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Nuove testimonianze sulla morte del ragazzo "ammanettato" dalla polizia a Ferrara
Publie le sabato 14 gennaio 2006 par Open-Publishing«Federico implorava: basta...»
di Checchino Antonini
Ferrara nostro [inviato] - «Basta! Vi prego, smettetela!...». Sul blog è iniziato, sul blog continua. E’ la vicenda di Federico Aldrovandi, diciotto anni, morto all’alba del 25 settembre pochi minuti dopo essere entrato in "contatto" con un paio di volanti di polizia. Da allora i genitori e gli amici hanno visto rapidamente calare il sipario sulla vicenda con la stampa cittadina a occuparsi volentieri di altro dopo le pressioni della questura. Come un messaggio nella bottiglia, il blog aperto all’inizio dell’anno, naviga tra i flutti della grande rete e raccoglie altre centinaia di messaggi: quasi tutti, con l’eccezione dei soliti sciacalli, sono solidali con Patrizia Moretti, 44 anni, mamma di Federico e autrice del blog "più letto d’Italia". Alle 13,44 di ieri scrive un tale Simone, dice di abitare in via Ippodromo, proprio dove Federico ha vissuto i suoi ultimi minuti.
Alle 5,47 arrivò la prima volante, alle 6,15 i sanitari del 118 trovarono il corpo ammanettato, a faccia in giù, in una pozza impressionante di sangue, tanto che domandarono le chiavi delle manette agli agenti per girare il corpo e tentare una estrema rianimazione. Non c’era neppure un battito da defibrillare. Federico era già morto. Pochi minuti dopo, Simone, o come si chiama davvero, esce di casa per andare a lavorare. Vede il lenzuolo bianco che copre il corpo e, intorno, 4 agenti (gli equipaggi di due volanti) e tre carabinieri di una gazzella intervenuta a cose fatte. Non gli sembrano avere un contegno professionale, anzi gli sembrano aver perso la testa, li vede agitati, sconvolti. A sera, quando torna a casa, ne parla con sua madre che gli riferisce le parole che aprono questo articolo: la signora avrebbe sentito qualcuno che urlava quella mattina. Ma non erano le frasi sconnesse che ribadisce la questura, quella voce gridava di smetterla. Di smetterla con le botte, manganellate, probabilmente, visto che almeno uno - o forse due - manganelli risultano essere tornati a pezzi da quella missione. E quella roba si spezza quando la impugni al contrario, perché il manico fa più male.
Non sembra la lettera di un mitomane il "post" comparso sul blog gestito da amici e genitori di Federico. Se venissero confermate quelle parole, andrebbe definitivamente in soffitta la versione ufficiale, più volte aggiustata, sulla morte del ragazzo: s’è detto a caldo di un malore fatale, più tardi di comportamenti autolesionistici o, addirittura di un’aggressione del ragazzo ai poliziotti. Ma le ferite sul viso, sulla nuca, sullo scroto e i segni sul collo, il sangue che inzuppa la felpa e il giacchetto smentiscono la polizia che ora prova a giustificare il brusco approccio col ragazzo con l’intento di «evitare che si facesse male da solo». Così pure la perizia tossicologica spazza via le speranze di chi avrebbe archiviato tutto alla voce "morte del solito tossico" (di Carlo Giuliani si dissero cose simili). Federico aveva nel sangue poca roba, nulla che lo potesse uccidere o mettere in crisi.
A poche ore dai fatti la procura provò ad anticipare le risultanze di un’autopsia non ancora disposta e che non sarà resa pubblica prima del 27 febbraio, quel giorno scade la proroga chiesta dal medico legale. Ieri, alla stessa ora in cui Simone postava la sua testimonianza sul blog, l’Ansa batteva la solita dichiarazione del procuratore capo Severino Messina che si scaglia contro il «sommario processo mediatico» e fa quadrato intorno alla polizia: «La ferite - dice Messina - non possono aver cagionato la morte del ragazzo». Le ferite forse no ma se è vero (ci sarebbe il resoconto di un testimone chiave) che negli ultimi istanti di vita c’era chi lo teneva immobile, con un ginocchio sulla schiena e un manganello sotto la gola, respirare non doveva essere un’impresa facile per Federico. Le domande si rincorrono: chi arrivò, tra i dirigenti della questura, sul luogo dei fatti? Il pm, che poi affidò le indagini proprio alla polizia, c’è mai andato? E perché non sono mai stati sentiti, se non dalla parte civile, gli operatori del 118? Il questore Graziano sarebbe arrivato non prima delle 9 visto che non abita in città.
Via Ercole I d’Este è uno scorcio tra i più suggestivi di Ferrara. Ma chi lavora in questura quasi non si accorge di dove è situata. Si dice che da quando è riscoppiato il caso si respiri un clima molto pesante. Ma i quattro agenti che arrestarono Federico sfrecciano ancora sulle volanti. Che le indagini siano iniziate male e che non procedano meglio è un’opinione radicata anche in "pezzi" di polizia democratica. Un comunicato del Silp regionale, concordato parola per parola con Roma, esprime solidarietà e vicinanza alla famiglia del giovane morto, chiede «tempi assolutamente rapidi» per le indagini, e che siano rimosse «tutte le cortine fumogene». Le «mele marce» vanno estirpate. La contromossa del Sap, sigla sindacale legatissima ai partiti di destra (sarebbe il sindacato dei quattro agenti di Via Ippodromo) è un comunicato da Roma, a firma di un segretario nazionale, Torelli, ferrarese anche lui. Vi si legge che «se siamo destinati a essere perdenti nel dibattito pubblico» «il tempo renderà giustizia ai nostri colleghi». Un rinnovo di credito incondizionato alla Procura. Ferrara, intanto, si gode la giornata limpida e la gente fa "filò", chiacchiera in piazza. Una parte di città, che sembra crescere, inizia a «chiedere scusa alla famiglia di Federico per essere stati prigionieri dell’apatia». Così mi spiega Gigi Cattani, sindacalista Fiom per vent’anni e ora in Rifondazione. C’è anche lui nel gruppo di amici di Federico che discute in serata su come far nascere il comitato per verità e giustizia. Cresce anche il numero delle interrogazioni parlamentari annunciate. A Prc e verdi si aggiungeranno Pdci e ds (forse).
Patrizia Moretti è subissata di chiamate e di interviste ma è contenta che finalmente i riflettori si siano accesi su questa storia. Ed è stupita dalla potenza di un piccolo blog che sta trasportando il suo urlo di dolore. La famiglia e il gruppo degli amici leggono i messaggi "postati" scoprendo «una voglia di verità che troppi filtri e troppe mediazioni insabbiano. E’ difficile fidarsi ancora di certe istituzioni. Ma speriamo ancora, che altro dovremmo fare?».