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Non contate su di noi «Cinema Invisibile italiano»
Publie le lunedì 9 ottobre 2006 par Open-Publishing
Sergio Nuti, l’«invisibile»
Cristina Piccino
Roma
È capitato quasi per caso, alla sala Trevi qualche sera fa di vedere un film che per anni è rimasto invisibile. La serata si chiamava infatti «Cinema Invisibile italiano», e è anche questo il lavoro della Cineteca, restituire agli occhi e alle sensibilità tutto quanto la visione controllata nasconde, pure come nel caso in questione senza un investimento pubblicitario pomposo vista la situazione della Cineteca nazionale come della scuola di cinema.
Eppure la sala era piena, amici e non soltanto, un crossover di generazioni incantate dalle immagini di Non contate su di noi, esordio alla regia di Sergio Nuti, poi montatore e collaboratore tra gli altri di Bellocchio, Mingozzi, Giordana che del film è anche protagonista e sceneggiatore. Una storia che racconta un’epoca italiana, una città, Roma, il sistematico massacro «grazie» all’eroina di tutti i proletari e di coloro che erano potenzialmente forza d’opposizione. Un po’ come aveva fatto Antonello Branca in Storia di Filomena e Antonio realizzato più o meno nello stesso periodo (è il 76, Non contate su di noi è del 78) con set Milano.
Qui Nuti è un borghese, «Flauto», ragazzo di Balduina, nuovi quartieri «bene» che si intrecciano alla realtà delle periferie con l’eroina. Viaggi in territori sconosciuti del paesaggio urbano cercando la roba, l’attesa infinita del pusher, il malessere dell’astinenza, la paranoia dei poliziotti che alleandosi con gli spacciatori fabbricano prove false per sbattere in galera i più deboli. «Flauto» incontra Maria (Francesca Ferrara, di bellezza metropolitana e morbida sensibilità), tossicodipendente, la ama, inizia a dividere con lei il quotidiano di siringa, attese, il gruppo che si ritrova nella piazzetta di Primavalle a lui fino allora sconosciuta.
La periferia sono ancora le baracche, il resto della città le palazzine di speculazione edilizia, la voce fuori campo gli scontri del 77 dove la polizia di Cossiga uccide Giorgiana Masi ... E intanto gli altri, quelli che già prima hanno iniziato a «farsi» si chiudono in casa come poi avverrà per tutti.
La bellezza di questo film sta anche nelle sue contraddizioni, il finale ambiguo di redenzione carceraria - ma a leggere i diari di Pierre Clementi scritti a Regina Coeli le cose erano molto diverse. Però è pure aperto, senza una risoluzione, la ragazza che se ne va rifiutando dalle istituzioni il certificato di «tossicodipendenza» marchio per continuare a essere obiettivo di persecuzioni verso forse un cambiamento, lui che resta nel mezzo, qualcuno che impazzisce.
C’è la sensibilità calda, in prima persona, di un’esperienza che è generazione e passato/presente italiano. Senza ipocrisie, senza moralismi, senza estetizzare quel quotidiano, al contrario fluido, nella sua durezza e nei frammenti di un’ impossibile utopia di felicità. Scene da documento di vita in iperrealismo (e non solo perché la copia è segnata da un principio di fading del colore), contaminazione e gioco divertito di «generi» tra cinema di serie b (il poliziotto è già Tomas Milian), on the road americano, radicalità politica estremista, underground ribelle (gli attori tra l’altro sono tutti non professionisti), i gesti perfomativi dell’eroina quasi didattici alla maniera rosselliniana.
Non contate su di noi è un grido sempre attuale. Forse per questo lo hanno fatto sparire, girato in 16 millimetri e poi gonfiato in 35, il negativo originale non si trova più (alla Cineteca ci sono i duplicati negativi e una copia positiva integra) cancellando anche il suo regista, censurato da mercato e tv come tutti gli immaginari italiani meno controllabili. Un modo anche questo per distruggere intuzioni future.