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Non possiamo «star fermi un giro»
di Claudio Grassi e Bruno Steri
Le elezioni europee si avvicinano e, a sinistra, comprensibilmente ci si interroga sul che fare. L’indicazione di una strada percorribile è resa tanto più urgente in quanto il contesto in cui si situa questa scadenza elettorale è quello di una drammatica crisi economico-sociale che, al di là delle dichiarazioni rasserenanti quotidianamente rilasciate dagli esponenti del governo, colpisce duramente le classi popolari del nostro Paese. Oltre a ciò – e non a caso – si irrigidisce ulteriormente il quadro politico-istituzionale. Non si tratta solo delle ultime gravissime dichiarazioni contro la Costituzione pronunciate dal Presidente del consiglio, in concomitanza con l’innescarsi di una preoccupante conflittualità tra le massime cariche dello stato: significativi strappi si erano già prodotti sul terreno delle relazioni sindacali e su quello della rappresentanza politica. L’organizzazione padronale e il governo delle destre hanno infatti conseguito la rottura del sindacato confederale, avendo di mira una sostanziale mutazione della sua ragione sociale (come è stato detto: da sindacato del conflitto a sindacato della compartecipazione). In una tale drammatica congiuntura sociale, il gruppo dirigente oggi alla guida del maggior partito di centro-sinistra ha accettato supinamente una tale operazione regressiva e, contestualmente, ha promosso alla vigilia di una delicata campagna elettorale un’iniziativa bipartisan volta a comprimere il carattere proporzionale del voto. E, per questa via, a fare terra bruciata alla sua sinistra.
Continuiamo a dire che su quest’ultimo provvedimento, pur se è già passato alla Camera grazie ad una solida maggioranza bipartisan, non siamo disposti a glissare: lo contrasteremo fino all’ultimo minuto disponibile. Non si tratta di essere oltre misura spaventati da uno sbarramento del 4%, come ha lasciato intendere qualche giorno fa Luigi Nieri su questo giornale. Simili toni minimizzanti servono solo a lasciare in ombra l’essenziale, cioè il vulnus inferto al sistema delle regole istituzionali: come ha recentemente rilevato su Europa lo stesso Walter Tocci, si cerca di catalizzare consensi (o meglio rallentarne l’emorragia) non attraverso il normale confronto politico e una dialettica delle argomentazioni, ma a colpi di modifiche normative, piegando di volta in volta a proprio vantaggio il dispositivo elettorale. In proposito, spesso si afferma che nella maggioranza dei Paesi Ue esiste un’analoga barriera elettorale. Non è affatto così: dei 27 Paesi che compongono l’Unione Europea sono in undici ad avere la suddetta soglia. Per non parlare, poi, del merito della questione: se alle Europee del 2004 una forza politica avesse ottenuto il 3,9% dei voti in presenza di uno sbarramento del 4%, ciò avrebbe significato l’azzeramento di un milione e duecentomila voti. Dunque, non precisamente una bazzecola.
Questa vicenda dimensiona l’entità dell’attacco cui sono sottoposte le forze politiche collocate alla sinistra del Pd: una grandezza che, almeno dal nostro punto di vista, ben esprime la consistenza delle divergenze strategiche. Da qui occorre partire per tracciare il percorso di un’unità possibile, in vista delle imminenti elezioni, delle forze comuniste e anticapitalistiche: forze partitiche, sociali, associative, di movimento. Nel merito, i temi discriminanti ci paiono essenzialmente due: la netta opposizione a questa Europa, così come è stata costruita, al suo impianto liberista e autoritario; l’indicazione delle radici strutturali della crisi in corso – che stringe in un unico nodo perverso la devastazione economico-sociale, la catastrofe ambientale, il deperimento degli istituti democratici – e l’indisponibilità a riprodurre le medesime condizioni di partenza che l’hanno generata, a continuare dunque ad alimentare le crescenti sperequazioni di classe. L’articolazione di un programma da presentare agli elettori discende dall’intreccio di queste due questioni e dalla precisa scelta di campo che esse determinano.
Il Prc si è posto risolutamente su questo cammino, ma sappiamo bene di non essere i soli. Sentiamo la responsabilità di una scelta comune: anche perché, senza una tale scelta, non vi sarebbero altre voci a sostituirla. Le istanze sopra menzionate resterebbero del tutto mute. Così, senza presunzioni, sentiamo ad un tempo la nostra attuale fragilità e la nostra insostituibilità: ma è proprio per questo che non possiamo aderire alla sollecitazione di Gabriele Polo, il quale ci invita a “saltare un giro”. Comprendiamo le ragioni per cui esso nasce, ma pensiamo che tale suggerimento non tenga conto del fatto che in politica vige l’ “horror vacui”: non esistono cioè “vuoti”, che siano per così dire garantiti nel tempo. Se ne lasci uno, qualcun altro sopraggiunge ad occuparlo. E poiché crediamo davvero nel nostro progetto – situato, com’esso è, a ridosso delle urgenze quotidiane della nostra gente (anche e soprattutto di quella che non ci ha più votato) – “star fermi un giro” è un lusso che non ci possiamo permettere.
Così come percepiamo anche noi, come Rina Gagliardi, che sono cresciute “sfiducia, confusione, egemonia culturale della destra”. Ma proprio per questo, cara Rina, non ci sono consentiti ripiegamenti minimalisti né confusioni. Te lo diciamo con grande sincerità: non abbiamo mai creduto e continuiamo a non credere all’opposizione secca tra una natura corrotta dei “partiti” ed una incontaminata della “società civile”. Crediamo che il bene e il male siano equamente distribuiti su entrambi i fronti. E, soprattutto, pensiamo che le “competenze” debbano sì fortificare, ma non sostituirsi ad un chiaro “progetto politico”: un progetto politico appunto “anticapitalistico”, che nasca nel vivo del conflitto e delle lotte sociali e che sappia avvalersi di ciò che esiste in quanto forza organizzata (ovviamente, organizzata anche in partiti).
E, proprio perché la situazione a sinistra è quella che tu descrivi, proprio per questo pensiamo anche che non ci siano consentite ulteriori “confusioni”. Così come il riconoscimento dell’imprescindibilità di una dimensione continentale della politica deve, secondo noi, coniugarsi con il netto rifiuto di questa Europa e dunque del Trattato di Lisbona (che di essa costituisce la carta fondativa), allo stesso modo non può esservi ambiguità sulla collocazione politica della proposta e sul relativo riferimento in seno al Parlamento europeo: che, per noi, è il gruppo parlamentare alla sinistra del Partito socialista, il Gue (Gauche Unitarie Européenne) nel quale oggi si riconoscono le forze europee comuniste e anticapitaliste. L’unità si fa con la buona volontà e con la chiarezza dei suoi presupposti.
Anche perché crediamo che l’elettorato possa essere disorientato, ma non è certo stupido: ha già mostrato - e giustamente - di non gradire ammucchiate spurie e politicamente incomprensibili.
Per questo, ci dichiariamo aperti ad un discorso di unità, che si concretizzi in una lista comunista e anticapitalista avente come comune supporto il riferimento al Gue. Entro questa cornice, pensiamo sia possibile misurare nella chiarezza la praticabilità di un programma elettorale e la possibilità di costruire quell’efficace opposizione alle destre che sino ad oggi nel nostro Paese ha latitato.