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Non solo disoccupati: sempre più operai si trovano sotto la «soglia»
Publie le giovedì 6 novembre 2008 par Open-PublishingNon solo disoccupati: sempre più operai si trovano sotto la «soglia»
di Galapagos
I poveri esistono ancora. E sono tanti: oltre sette milioni e mezzo di italiani, quasi il 13% dell’intera popolazione, secondo quanto stima l’Istat per il 2007. E’ da paese civile, da settima potenza economica mondiale che un cittadino su 8 sia povero? E’ da paese democratico che da anni - e senza distinzione di colore dei governi in carica - non si riesca a far fare un piccolo salto di qualità alla vita di milioni di persone? Come si può spacciare per aiuto ai più deboli la «social card» - 40 euro al mese - della quale beneficeranno solo i molto poveri che seguiteranno a rimanere molto poveri e non solo statisticamente? Inutile sottolineare che nel Mezzogiorno le percentuali di povertà si moltiplicano a volte per tre.
Certo, stiamo parlando di povertà relativa, qualcosa di incommensurabile con il miliardo e passa di persone che nel mondo vivono con un euro al giorno. Per essere più chiari, la soglia di povertà relativa in Italia per una famiglia di 2 persone è fissata in 986 euro, 1 milione 900 mila vecchie lire. Con meno di 1000 euro al mese, ci dice l’Istat, si vive (anzi si sopravvive) parecchio male, non si arriva alla fine del mese, anche a tirare la cinghia a più non posso.
Ma chi sono i poveri? Prima di tutto i disoccupati - ci dice l’Istat - con una percentuale del 27%. A seguire i non occupati (13,9%) che sono le persone che non cercano lavoro solo perché sanno che tanto non lo troverebbero e vanno a ingrossare le file del lavoro nero. A seguire quelli (12,3%) che si sono ritirati dal lavoro e campano con una pensione irrisoria.
Insomma, niente di nuovo: visto che lo stato sociale è quasi assente e non vengono creati posti di lavoro o condizioni per favorire l’accesso al lavoro per mancanza di strutture di sostegno alle donne con figli.
Ma quello che è più grave è che sta avanzando una nuova categoria di poveri. Sono gli operai, i lavoratori monoreddito con bassi profili professionali: sono il 13,9% del totale degli operai e sono in crescita perfino nel ricco Nord, dove in un anno sono saliti dal 6,7 al 7,6%. Siamo di fronte al popolo dei call center, della «false» partite Iva, degli occupati nelle ditte di pulizie, ma anche dei part time occupati anche nell’industria che difficilmente arrivano a 700 euro al mese.
Le leggi sulla precarizzazione del lavoro sono sicuramente servite a migliorare le statistiche sugli occupati e quelle sul tasso di disoccupazione, ma nulla hanno modificato sul fronte dei redditi. E la povertà ora alligna anche in chi ha un lavoro spesso faticosissimo, ma retribuito con salari di merda. E questo ripropone la questione del modello contrattuale che forse favorirà l’elite operaia, ma penalizza milioni di lavoratori che rischiano di sprofondare nell’inferno della povertà, dell’emarginazione sociale con un modello che assomiglia sempre più a quello - profondamente ineguale - degli Stati Uniti.
Il livello di povertà, come sempre, è inversamente proporzionale al livello di istruzione: altissima per chi ha al massimo ha fatto le elementari, modesta per chi ha come minimo la licenza di media superiore. E l’istruzione è una variabile dipendente del livello di povertà. Ma questo problema la riforma Gelmini non lo risolve. Anzi lo esaspera: l’istruzione accentuerà la sua caratteristica di classe con l’esaltazione delle scuole private.