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Nuova finanza, vecchia politica dietro i guai di Consorte

Publie le mercoledì 28 dicembre 2005 par Open-Publishing
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IL COMMENTO

Nuova finanza, vecchia politica
dietro i guai di Consorte

di ALBERTO STATERA

"NIENTE, niente Gianni, niente...". A Fassino è meglio non dire niente, raccomanda il tesoriere dei diesse Ugo Sposetti, nipote di uno dei caduti sessant’anni fa nell’eccidio di Montalto ed ex sindaco decisionista di Bassano in Teverina. Lo raccomanda a Gianni Consorte che gli annuncia il 6 luglio "la più bella operazione fatta in Italia negli ultimi 15 anni". È il "via libera" all’Opa Unipol su Bnl. Ma perché Fassino non deve sapere, o, al massimo, può sapere "senza dettagli"? Ecco nella conversazione di due "compagni" del secondo millennio la prova, registrata sui nastri delle intercettazioni telefoniche, della fatica, quasi del supplizio, di coniugare a sinistra finanza e politica, potere e denaro, etica e battaglie elettorali, interessi privati - che a quel che sembra Consorte non trascurava - e dedizione alla causa.

Perché Fassino deve sapere il meno possibile? Perché - ipotesi numero uno, ma da educande - è meglio che il segretario politico venga lasciato fuori dalle tecnicalità di un’operazione che muoverà miliardi di euro, che richiederà ancora spregiudicatezza, accordi trasversali, se occorre manipolazione di autorità preposte ai controlli, complicità con banchieri rampanti o felloni e con prestanome dalle origini incerte, quando non evidentemente fangose.

Ma siccome a pensar bene si sbaglia quasi sempre, si può pensar male e - ipotesi numero due, ma altrettanto minimale - il segretario non deve sapere più di tanto perché la pratica spetta non a lui, ma, come dicono in molti, al presidente D’Alema, l’uomo che, quando fu a palazzo Chigi, s’impegnò con lucidità e determinazione alla ricerca di alternative credibili a un capitalismo decrepito, morente o già morto insieme ai suoi secolari esponenti. Sbagliò cavalli? Può darsi, anche se Colaninno, leader della madre di tutte le privatizzazioni, la Telecom, si fa onore un lustro dopo in attività produttive degne di tutto rispetto.

O, se vogliamo, terza e più solida ipotesi. La politica conta sempre meno, la nuova finanza trasversale ha preso il controllo, ha il sopravvento. Non più laici, rossi o bianchi. Affaristi. Non c’è bisogno, al momento, che Fassino sappia tutto perché la filiera Banca d’Italia, banchiere di riferimento, immobiliaristi, "capitani coraggiosi" ed epigoni è ormai autoreferenziale. La politica è un utile apparato di sostegno, soprattutto quando non s’impiccia troppo.

I politici sono sì indispensabili doganieri, ma doganieri che si comprano con un pezzo di pane. Non è forse stato così con la Lega? E’ bastato salvare dal crac con i due soldi messi da Fiorani la loro banchetta riciclatrice di denaro d’incerta provenienza e d’incerta destinazione, per farne fedelissimi lobbisti. E poi i Brancher, i Grillo, gli Ascierto, le decine di parlamentari di destra "a disposizione" per i progetti del nascente capitalismo straccione e, a stare ai fatti già noti, piuttosto truffaldino.

Il profilo di Consorte è ormai affidato alle gesta di cui di giorno in giorno si ha notizia. Ma Sposetti, l’uomo delle finanze diessine, il risanatore delle disastrate casse del Bottegone? Com’è possibile che parli con Consorte come se il suo referente fosse il Bonaparte dell’Unipol e non il segretario del suo partito? Una volta gli scappò una frase del tipo "Noi dell’Unipol". Ma non si può inchiodare nessuno a una battuta. Il tosto marchigiano originario di Tolentino, che da sindaco ha risanato il borgo medievale di Bassano in Teverina, nel Viterbese, e ha fatto anche il sottosegretario alle Finanze, è di sicuro un benemerito del suo partito. Ma quanto deve a Consorte?

I bilanci parlano chiaro, o almeno di questo siamo convinti. Il Bottegone aveva da ripianare qualcosa come mille miliardi di lire di debiti. Oggi, se non andiamo errati, il debito consolidato del Botteghino è di 160 milioni di euro o poco più, con un abbattimento di 400 milioni. La Beta Immobiliare è in utile per oltre 46 milioni e persino l’"Unità" produce qualcosa.

Nell’opera finanziariamente ciclopica si sa che i diesse sono stati aiutati da Cesare Geronzi, gran capo di Capitalia e oggi nemico giurato di Fazio e della sua filiera di furbetti. Sposetti ha lavorato bene anche da solo con la campagna "Io ci credo", per finanziare le spese elettorali, con i contributi dei parlamentari, con gli sponsor alle feste dell’"Unità". Ma basta? Lui ha preso sicurezza, ha spiegato che il problema dei soldi alla politica non è una questione di bottega, ma di democrazia, che persegue etica e umiltà nell’impegno, ma che per occuparsi di denaro, che non è più sterco del diavolo, ci vogliono persone "sempre più specializzate e professionali". Ha gonfiato la sua squadra, qualcuno pensa che rimpianga il Bottegone pesante rispetto al Botteghino leggero, ora che i conti vanno meglio, molto meglio.

Al punto che si è messo a polemizzare direttamente col capo della sua coalizione. Quando i tesorieri di Prodi hanno protestato per gli scarsi contributi, lui ha latrato: "Prodi dica ai suoi cani di smettere di abbaiare".

Prodi gli ha spedito uno stock di cani di cioccolata.
Incidente chiuso, ma non tanto. Perché Rutelli - lamenta il tesoriere - lavora contro Consorte, ha chiesto anche a Marrazzo, presidente del Lazio, di schierarsi contro il benefattore delle cooperative.

Folclore, scene da un matrimonio litigioso, nel quale Sposetti fa il ruolo del marito di braccio corto, un po’ tirchio, prudente rispetto alla rissa che sarà tra i partiti dell’Unione per le candidature alle politiche di aprile.

Ma perché Fassino non deve sapere? "Niente, niente Gianni niente". Perché via Stalingrado conta ormai troppo sul Botteghino dai conti risanati? Perché il Cuccia di sinistra, che si faceva i suoi affari coi soldi di Fiorani, fa ormai il piccolo Napoleone cooperativo, il salvatore del partito "contiguo", di cui non è più lui "contiguo"?

"Non ci faremo triturare", promette D’Alema. Sacrosanto. Non si faccia triturare, con determinazione, prontezza e trasparenza.

Per non dover mai giustificare, come fece Craxi in un celebre discorso parlamentare, le "risorse aggiuntive" dei partiti.

(28 dicembre 2005) www.repubblica.it

Messaggi

  • Fassino dixit .....

    "La sinistra non ci sta: ’I giornali dei poteri forti ci vogliono mettere nel tritacarne’. Fassino: se ha elementi la magistratura indaghi, ma non si può non vedere che da mesi si cerca di impedire all’Unipol di fare un polo banche-assicurazioni" (l’Unità, 15 dicembre 2005)

  • "Bella scoperta davvero !! Nessuno, dico nessuno si era ancora reso conto che la "politica" sia ormai gregaria dell’ economia in generale e della finanza in particolare !! i fascisti di mussoliniana memoria di chi pensate fossero strumento e da chi fossero finanziati e sostenuti ??? Pubblicare oggi queste affermazioni fa davvero un pò ridere, come se nessuno per cento anni non avesse più letto libri storia o giornali !! ma viaaaaaaa !!!!"

    MaxVinella

    • GLI SCANDALI FINANZIARI DEMOLISCONO IL MITO DELLA MODERNIZZAZIONE CAPITALISTA

      L’Editoriale di Radio Città Aperta

      Il nuovo scandalo che si è abbattuto sul sistema bancario e finanziario italiano, è rivelatore di molte cose.

      In primo luogo emerge come l’universo dei “furbetti del quartierino” sia in realtà un buco nero che sottrae risorse alla ricchezza sociale del paese prodotta dal lavoro. E’ noto infatti che la rendita finanziaria in Italia (soprattutto immobiliare ma anche finanziaria) sia pari più o meno a sette volte e mezzo il prodotto interno lordo. Ciò significa che per ogni euro prodotto dal lavoro e dall’economia reale, ci siano sette euro e mezzo di rendita dovuti alla speculazione vera e propria.

      I Fiorani, i Ricucci, i Coppola e i Consorte, non hanno solo affondato le mani nelle tasche dei risparmiatori ma si sono appropriati di una ricchezza sociale creata da quelli che lavorano per ore nelle fabbriche, sui treni, nelle centrali elettriche, nei call center e negli uffici magari guadagnando settecento euro al mese.

      In secondo luogo emerge come sia ambigua e suicida la connivenza dei DS con quelli che D’Alema chiamò nel ’99 i “capitani coraggiosi” ossia i Colaninno, gli Gnutti e i Consorte che diedero vita alla scalata della Telecom per poi rivenderla a Tronchetti Provera incassandone enormi plusvalenze.

      L’idea che anche “la sinistra” dovesse partecipare ai fasti dei mercati e della speculazione finanziaria come omaggio alla modernizzazione capitalista, si sta rivelando non solo un boomerang ma anche una caduta di etica che, da sempre, deve rappresentare il valore aggiunto che la sinistra porta dentro la lotta politica.

      In terzo luogo occorre sfatare un mito nefasto: quello dell’esistenza di un “mercato pulito” esente dalle speculazioni e dagli arrembaggi degli squali della finanza. Sono quantomeno ridicoli i tentativi degli editorialisti del Corriere della Sera o del Sole 24 Ore di dipingere quanto accaduto con il nuovo scandalo finanziario come una eccezione e non come una regola. Il sistema capitalista non produce mostri anomali ma mostruosità normate dai suoi spiriti animali. Tale sistema è, in alcuni suoi aspetti governabile (quando lotta contro il lavoro) ma non è normabile attraverso un sistema di controllo pubblico e neutrale. I fatti di questi anni ci hanno confermato quanto siano innocue e consolatorie le varie Commissioni Antitrust. Infatti i processi di fusioni e concentrazioni monopoliste sono andate avanti senza alcun intoppo sostanziale, sospinte pesantemente da quel processo di privatizzazione totale che ha avuto il suo apice proprio nel governo dell’Ulivo. Oggi uno dei protagonisti di quel processo – Mario Draghi – si appresta a diventare governatore della Banca d’Italia sostituendo Fazio caduto in disgrazia. Ci verranno a dire che Fazio era una eccezione sbagliata mentre Draghi sarà la norma. Solo gli ipocriti e gli stolti potranno crederci.

      L’ondata di fango sollevata dallo scandalo Fiorani-Ricucci-Consorte rischia di travolgere alcuni protagonisti politici della Seconda Repubblica (incluso D’Alema), così come Tangentopoli schiantò quelli della Prima Repubblica. Ma il ceto politico post-tangentopoli non aveva annunciato la discontinuità con il ceto politico precedente? E quelli che seguiranno (e che potrebbero avere i volti arroganti, dalle molte facce e intriganti di Rutelli o di Casini) da cosa si “discontinuano” dagli altri se ne condividono in pieno la concezione amorale e antipopolare della modernizzazione capitalista?

  • UNIPOL

    Gioco dell’Opa ad alto rischio

    BRUNO PERINI

    Non c’è pace per l’Unipol. La notizia dell’iscrizione nel registri degli indagati della società, (vedi servizio accanto), oltre a non piacere agli operatori di piazza Affari, che ieri hanno fatto scendere il titolo con vendite a raffica, dopo aver spinto per le dimissioni di Consorte, non piacerà per nulla ai vertici di Holmo, la holding che controlla Unipol. Il quartier generale della società che ieri ha costretto Consorte e Sacchetti a uscire di scena ha fatto di tutto per separare le responsabilità dei singoli da quelle della società, nella speranza di non inficiare la scalata alla Bnl, ma evidentemente l’operazione chirurgica tentata dal gotha delle cooperative, con il pieno consenso dei Ds, è più difficile di quanto si immagini. D’altrondele strutture della società lo hanno seguito senza eccepire nulla fino all’ultimo momento e dunque i magistrati avranno buon gioco nel chiedere a Unipol, come hanno fatto con Antonveneta, una nuova corporate governance. L’iscrizione della società nel registro degli indagati è il primo passo per un intervento più «pesante» della magistratura nella gestione della compagnia di assicurazione. Nessuno per il momento ha chiesto il sequestro delle azioni, in mano alle banche, come è avvenuto in Antonveneta ma è certo che gli inquirenti stanno monitorando su ciò che accadrà ai vertici dell’Unipol per capire se ci sarò una discontinuità nella gestione oppure una continuità.A questo punto, quindi, non è escluso che la monumentale operazione su Bnl messa in piedi da Giovanni Consorte con il concorso delle banche straniere incontri difficoltà insormontabili sia sul piano finanziario sia su quello giudiziario. Se ne stanno accorgendo anche quei settori del pianeta Coop che fino ad ora sono stati alla finestra in attesa che si chiarisse la posizione di Giovanni Consorte.Gli ostacoli, quindi sono parecchi. L’inchiesta dei magistrati milanesi, ad esempio, è soltanto una parte dell’inchiesta giudiziaria a carico di Consorte e dell’Unipol. La magistratura romana non ha fatto ancora passi eclatanti ma gli inquirenti della capitale hanno acquisito documenti importanti dalla Consob e dalla stessa procura di Milano e quindi prima o poi potrebbero emettere provvedimenti giudiziari nei confronti della società e dei responsabili della gestione che ha portato all’opa Bnl. Se questo avvenisse Banca d’Italia e Consob non potrebbero non tenerne conto.

    Vi è poi l’attesa approvazione dell’opa Unipol su Bnl da parte della Banca d’Italia. Chi si pronuncerà a questo punto? Il reggente Vincenzo Desario o il nuovo governatore? L’ipotesi che i documenti dell’opa vengano presi in mano da Mario Draghi è piuttosto improbabile: il nuovo governatore è stato per anni il numero due della Goldman Sachs e come tutti sanno la banca d’investimenti era uno degli advisor degli spagnoli del Banco de Bilbao e quindi, per ragioni di opportunità difficilmente Draghi avrà voglia di partire con il piede sbagliato. La Banca d’Italia, comunque, non potrà non tenere conto delle obiezioni che ha fatto la Consob, imponendo a Unipol una rettifica del prezzo come «ammenda» per l’azione di concerto compiuta con Deutsche Bank.

    Infine c’è il delicatissimo tema delle banche straniere che per il momento hanno rinnovato il loro impegno nel finanziare l’opa su Bnl. Fino a quando gli istituti bancari esteri attenderanno le lunghissime procedure che si intravvedono all’orizzonte? Tra gli stessi operatori che hanno sempre lavorato su Unipol si comincia a incrinare la convinzione che l’offerta pubblica debba andare avanti a tutti i costi.

    Non è da sottovalutare, infine, l’offensiva dell’attuale gestione di Bnl. Ancora ieri Luigi Abete ha ribadito le sue critiche. In una lunga nota si legge che Bnl «rinnova il proprio convincimento che tutti i profili di criticità» già sollevati in merito all’opa di Unipol, «sono fondati e riflettono la corretta applicazione delle normative poste a tutela dell’interesse di tutti gli azionisti e della sana e prudente gestione della banca».

    www.ilmanifesto.it 30.12.2005