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[ ] Pasolini, 30 anni dopo l’omicida rivela: «Lo uccisero tre fascisti»
By: stella - Inviata il 8/5/2005 - Ore: 00:33
Fu un “omicidio politico”: Pier Paolo Pasolini il 2 novembre 1975 fu massacrato all’idroscalo di Ostia da tre fascisti. A trent’anni dalla morte dell’intellettuale, Pino Pelosi, che confessò quell’omicidio e per cui scontò 9 anni di reclusione, ha ritrattato. Il riscontro è tutto però ancora da chiarire perché Pelosi fa le dichiarazioni durante una trasmissione televisiva.
«Pasolini non l’ho ucciso io», dice Pino Pelosi, confidandosi alla giornalista Franca Leosini, conduttrice del programma televisivo Ombre sul Giallo, in onda sabato sera su Raitre. Il delitto Pasolini avvenne nel 1975, due mesi dopo il tragico massacro del Circeo, tornato sull’onda della cronaca proprio in questi giorni. E su Izzo, un dei massacratori del Circeo, fu l’ultimo editoriale di Pasolini.
«Non sono io l’assassino di Pier Paolo Pasolini», ripete l’ex ragazzo di vita che dopo 30 anni ribalta completamente la sua versione, rilanciando una pista che gli inquirenti non hanno mai battuto ma che molti all’epoca dei fatti ipotizzarono. Pelosi, detto anche Pino “la Rana”, spiegherebbe alla Leosini che ha atteso tanto per parlare perché «sono solo, non ho più famiglia, i miei sono morti. Ho 46 anni e pago sempre per quell’omicidio... E poi perché queste persone saranno morte probabilmente». L’uomo spiegherebbe ancora che crede volessero «dargli una bella lezione. Una cosa tipo tre mesi di ospedale. Se volevano ucciderlo gli avrebbero sparato e avrebbero sparato anche a me. Gente come quella non si mette paura». Paura però la misero a Pelosi che confessò, venne condannato a nove anni di carcere ed uscì in semilibertà dopo sette, e malgrado gli anni trascorsi non rivela alcun nome.
La Procura di Roma non sembra intenzionata, secondo quanto si è appreso, a riaprire le indagini poiché le dichiarazioni di Pelosi vengono ritenute «generiche». Nei prossimi giorni gli inquirenti valuteranno l’intera intervista a Pino “La Rana”.
Un invito alla cautela giunge soprattutto da chi era vicino a Pasolini. «Spero che la procura di Roma non perda tempo sulle dichiarazioni di Pelosi e non faccia perdere soldi al contribuente - Nico Naldini, cugino dello scrittore assassinato, che quel giorno aveva pranzato con Pasolini -. La figura di Pelosi va commisurata come valore morale alla sua fedina penale. Se messe a confronto con quest’ultima, le sue parole hanno o non hanno credibilità». «Pelosi non sa più cosa inventarsi. Sono passati 30 anni dall’ uccisione di Pasolini e lui solo ora si decide a dire la verità?», ha detto Massimo Consoli, amico di Pier Paolo Pasolini e uno tra i fondatori del movimento gay in Italia. «Qual è la verità? - ha continuato Consoli - Pelosi dice che sono stati altri a uccidere Pier Paolo, ma non dice chi. Si sta inventando una nuova storia per dimostrare che esiste ancora, che non è una persona inutile».
In molti invece si pronunciano per una riapertura dell’inchiesta sull’omicidio di Pasolini. Guido Calvi, avvocato e senatore dei Ds, che all’epoca dell’omicidio dello scrittore curò la difesa dei familiari, è convinto che «la versione di Pelosi, che peraltro ricostruisce ciò che sostenni nell’arringa difensiva, contiene un’aggiunta importante. Stavolta emerge che i tre, nel trucidare Pier Paolo, avrebbero detto: “sporco comunista”». «Una nuova definizione che - ha chiarito ancora Calvi - conferma il mio sospetto».
«Ho sempre detto che sapevo come era stato ucciso Pasolini e da chi. Le mie parole sono state pubblicate ma non mi hanno mai chiamato a testimoniare», ha detto il regista Sergio Citti, amico e collaboratore di Pasolini, che ha aggiunto: «Vorrei che si riaprisse il caso, e che io fossi chiamato a testimoniare, so chi l’ha ucciso, come e perché è stato ucciso, mi è stato raccontato da chi stava lì. Io so la verità». Citti dice anche che a Pelosi piace la pubblicità, «la sola cosa utile sarebbe riaprire il processo, mi piacerebbe essere messo a confronto con Pelosi.».
Citti, 71 anni, a lungo stretto collaboratore di Pasolini, grazie al quale esordì nel mondo del cinema, ricorda che «Pasolini sparì per 35 minuti con Pelosi, poi si rifecero vedere e poi andarono a Ostia. Perché a Ostia e non sulla Tiburtina? Se Pasolini doveva fare l’amore con Pelosi perché andare fino a Ostia, più o meno 120 chilometri tra andata e ritorno, mentre i prati della Tiburtina, zona che Pasolini conosceva bene, erano molto più vicini? E poi come hanno fatto a sapere dove andavano quelli che aggredirono Pasolini? Dopo la scoperta dell’omicidio ho filmato tutto in quel posto, tutte le uscite possibili, dove è stata trovata la sua camicia e il resto. Tutto mi è stato raccontato per filo e per segno da chi era li, io so la verità ma - ha concluso Citti - non mi hanno mai chiamato a testimoniare. Perché?».
L’ex “ragazzo di vita” fu condannato come unico autore dell’omicidio del poeta, ma ora afferma che ad uccidere Pasolini furono tre persone, di cui non rivela i nomi, che avevano accento meridionale. Anche se Pelosi non fa nomi, qualcuno all’epoca dei fatti nomi li aveva fatti: un teste chiave della difesa era l’ex appuntato dei carabinieri Renzo Sansone, che aveva condotto le indagini. Sansone nel 1975 disse: «Pelosi non era solo. Con lui c’erano anche i fratelli Borsellino di Catania, furono loro stessi a dirmi che quella notte si trovavano lì». Ma Pelosi insistette: «No, ero solo quella notte. Sono dei bugiardi, vogliono farsi pubblicità alle mie spalle, prenderò provvedimenti».
Per gli avvocati Nino Marazzita e, come detto, Guido Calvi, legali di parte civile nel processo, le dichiarazioni del "Rana" giustificano la riapertura delle indagini. «In questa confessione - ha detto Marazzita - c’è l’elemento preciso della notizia criminis per la riapertura delle indagini. La procura di Roma ha l’obbligo di riaprire un fascicolo contro ignoti sulla morte dello scrittore. È vero: dopo trenta anni, se non impossibile, è altamente improbabile che si faccia luce sul caso e si individuino altri responsabili. Ma, intanto, la magistratura deve convocare e interrogare Pelosi». Secondo il senatore Calvi «è doveroso che la magistratura accerti la fondatezza di quanto dichiarato da Pelosi e, se possibile, identifichi gli assassini che uccisero barbaramente Pier Paolo Pasolini».
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Inviata il 8/5/2005 Rimarra in Archivio sino al 8/4/2007
Sergio Citti "So chi uccise Pasolini"
inviato da: da "repubblica on line" · il 8/5/2005 · alle: 11:42 · email:
Il regista Sergio Citti, amico dello scrittore: fatemi testimoniare
"Il delitto fu una colossale messa in scena"
"So io chi ammazzò Pier Paolo
non mi hanno mai voluto sentire"
di ANNA MARIA LIGUORI
Sergio Citti
ROMA - "Pino Pelosi ha detto tante bugie, bisogna riaprire l’inchiesta. Per fargli dire la verità, tutta fino in fondo, dovrebbe rispondere alle mie domande. Vorrei un confronto con lui. Io so, con esattezza, come sono andati i fatti". Sergio Citti, 72 anni, amico fraterno e stretto collaboratore di Pier Paolo Pasolini, è da anni molto malato. La sua mente però è lucida e al telefono si commuove più volte mentre racconta la sua versione dei fatti "quella che - dice - doveva venir fuori trent’anni fa".
Perché è così sicuro che Pelosi mente?
"Ho parlato con Pier Paolo l’ultima sera, prima che uscisse. Mi disse che andava alla stazione Termini perché aveva appuntamento con un gruppo di ragazzi, non con tre com’è stato detto, ma con cinque come ho appurato dopo. Non mi nominò mai Pelosi, non disse "vedo un amico" come sempre faceva. Non c’erano segreti tra noi. Queste cose avrei voluto dirle ai giudici ma non sono stato mai chiamato a testimoniare. A quel tempo la cosa che si temeva di più era fare chiarezza..."
La colpa secondo lei è di chi ha fatto le indagini?
"I giudici hanno fatto un processo disonesto. Nessuno ha voluto cercare la verità. Io ho filmato i posti dove dicono sia avvenuto il delitto, ho ricostruito minuto per minuto quello che è successo in quelle ore. Avevo una "gola profonda". Parlavo con una persona che mi ha raccontato di quella sera. Una testimonianza di prima mano, vera, attendibile. Lui ha visto. Io a Pelosi direi solo un nome, quello di questa persona, e lui sarebbe costretto a dire finalmente quel che sa".
Qual è la verità che secondo lei non è mai stata svelata?
"Pino Pelosi era solo un ragazzo. Ha fatto da esca a quei cinque. Non erano amici suoi, questo è da sottolineare. Lui non conosceva neppure i loro nomi. L’hanno solo usato, serviva qualcuno a cui accollare il delitto. Pelosi è dovuto stare al gioco di questa gente, gente "rispettabile" che aveva ordinato l’omicidio. Il ragazzo non aveva nessuna possibilità di ribellarsi, anche se avesse voluto. Pier Paolo è stato ammazzato sulla Tiburtina e poi è stato portato a Ostia dove lo ha trovato la polizia. Sono stati gli altri a metterlo in macchina e a trasportarlo fin lì".
E’ la tesi del complotto che gli inquirenti hanno scartato.
"E hanno commesso un errore. La sua morte è convenuta a tante persone. A chi aveva paura della sua mente, del suo spirito e della sua capacità di essere libero. L’Italia deve molto a Pasolini. Eppure per lui la maggior parte della gente, ora come allora, non prova né odio né amore ma solo morbosità. Nessuno lo conosce davvero. All’estero sì, lo studiano, sanno chi è, ne ammirano la grandezza e ce lo invidiano. E io prima di morire vorrei che si facesse luce sulla sua assurda morte".
(8 maggio 2005)
Altre rivelazioni di Sergio Citti
inviato da: da "repubblica on line" · il 8/5/2005 · alle: 22:00 · email:
Le ultime dichiarazioni di Pelosi non vengono ritenute sufficienti
Ma la parte civile non ci sta: "Presenteremo una nuova memoria"
Pasolini, nessuna nuova inchiesta
ma la parte civile non ci sta
E Citti, amico fraterno dello scrittore, rivela un possibile movente
"Fu la punizione per una fallita estorsione legata alle bobine di Salò"
Pier Paolo Pasolini
ROMA - La Procura di Roma ha ribadito oggi di non voler riaprire le indagini sull’omicidio Pasolini. Malgrado le ultime dichiarazioni di Pino Pelosi, che per la prima volta ha detto di non essere lui il colpevole della morte dello scrittore, che invece sarebbe stato vittima (secondo la sua nuova ricostruzione) di una spedizione punitiva compiuta da tre persone. Secondo quanto è trapelato da Palazzo di giustizia i magistrati riterrebbero insufficienti i motivi per riprendere il mano l’indagine sull’omicidio, avvenuto il 2 novembre 1975.
I legali della famiglia, però, non ci stanno: l’avvocato di parte civile, l’avvocato Nino Marazzita, domani depositerà una memoria contenente i nuovi elementi, come lui stesso ha annunciato oggi. Un modo per spingere la Procura a indagare di nuovo.
Marazzita ha precisato che l’iniziativa è stata decisa in seguito alle "nuove tracce investigative fornite dalle dichiarazioni rilasciate da Pino Pelosi in tv e dal regista Sergio Citti sulla stampa". Si tratterebbe, secondo il legale, di "tracce che vanno solidificate da un punto di vista giudiziario: dovrà quindi essere aperto un nuovo fascicolo".
Intanto anche Citti, amico fraterno di Pasolini - e da sempre sostenitore della tesi che lo scrittore fu vittima di una vera e propria esecuzione - oggi ha ribadito di voler essere sentito dai magistrati, cosa che non avvenne ai tempi dell’omicidio. Il regista, 72 anni, malato, da alcuni mesi costretto su una sedia a rotelle, ha ricordato i giorni precedenti l’omicidio. Fornendo anche un possibile movente.
"Fecero un furto della pellicola del film Salò alla Technicolor - ha raccontato - il giorno dopo venne uno da me, che conoscevo, e mi disse: ’Sergio, vogliamo parlare con Pasolini per il materiale che hanno dei ragazzi, che vogliono dei soldi, 2 miliardi. Telefonai a Pasolini ed andammo dal produttore, Grimaldi, che mi disse ’posso dare al massimo 50 milioni’. Quell’uomo tornò da me e mi portò al bar dove si aggirava Pelosi. Io aspettai fuori, lui andò dentro: qualcuno gli disse ’No, non accettiamo’".
Poi Citti ha proseguito nel suo racconto: "Questi volevano il numero di Pasolini. La sera prima di partire per Stoccolma Pier Paolo, io e la mia ex moglie abbiamo cenato assieme a Pasolini e a Ninetto Davoli a Ostia. Pasolini mi disse che un ragazzo gli aveva telefonato, che non volevano più una lira e che gli volevano riconsegnare il materiale. Pier Paolo allora disse ’domani vado a Stoccolma, quando torno li vedro’, mi hanno detto ’Ci dispiace’ , vogliamo ridarti tutto’".
"Tanto è vero - prosegue Citti - che quando tornò gli telefonai, dicendogli: Pier Pa’, ci vediamo? ma lui rispose: ’No, Sergio, stasera devo andare a mangiare con Ninetto e poi devo andare da questi ragazzi’. Così fece, non dicendo nulla a Ninetto, andando poi alla stazione Termini, dove c’era Pelosi, e restandoci venticinque minuti. Qui Pelosi telefonò, non so a chi, e qualcuno gli disse: ’A mezzanotte ed un quarto vieni e gli diamo la roba’. Allora Pasolini ha aspettato, è andato lì ed invece, così mi fu raccontato, lo hanno aggredito, è scappato, l’hanno ripreso e bastonato, fece finta di essere svenuto. Qualcuno all’Idroscalo vide ciò che accadeva, ma non ha mai testimoniato".
(8 maggio 2005)




