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Orhan Doğan se n’è andato: un ricordo da Luigi Vinci e silvana Barbieri

Publie le lunedì 30 luglio 2007 par Open-Publishing

de Luigi Vinci e silvana Barbieri

Orhan Doğan se n’è andato: un infarto lo ha colpito, il 25 giugno, mentre parlava in un comizio a Doğubayazit, nel Curdistan turco. In Turchia ci saranno a breve le elezioni politiche, e Orhan appoggiava il partito turco legale, il DTP. L’ambulanza, ci hanno telefonato, ha impiegato quattro ore per portarlo all’ospedale di Van, dove poi è stato in coma per quattro giorni. Al suo funerale, a Cizre, la città della sua militanza prima della sua incarcerazione, erano presenti 250 mila persone.

Orhan aveva 52 anni; di essi, un po’ più di dieci li aveva passati in carcere. Curdo, deputato eletto con altri 21 suoi compagni, nel 1991, all’Assemblea nazionale turca, era stato arrestato nel 1994, assieme a una parte dei suoi compagni (in 12 erano riusciti a fuggire in Europa), con le accuse di terrorismo e di separatismo, processato e, sul finire del 1994, condannato. Era stato, inoltre, tra i quattro che avevano avuto la condanna più alta, a 15 anni: assieme a Leyla Zana, Hatip Dicle, Selim Sadak. Anzi erano stati condannati, in prima battuta, all’impiccagione, ma le proteste internazionali avevano ottenuto la commutazione della pena.

Era, allora, la Turchia del colpo di stato del 1980 dell’estrema destra militare, della rivolta curda contro la cancellazione di ogni diritto linguistico e contro una feroce repressione, delle migliaia di desaparecidos, delle migliaia di villaggi del Curdistan incendiati e delle loro popolazioni deportate o in fuga verso qualche città o verso altri paesi. I “reati” veri di cui i 22 deputati curdi si erano “macchiati” erano stati di essere dalla parte dei diritti della loro gente, della democrazia e dei diritti umani; ciò che ne aveva scatenato l’arresto e l’incriminazione era stato, all’inizio della legislatura, di aver giurato in curdo la loro fedeltà alla Turchia e di avere aggiunto alla formula del giuramento la dichiarazione che essi lottavano per rapporti di amicizia tra il popolo curdo e quello turco, in una prospettiva democratica. Militari e fascisti di varia tinta si impegnarono dunque perché fossero privati delle loro indennità parlamentari, ciò che avverrà tre anni dopo.

Orhan era un avvocato e veniva da una buona famiglia. Come molti laureati in legge aveva scelto la carriera di funzionario dello stato: ma dopo il colpo di stato si era dimesso e si era recato nella città di Cizre, nella provincia di Sirnak, una delle zone, in fondo al Curdistan, più colpite e massacrate dalla repressione militare (ancora oggi è una zona nella quale è impedito di entrare, luogo di intense attività militari contro la guerriglia curda), e lì aveva operato, attraverso l’IHD, l’Associazione per i diritti umani, a rischio quotidiano della propria vita, a tutela dei perseguitati, dei profughi, dei carcerati, delle loro famiglie, di quelle dei desaparesidos. Nel 1991 sarà un voto plebiscitario della provincia di Sirnak a mandarlo all’Assemblea nazionale.

Lo abbiamo visto per la prima volta e “conosciuto” alla prima udienza del nuovo processo a lui, Leyla Zana, Hatip Dicle e Selim Sadak, ad Ankara, ancora dinanzi al Tribunale per la sicurezza dello stato. Le proteste internazionali e una condanna da parte della Corte di giustizia di Strasburgo per il carattere iniquo del processo del 1991 avevano obbligato la Turchia a rifarlo, a quanti erano ancora in carcere. La prima udienza si tenne il 23 di marzo del 2003; il processo si chiuderà il 21 aprile dell’anno successivo. Uno strano processo: da un lato l’arrogante ferocia della corte e del pubblico ministero e il loro disprezzo per le testimonianze che smontavano ogni elemento delle imputazioni, dall’altro la possibilità per gli imputati, in una finzione di processo attento ai loro diritti, di intervenire in ogni udienza, ciò che essi sistematicamente faranno, parlando così per più di un anno alla Turchia e alla loro gente. Nei suoi interventi Orhan si distingueva per l’argomentazione non solo politica ma anche giuridica, l’accurata documentazione delle tesi e la ricchezza dei riferimenti culturali. Il processo durerà per complessive 14 udienze e, ovviamente, si concluderà con il ribadimento della condanna degli imputati a 15 anni. Tuttavia stavolta le proteste internazionali obbligheranno la Turchia a inventarsi un modo per scarcerarli: la Corte di cassazione annullerà infatti questa condanna e ordinerà la scarcerazione degli imputati, l’8 giugno, dopo meno di due mesi. Immediatamente Orhan e i suoi compagni si recheranno nel Curdistan: che impazziva di gioia, la popolazione era tutta nelle strade. Ci penseranno naturalmente i militari, e lo faranno molto rapidamente, a terrorizzare nuovamente la popolazione. Così Orhan riprenderà la sua militanza politica: per un periodo purtroppo breve, di un po’ più di tre anni.

Subito dopo la scarcerazione riuscimmo finalmente a conoscere davvero Orhan e i suoi compagni, ad Ankara, il 7 luglio. Lungo più di un anno e attraverso 14 udienze (non ne mancammo una) erano diventati per noi degli amici molto cari. Attraverso le traduzioni immediate, bisbigliate alle nostre orecchie, della nostra amica Lerzan Taşçier, compagna turca coraggiosa, dirigente a Istanbul dell’IHD, eravamo riusciti a seguire le testimonianze, gli interventi della corte e del pubblico ministero, le dichiarazioni degli imputati; eravamo così giunti, ci pareva, a conoscerli come se li avessimo sempre frequentati. Fu un incontro commovente e felice: il legame che si era creato era davvero forte. Oggi questa forza la sentiamo ancora, nel dolore che proviamo per la scomparsa di Orhan.