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PENSIONI MINIME - Il Topolino che vuole partorire la montagna

Publie le venerdì 13 luglio 2007 par Open-Publishing
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ACCORDO SULLE PENSIONI MINIME:

Il Topolino che vuole partorire la montagna

33 EURO al mese, praticamente un euro al giorno (giusto per un caffè), ma tutti gridano al miracolo che salverà almeno 3 milioni di pensionati dalla povertà (almeno quelli al di sotto degli 8.000 euro all’anno, gli altri, quelli che ne prendono 9 o 10.000 sono ricchi e non necessitano di alcun aiuto)

Quello che fa specie è il tronfio gratificarsi di una classe politica che mentre si compiace della sua vocazione populistica distribuendo ai "poveri" un euro al mese per il caffè, non hanno disdegnato di aumentarsi lo stipendio di altri 4.000 euro all’anno.

Ma la nostra classe politica non è stupida ed è in prima fila nella campagna per l’abbattimento dei "costi della politica" per far vedere che anche a loro sono equamente distribuiti i sacrifici che sono richiesti al paese. Hanno infatti deliberato di privatizzare il ristorante di Montecitorio (ossia lo hanno appaltato ad una azienda privata), mantenendo però inalterato il loro costo "mensa" a 9 euro a pasto (per un pasto che ne vale almeno 90 di euro visto il livello esagerato della mensa-ristorante di Montecitorio).

Compiaciuti di questo loro sacrificio che li renderebbe più democratici agli occhi del paese, parlano ora di 33 euro al mese per i pensionati al minimo come uno sforzo immane dello Stato che va ora ricambiato con un aumento dell’età pensionabile per i lavoratori ancora in forza.

Il primo commento di Damiano è stato infatti che ora, finalmente, avendo dato noi qualcosa, ci aspettiamo che i sindacati ci restituiscano qualcosa d’altro.

Damiano, ed il Governo, pensano veramente di aver fatto qualcosa di importante???

I pensionati che riceveranno ora l’euro per il caffè, hanno la loro pensione bloccata da almeno 15 anni, e se questa è l’aria che tira, l’euro per il caffè gentilmente distribuito a loro dalle pietose mani della nostra casta politica, sarà l’unico soldo che vedranno per i prossimi 15 anni.

Hanno solo fatto finta. Se si volesse veramente difendere i redditi più bassi (non solo pensioni quindi) perchè non rispristinare un sistema di rivalutazione certa, periodica ed esigibile, delle pensioni e dei salari all’inflazione ???

Ma questo cozzerebbe con la loro idea di società tutta basata sulla precarizzazione del lavoro, delle retribuzioni e dei diritti.

Certo, col Governo prodi, tutto questo ce lo si vuole far digerire poco alla volta, delicatamente, e Cgil Cisl Uil ci vogliono sopra un po di zucchero per nascondere l’amaro, mentre quei "bruti" del centro destra preferiscono farcelo ingoiare tutto di un colpo, ma i destini di milioni di persone e della stessa società sono comunque indicati.

Tagliare le pensioni per aiutare i giovani, impedire ai giovani di avere una pensione dignitosa condannadoli alla precarietà lavorativa perchè (come dice il capitale) è oggi una scelta di vita e di libertà, aiutare le imprese riducendo il loro carico contributivo, smantellare il contratto nazionale come strumento di tenuta e solidarietà, ecc. ecc.

Però poco alla volta, delicatamente.

Ora tocca anche a Veltroni (da lui ci si aspettava qualcosa di più visto il suo interesse per la fame nel mondo e per il disastro africano) che dice "basta". Bisogna aiutare i giovani, anche distribuendo i sacrifici sugli anziani (tagliargli la pensione). Ma lo dice in modo che sembra dire tutt’altra cosa, tanto che Epifani risponde subito dicendo "grazie".

Il fatto è che ora questo euro per il caffè, devoluto a favore delle pensionati poverissimi (quelli al di sotto degli 8.000 euro anno) ci verrà fatto pagare chiedendoci di sputare sangue sulle pensioni in generale secondo l’assunto che tagliare le pensioni fa bene al paese.

Stanno infatti nascendo nuove crociate contro le categorie sociali che non accettano di sacrificarsi.

Tra queste (oltre alla crociata contro i fannulloni denunciati dal solito e sempre in trincea, Ichino) ci sono adesso vere e proprie crociate contro i pensionandi ingordi, quelli cioè che vogliono andare in pensione con una pensione appena appena adeguata ( e condannata nel giro di pochi anni a diventare pensioni da fame, vista l’assenza di sistemi di rivalutazione) o che vorrebbero andarci al momento giusto, e non a 65 anni.

Contro questa categoria di esosi e di ingordi la Margherita ha organizzato ieri una manifestazione di "giovani" fuori dalle sedi di Cgil Cisl Uil per chiedere che fosse tolto agli anziani quello che deve essere dato ai "giovani" e che la smettessero i sindacati di difendere i privilegi degli anziani. Analoga manifestazione è stata annunciata dai Radicali.

Certo la lucidità di queste iniziative e le loro argomentazioni lasciano a desiderare e pongono un serio quesito sulla stabilità intellettuale della nostra classe politica, ma fa incazzare l’arroganza di questo voler indicare il diritto ad una previdenza degna di questo nome come la causa del disagio giovanile.

I parlamentari che organizzano queste iniziative per criminalizzare il diritto alla previdenza, possono fare ciò senza danno per loro (infatti loro maturano la pensione nel giro di al massimo 5 anni) ma recano un enorme danno alla serietà della questione in gioco.

Di fatto cercano di criminalizzare chi, con i suoi contributi, ha permesso fino ad oggi l’equilibrio del sistema previdenziale (circa 3,5 miliardi di attivo nell’ultimo bilancio) ed ha sostenuto il PIL nazionale per almeno 0,5 punti, cercando di farli passare come fannulloni (alla Ichino) e come parassiti che vivono sulle spalle degli altri.

Ma il gioco è scoperto. Con l’euro al giorno per il caffè distribuito ai pensonati più poveri si cerca ora di condizionare l’intero mondo del lavoro alla capitolazione.

Invece della montagna che ha partorito il topolino, abbiamo ora il topolino che vuole partorire una montagna. Un caffè in cambio di meno pensione...... per il bene del paese naturalmente

12-07-2007 COORDINAMENTO RSU

PENSIONI: VELTRONI, VERO ANELLO DEBOLE SONO I PRECARI

’E’ il tempo di una nuova svolta radicale, e credo che tutte le forze che hanno interesse ad una crescita ispirata alla qualità sociale debbano capire che sono i giovani, oggi, i più discriminati, i più aggrediti da un assetto della società che volta loro le spalle’. Lo scrive in un articolo apparso oggi su Repubblica il sindaco di Roma e candidato alla guida del Partito democratico Walter Veltroni: ’Tre milioni di ragazzi si trovano nella stessa situazione di sfruttamento in cui si sono trovati in altri decenni della nostra storia gli operai che il sindacato ha giustamente difeso e tutelato. Ora è il tempo di difendere e tutelare loro’. Aggiunge Veltroni: ’Troppo spesso le pensioni sono state usate, nel nostro paese, come uno strumento sostitutivo di altre politiche sociali; è venuto il tempo di scrivere un nuovo Patto fra le generazioni italiane. Il sindacato sia, come è stato nei suoi momenti migliori, soggetto attivo e protagonista dell’innovazione, e sappia contrastare con forza ogni posizione conservatrice’.

11/07/2007 10.35

EPIFANI, CONDIVIDO VELTRONI SU PATTO GIOVANI

’Il ragionamento che Veltroni svolge e’ condivisibile. Apprezzo soprattutto lo spirito che tende non a contrapporre e dividere, ma a unire’. A dirlo è il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, oggi a Firenze per il direttivo regionale della Cgil toscana, commentando l’appello lanciato da Veltroni ai sindacati per un ’patto per i giovani’. Spiega Epifani: ’Il sindacato confederale, che rappresenta i giovani, i giovani precari, gli anziani, e’ per sua natura un’organizzazione che tiene unite le persone, anche quando spesso gli interessi sembrano essere contrastanti. Un appello come quello, che indica al paese il bisogno di superare le contrapposizioni padri-figli, non puo’ che essere accolto positivamente’.

11/07/2007 11.42

Messaggi

  • La neolingua della rappresentazione politico mediatica è oramai giunta a contorsioni estreme

    Da anni sappiamo che con la parola riforma si intende il suo opposto, la controriforma sociale. Ora scopriamo che l’abrogazione dello scalone Maroni in realtà significa mantenerlo in vita con modalità diverse. Del resto anche il superamento della Legge 30 oggi significa che essa resterà. Sempre più spesso quel che si annuncia va nella direzione opposta di quel che effettivamente si fa nella realtà. Lo scontro politico, però, avviene proprio sulla rappresentazione della realtà e non su come essa è veramente. Per cui se il governo dichiara di voler abolire lo scalone, senza poi farlo davvero, la maggioranza di governo si divide come se quella fosse la scelta e la destra, la Confindustria, i poteri economici, a loro volta contrastano con forza una decisione che non viene presa. In questo conflitto la sinistra si rafforza nella convinzione di determinare chissà quale profondo cambiamento sociale. Che invece, naturalmente, non avviene.

    La vicenda delle pensioni rappresenta materialmente e simbolicamente questa deriva. La campagna liberista sul costo insostenibile delle pensioni è priva di fondamenti reali. Da Luciano Gallino, a Roberto Pizzuti, a Giovanni Mazzetti, a tanti altri intellettuali e ricercatori, continuano a giungere dati che smentiscono totalmente gli allarmismi sul 2050. Anno nel quale si scioglieranno i ghiacci, ci sarà la catastrofe ecologica, ma, cosa ben più grave, ci sarà il rischio di uno spostamento dello 0,8 del Pil a favore delle pensioni.

    Ma quali sono le ragioni reali che stanno alla base di questo teatro dell’assurdo, della rappresentazione di un inesistente collasso del sistema pensionistico pubblico?

    Per capire dobbiamo farci aiutare dal Ministro del Tesoro e dal Governatore della Banca d’Italia. Già all’epoca del suo insediamento, Tommaso Padoa Schioppa richiamò il 1992. Il 31 luglio di quell’anno fu siglato il più disastroso accordo sindacale del dopoguerra, nel quale si cancellava la scala mobile, si bloccava la contrattazione nazionale e aziendale, si tagliavano drasticamente le pensioni e tutta la spesa sociale. Lo stesso richiamo è venuto qualche mese fa da parte del Governatore della Banca d’Italia, che al Forex di Torino ha detto che sulle pensioni occorre instaurare lo stesso tipo di concertazione che si realizzò per la scala mobile. L’esempio fa venire i brividi, visto che la scala mobile non c’è proprio più, ma ciò che interessa qui è il significato profondo di questi richiami. Essi partono dall’idea che tutto il sistema sociale pubblico ha un costo insostenibile se affidato allo stato e alla fiscalità e quindi deve progressivamente essere trasferito all’impresa e al mercato. Anche per le pensioni, bene sociale fondamentale della nostra comunità, la parte pubblica va inevitabilmente ridimensionata e il Governatore Draghi, con il pieno consenso del Ministro del Tesoro, ha scritto nelle sue ultime considerazioni finali che bisogna ridurre la contribuzione pubblica a favore dell’investimento del lavoratore nella pensione privata. Questa è la partita vera che si sta giocando e questo spiega l’accanimento vero. Così come nel passato l’accanimento contro la scala mobile alludeva alla compressione generale dei salari, alla riduzione del salario garantito a favore di quello variabile e incerto, insomma, alla redistribuzione del reddito dal lavoro al profitto e all’impresa. Cosa che è puntualmente avvenuta.

    Per questo è insopportabile l’arrogante disprezzo con il quale il Vicepresidente Massimo D’Alema riduce tutto alla difesa degli interessi corporativi di 200.000 persone. Anche nel 1984, con il taglio della scala mobile deciso dal governo Craxi, c’era chi irrideva alle proteste spiegando che avvenivano sul costo di due pizze e una coca-cola. A parte il fatto che, anche se si trattasse di poche persone saremmo di fronte agli interessi assolutamente legittimi di chi ha lavorato e faticato tanto. A parte il fatto che le persone danneggiate saranno molte di più, visto che si mette in conto il risparmio di molti miliardi sul taglio delle pensioni. A parte tutto questo, ciò che conta è che quest’offensiva punta al progressivo ridimensionamento del sistema pensionistico pubblico. Naturalmente nel nome della sua salvaguardia, sulla base delle regole della neolingua.

    Per questo lo scontro in corso non può essere mediato facilmente, neppure nel teatrino della politica. Perché se lo scalone, magari ammorbidito come ha spiegato il Ministro del Lavoro, resterà, se i coefficienti verranno tagliati proprio a quei giovani che si dichiara di voler tutelare, non solo avremo un danno per alcune generazioni di lavoratori. Ma daremo il via libera a una continua revisione al ribasso del sistema pensionistico pubblico. Che diventerà definitivamente la variabile dipendente dei conti dello stato. Si devono ridurre le tasse ai ricchi? Allora bisogna tagliare ancora un po’ le pensioni. Questo scenario è esattamente lo stesso di quello che accompagnò la “concertazione” sulla scala mobile, che non fu eliminata in una volta sola, ma con tanti accordi, ognuno dei quali veniva proclamato essere ultimo e risolutivo.

    Per queste ragioni l’intransigenza nel difendere e nel migliorare la situazione attuale, anziché nell’inoltrarsi nella via del suo peggioramento continuo, è sacrosanta. Non stiamo solo difendendo un diritto che dovrebbe valere in sé nell’Italia delle ingiustizie, delle ricchezze sfacciate, dei privilegi vergognosi che tutti denunciano, ma che comunque restano e crescono.

    No, lo scontro sulle pensioni riguarda proprio il futuro delle relazioni sociali e dei diritti. La ripetizione su questi temi di un accordo come quello del 1992, non solo aprirebbe la via alla catastrofe del sindacato confederale, ma minerebbe per un lungo tempo l’idea stessa di rappresentanza organizzata e solidale del mondo del lavoro e delle classi subalterne. Rispetto a un tale accordo un forte conflitto sociale e persino una crisi politica sono comunque meglio.

    Giorgio Cremaschi - Segreteria Nazionale Fiom/Cgil

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