rispondere non sostiene quanto egli afferma. Cini scrive che il capitale «è riuscito a trasformare in merci, appropriandosene, quei beni non materiali che “l’individuo sociale” crea». Giusta o sbagliata che sia, questa tesi (secondo me prossima alle posizioni di Antonio Negri, e non vedo perché dirlo sarebbe farle torto) ha una sua indubbia forza proprio nella misura in cui coinvolge l’analisi della valorizzazione. Se le parole hanno un senso, significa sostenere che oggi il capitale riesce a valorizzarsi appropriandosi immediatamente – cioè al di fuori della relazione salariale – dei prodotti del general intellect.

E difatti da questa premessa Cini desume l’ipotesi che «il peso e l’efficacia del lavoro» si siano ridotti «nel conflitto con il capitale» (ciò che gli pare a sua volta utile a comprendere perché «la classe operaia non c’è più»). Francamente non mi pare un gran servigio ridurre questo complesso ragionamento alla semplice – e, non me ne voglia Gianni, alquanto banale – affermazione della mutata composizione del capitale e del lavoro: mutamenti che Marx stesso tematizza studiando la storia interna del capitalismo, e a fronte dei quali – questo mi pare il punto decisivo – considera invariante la logica dinamica della «riproduzione allargata» del capitale.

Dopodiché siamo d’accordo: Marx non ci basta. Non è la Bibbia, e del resto anche la Bibbia va continuamente riletta e reinterpretata alla luce delle esperienze e dei mutamenti reali. Ognuno rilegge Marx e la storia del comunismo a suo modo: Gianni (con Fausto Bertinotti) sbarazzandosi senza remore della «storia del comunismo fattosi stato», altri considerando meritevole di attenta riflessione tutta la storia del movimento operaio e comunista, anche quella dell’esecrabile Novecento. Va bene così, proprio perché (e finché) in una discussione ci si prende sul serio, senza banalizzare le posizioni dei propri interlocutori.