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"Ogni cosa è illuminata" La luce del passato

Publie le sabato 12 novembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto

«Ogni cosa è illuminata»

di Alberto Crespi

Un giovane americano, collezionista compulsivo di oggetti che conserva in bustine di plastica, si reca ad Odessa alla ricerca delle terre dove è nato e vissuto suo nonno prima di emigrare in America. È ebreo. Si chiama Jonathan Safran Foer. Se vi sembra un nome già sentito, avete ragione. È il giovanissimo, ma già famoso scrittore di Ogni cosa è illuminata pubblicato da Guanda. Un libro fortemente autobiografico dal quale Liev Schreiber, attore (The Manchurian Candidate) all’esordio nella regia, ha tratto un film doppiamente autobiografico: perché quella è la storia della famiglia di Foer, ma anche la sua; anche i parenti di Schreiber sono ebrei arrivati in America dall’Ucraina.

Il risultato è un’emozione multipla: regista e scrittore condividono la propria immersione nel passato con gli attori, perché anche gli interpreti russi dei personaggi che Foer incontra in Ucraina sono esuli, cittadini americani che tornano nell’ex Urss natìa. Pur ricostruita in Repubblica Ceca, l’Ucraina di Ogni cosa è illuminata è un territorio fiabesco, la culla dell’umanità in tutte le sue grandezze e tutte le sue crudeltà. Il film è bellissimo, inizia come una commedia sullo "scontro culturale" e termina come una riflessione tragica sul passato. Foer è interpretato da Elijah Wood, il Frodo Baggins del "Signore degli anelli", che dopo "Sin City" (dove era un killer psicopatico) continua a costruirsi un’identità di attore dopo lo strepitoso successo del kolossal di Peter Jackson.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIO...

La luce del passato

Pochi anni fa Ogni cosa è illuminata, esordio letterario del giovanissimo Jonathan Safran Foer, era stato salutato come un libro di grande bellezza, leggero e profondo al tempo stesso nel suo raccontare la vicenda di un giovane ragazzo ebreo americano che parte per l’Ucraina - la terra lasciata dai suoi nonni durante la II Guerra Mondiale - alla ricerca delle sue radici e di una misteriosa donna ritratta in una foto insieme al nonno.
Ma l’attore Liev Shreiber aveva in mente di fare un film su una storia simile (se non identica) già da prima che il romanzo fosse pubblicato. Lui, di famiglia ebrea ucraina, desiderava raccontare il viaggio di un suo alter ego attraverso i misteri ed i dolori nascosti nel passato della sua famiglia - e quindi suo; venuto a conoscenza del romanzo, per Shreiber è stato un passo logico e naturale trasformare il suo progetto in un adattamento cinematografico del testo di Safran Foer.

Per quanti - come chi scrive - avevano letto ed amato il romanzo, era difficile immaginare un adattamento che rendesse giustizia alla complessità narrativa, alla pluralità delle voci, alla magia della storia ed all’alternarsi di momenti di assoluta ilarità con altri di profonda emozione e commozione che lo caratterizzano. E se quest’esordio registico di Shreiber non delude né come film a se stante né tanto meno come adattamento, i motivi sono probabilmente da rintracciarsi proprio nel personale e profondo attaccamento di questo neo-regista alla storia che racconta, alla capacità di renderla personale e ad un grande amore per il cinema che gli permette di prendere spunto dai grandi della settima arte senza scopiazzare né plagiare ma semplicemente omaggiando.
La scelta di Shreiber è stata precisa: eliminata dalla sceneggiatura tutta quella parte del libro che raccontava la storia della cittadina di Trachinbrod e della famiglia Foer, la storia del film si concentra unicamente sul viaggio che il giovane Jonathan - interpretato da uno splendidamente catatonico Elijah Wood - intraprende insieme alla coppia formata da due stralunate guide ucraine, il giovane Alex dall’inglese esilarante e l’omonimo nonno dal misterioso passato.
Se nel libro Jonathan era dichiaratamente lo stesso Safran Foer, nel film questi si fa proiezione del regista: non a caso il Jonathan del film è un collezionista compulsivo degli oggetti legati al passato della sua famiglia, proprio come Shreiber; ed per personalizzare ulteriormente la storia, Shreiber ha anche variato un fondamentale dettaglio legato al passato del nonno di Alex, che non riveliamo per non rovinare la visione a quanti ancora non abbiano visto il film. Variazioni importanti nel personalizzare una storia che rimane comunque profondamente debitrice allo splendido testo sul quale si basa.

Ogni cosa è illuminata è quindi un road movie, che - in maniera simile a quanto avviene nel libro, comunque più tortuoso nella sua narrazione - si divide in maniera piuttosto netta in due parti: una prima più leggera e ricca di umorismo e una seconda nella quale, entrando nei meandri del passato, si fa più profonda e commovente. Grande merito di Shreiber è quello di aver trovato la giusta misura per raccontare queste due parti senza scivolare in perdita di raffinatezza da un lato e di eccesso di patetismo dall’altro. Specie nella parte nel quale il passato dei protagonisti arriva finalmente ad illuminarli - e nella quale quindi loro e noi come spettatori dobbiamo confrontarci con i dolorosi temi della persecuzione degli ebrei e dell’Olocausto - Shreiber dimostra un apprezzabile senso della misura, lasciando fuori campo e nell’immaginazione di chi guarda i momenti più dolorosi ma che inevitabilmente sarebbero risultati i più facili per commuovere e conquistare lo spettatore. Ed è proprio in virtù di questa misura che il film commuove e convince.

Certo, Everything is Illuminated non è esente da alcuni difetti e da alcune ingenuità, tutti tipici di un’opera prima. Ma i pregi che abbiamo finora sottolineato, unitamente ad un aspetto visivo in grado di alternare l’ariosità e la magia dei paesaggi nei momenti di viaggio e lo scavare dentro alla psiche dei protagonisti con intensi ma mai indiscreti o invadenti primi piani, ci fanno promuovere a pieni voti lo Shreiber regista ed un film che insegna a definire il presente alla luce del passato, in un’era che troppo spesso tende invece a fare del passato e della sua eredità un fardello inutile, privo di significato, da rimuovere per comodità od opportunità
Concludendo, oltre al già citato Elijah Wood, non si possono non citare Eugene Hutz e Borsi Leskin rispettivamente Alex e suo nonno: il primo ottimo e convincete esordiente, il secondo intenso e commovente, forte dei decenni di carriera che porta sulle spalle.

http://cinema.castlerock.it/recensioni.php/id=1492


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