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Norimberga argentina

Publie le lunedì 1 settembre 2008 par Open-Publishing

Norimberga argentina

di Sebastian Lacunza

Gli ex generali Benjamin Menendez e Domingo Bussi, fra i più sadici killer della dittatura militare, condannati all’ergastolo a Tucuman da una giustizia che ci ha messo molto tempo ma poi è arrivata. Anche se sempre con troppi privilegi per gli assassini. Come gli arresti domiciliari

La provincia di Tucuman, epicentro del nord argentino, si è ritrovata questo giovedì a guardarsi nello specchio. Antonio Domingo Bussi, brutale repressore, governatore militare negli anni Settanta e governatore democratico eletto dal voto popolare nel ’95 è stato condannato all’ergastolo per la desaparicion di un senatore provinciale peronista nel 1976. Insieme con Bussi, che potrà scontare la sua pena nella lussuosa casa di una nuora, perché il tribunale federale di Tucuman gli ha concesso «momentaneamente» gli arresti domiciliari per l’età avanzata - ha 82 anni - e problemi di salute, è stato condannato a vita anche Luciano Benjamin Menendez («la jena», il cane). Era il superiore diretto di Bussi a capo del III Corpo d’Armata dell’esercito, di stanza nella provincia di Cordoba, e si trova già in carcere per una sentenza recente in un altro processo.

Dopo la lettura della sentenza sono scoppiati incidenti tra polizia e attivisti dei diritti umani e di sinistra che protestavano per la concessione degli arresti domiciliari a Bussi, su cui dovrà decidere in via definitiva il tribunale il 5 di settembre. «I due demoni». è stato il titolo di ieri del quotidiano Pagina 12, un ironico gioco di parole fra quell’accoppiata dell’orrore e la teoria dei «due demoni» con cui un settore della società argentina, minoritario ma consistente, specialmente a Tucuman, cerca di equiparare il terrorismo di stato con i crimini della guerriglia negli anni Settanta, a rigore divisi da un abisso sul piano quantitativo, qualitativo, legale ed etico.

La storia di Bussi, responsabile per centinaia di desaparecidos e dotato di una crudeltà infinita secondo decine di testimonianze, chiama in causa la società tucumana. A differenza del Cile, dove Pinochet ha avuto anche un seguito elettorale e i suoi successori ideologici, per quanto sfumati, continuano ad averlo, il vertice militare argentino non ha mai goduto del minimo credito sociale dal momento in cui dovette lasciare il potere nel 1983. Tranne Bussi.

Dopo avere decimato a spezzato la spina dorsale della società tucumana, il dittatore ha mantenuto un profilo basso nei primi anni della democrazia, fino a quando nel 1987 cominciarono a sorprendere i suoi buoni risultati elettorali. La sua popolarità crebbe fino a che nel 1995 riuscì a farsi eleggere governatore, dopo il crollo delle versioni locali dei due partiti tradizionali, peronista e radicale. Nel 1991 fu eletto deputato nazionale, carica che non potè assumere perché il Congresso lo rifiutò. Nel 2003, quando già i processi contro i repressori cominciavano a riprendere e i tabù della dittatura a rompersi, Bussi fu eletto sindaco della capitale, San Miguel de Tucuman, carica che non potè assumere perché infine la giustizia lo raggiunse.

Da allora il dittatore ha fatto ricorso ai suoi presunti problemi di salute per sfuggire al processo. La pazienza della giustizia è durata fino all’ultimo mese, quando ogni «ricaduta», ogni «mancamento», convincevano i medici a proclamare che Bussi non era in condizione di affrontare il processo per la sparizione del senatore Guillermo Vargas Aignasse, solo uno delle centinaia di casi che comprendono desaparecidos, auto piene di presunti sovversivi fatte saltare, esecuzioni sommarie, cadaveri esibiti come trofei.

Tucuman è una provincia piena di contraddizioni. Povera come tutto il nord argentino, ha una capitale vigorosa che è sede di una importante università. Storicamente, e soprattutto negli anni Settanta, ha attratto migliaia di giovani dalle province vicine e da Bolivia, Perù e Cile. Un altro tipo di immigrati arrivano su queste terre per il taglio della canna da zucchero, la sua cultura principe, e la raccolta degli agrumi.

In questo scenario la guerriglia marxista dell’Erp (Ejercito revolucionario del pueblo) mise radici a Tucuman all’inizio degli anni Settanta. Se i montoneros, il gruppo peronista nazionalista di sinistra, furono maggioritari e urbani,l l’Erp fu più piccolo, intellettualmente più solido e riuscì a penetrare nella selva e nell’interno tucumani come nessun altro gruppo armato in argentina. Da allora, durante il governo di Peron (1973-1974) e di sua moglie che gli succedette, Isabel Martinez (1974-1976), entrambi nelle mani di gruppi dell’ultradestra, Tucuman fu il laboratorio sperimentale della massiccia repressione illegale che in seguito causò tra gli 11mila e i 30mila desaparecidos. E lì compare Antonio Bussi.

Nel febbraio 1975 iniziò l’«operazione indipendenza», con cui i militari cominciarono a compiere massacri su massacri. L’esercito, prima al comando del generale Adel Vilas e poi, a partire dal dicembre di quello stesso anno, con Bussi alla sua testa, cominciò a insediare grupos de tarea - squadre d’azione - all’interno stesso degli zuccherifici, con la complicità dei loro proprietari. Il tenente colonnello Jorge Mittelbach, destinato allo zuccherificio di Santa Lucia, chiese di essere rilevato nella sua prima notte di servizio se non si fosse chiusa la camera di tortura. La sua carriera finì lì, e dovette subire anche successive sanzioni. I gruppi dei diritti umani ritengono che almeno duemila persone scomparvero o furono uccise prima che la dittatura si insediasse, nel marzo del 1976, e altre seicento-settecento seguirono la stessa sorte una volta entrato in carica il governo militare.

Testimoni raccontano di come Bussi arringasse la truppa spiegando la migliore tecnica per il colpo alla nuca.- Bussi è anche ricordato per la soluzione finale data alla mendicità nelle strade di San Miguel de Tucuman, la capitale: riempì i camion di mendicanti e li depositò in province vicine ancora più povere. Trent’anni più tardi, qualcun altro in Europa ha ripreso l’idea.

Fino all’ultimo momento Bussi ha cercato di gettare fango sul desasparecido Vargas Aignasse e sulla sua famiglia. Nel processo ha anche attaccato la pubblica accusa. Ma qualcosa che ha detto in sua difesa era vero: la società tucumana lo ha votato. Come Menendez nel tribunale di Cordoba, il dittatore di Tucuman ha fatto un comizio politico e ha detto che coloro che «persero la guerra» ora si vuole prendere la rivincita. A Cordoba questi discorsi hanno provocato le risate dei presenti al processo. A Tucuman, il silenzio e l’indignazione. Lì le ferite non si sono ancora chiuse.

su Il Manifesto del 30/08/2008