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Oltre all’aggettivo “comunista”, bisognerebbe aggiungere anche “marxista”

Publie le mercoledì 29 ottobre 2008 par Open-Publishing

Oltre all’aggettivo “comunista”, bisognerebbe aggiungere anche “marxista”

di Giancarlo Bellorio

Vorrei svolgere qualche considerazione a seguito dell’intervento di Marcello Cini su Liberazione.

Egli si considera di sinistra senza aggettivi, motivando questa scelta con alcune affermazioni che faccio fatica a comprendere.

In particolare per quanto riguarda i giudizi sulla validità del pensiero marxista e sulle esperienze che ad esso si “sarebbero” ispirate.

1) Non entro nel merito dei testi elaborati da Marx riferiti alla sua epoca e dei mutamenti che sono intervenuti. Burgio ha già messo in luce come le trasformazioni avvenute, abbiano inciso più nella forma che nella sostanza nello sfruttamento del lavoro umano e della sua mercificazione. Poco importa se lo sfruttamento (il plusvalore) agisce attraverso la produzione di beni materiali o immateriali. Queste trasformazioni semmai dovranno o dovrebbe essere oggetto di analisi proprio per una vera rifondazione comunista. Approfondendo anche il contributo e l’arricchimento che ha dato il pensiero Gramsciano con la sua attualità, al Marxismo.

Ritengo che la validità del pensiero marxista non risieda nella lettura pedissequa sui suoi testi (forse qualche "comunista” l’ha fatto e poi è rimasto deluso), ma il suo metodo scientifico di analizzare la società. Voglio fare un paragone, forse azzardato, per spiegarmi meglio. Tutti siamo convinti che il pensiero scientifico moderno introdotto da Galileo sia ancora valido, nonostante le nuove scoperte scientifiche che gli sono succedute “superando” le sue. Il metodo della osservazione e della verifica sperimentale però rimane sempre valido.

2) Non mi convince neanche la sua rinuncia a definirsi “comunista” giustificata dalla fine di alcune esperienze storiche ispirate al marxismo. Anche qui non mi addentro in analisi complesse sui limiti oggettivi e soggettivi di quelle esperienze. Non è qui la sede per affrontare una questione, così importante, che viene continuamente rinviata.
Giudicare un tratto di un processo rivoluzionario, è sempre utile per una verifica e per non commettere determinati errori. Ma attardarsi solo su quello, ci impedisce di dare un giudizio complessivo.

Anche qui voglio riferirmi ad un’epoca storica precedente, più lontana nel tempo e quindi da giudizi politici: la rivoluzione francese. Nessuno oggi mette in dubbio che la rivoluzione francese sia sta un elemento propulsivo per la storia dell’umanità. Eppure si potrebbe dire che anch’essa ha subito una “degenerazione” nell’epoca napoleonica. Anche nel 1815 al Congresso di Vienna – quello della restaurazione - come nel 1989 (caduta del muro), si dava per finita una esperienza rivoluzionaria, senza fare i conti con il 1848. Io penso che la rivoluzione d’Ottobre del ’17 abbia fornito un ulteriore avanzata per le sorti dell’umanità e, non verificare le condizioni del prima e del dopo, sarebbe pura cecità.

Certo, le situazioni storiche non si ripetono e dobbiamo essere consapevoli delle enormi difficoltà, ma anche della consapevolezza che il capitalismo mostra oggi tutte le sue insuperabili contraddizioni.

L’importante è mantenere una lucidità di pensiero e continuare un libero confronto come questo e non lasciarsi andare in una ricerca di suggestive, quanto dannose scorciatoie.

Un fraterno saluto.