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POSIZIONE DEGLI OPERAI SUL MORTO AL PORTO DI GENOVA
Publie le lunedì 16 aprile 2007 par Open-PublishingPOSIZIONE DEGLI OPERAI COBAS AL PORTO DI GENOVA
Oggi è morto un altro lavoratore: Enrico Formenti (35 anni).
E’ morto nel porto di Genova schiacciato da una balla di carta di due tonnellate.
Da stamattina qualche centinaio di lavoratori del Porto sta bloccando le strade (il Lungomare Canepa è chiuso) e presidiando il Ponte Etiopia. E un denso fumo nero di copertoni bruciati indica alla città dove è successa l’ennesima tragedia.
Al momento i lavoratori sono ancora riuniti in assemblea al presidio del Ponte Etiopia, decisi a continuare la protesta.
Lo sciopero dei lavoratori dei Porti è stato convocato nazionale dalle 24 di oggi venerdì 13 aprile alle 24 di sabato 14 aprile.
Vi alleghiamo di seguito il comunicato stampa dei lavoratori del Cobas di Genova e un articolo del Secolo XIX e invieremo prossimi aggiornamenti.
Cobas Genova
Comunicato stampa 13/04/2007
Ancora una volta, un’altra tragedia sul lavoro nel porto di Genova, ci troviamo di nuovo tristemente ad affrontare il problema della sicurezza.
Sicurezza sbandierata da tutti gli operatori portuali ( terminalisti, autorità portuale, sindacati ecc.) ma che di fatto resta una chimera irraggiungibile in un porto dove ormai contano solo gli interessi economici e finanziari, dove i lavoratori sono solo numeri, dove l’importante è fare soldi anche trascurando la sicurezza dei lavoratori.
I regolamenti sulla sicurezza sono una bella cosa però vanno applicati sempre senza deroghe, troppe volte sentiamo "va be’ per questa volta….", tutto va bene finché non succede niente e poi?
Poi muore qualcuno e tutti pronti a sposare la causa della sicurezza, ma solo a parole, fatti se ne vedono pochi e chi lavora in porto come noi sa che è solo questione di tempo, che presto o tardi un lavoratore pagherà dazio sacrificato sull’altare del profitto.
Cobas "Santa Barbara" 349 33 20 447
Confederazione Cobas - Genova 338 25 94 023
GLI OPERAI UCCISI NON SONO MARTIRI
PADRONI ASSASSINI
Nelle fabbriche, nei cantieri, nei porti, nelle campagne, continua la strage degli operai. Dai tre morti al giorno stiamo passando ai quattro morti. L’aumento del numero degli operai assassinati è una diretta conseguenza dell’aumento della competitività tra i padroni. Se oltre i morti guardiamo il numero di migliaia di feriti e invalidi la strage di operai appare in tutta la sua orrenda brutalità. Sono i padroni i responsabili di questa strage. I padroni uccidono per aumentare i loro profitti. Il Signor Napolitano, capo dello stato borghese italiano, dichiara ai giornalisti: "Ogni caduto sul lavoro è un martire che sacrifica la propria vita per tutti noi". Napolitano mente. Martiri sono coloro che muoiono per le loro idee. Gli operai non sono "martiri" vengono uccisi per incrementare i profitti dei padroni. Il presidente del Consiglio Prodi è turbato. Perché si turba? Finanzia i padroni perché aumentino i loro profitti è responsabile allo stesso modo dei padroni assassini. Il buffone Bertinotti, presidente della camera, nel discorso di occupazione della poltrona aveva dichiarato che mai più in Italia ci sarebbero stati morti sul lavoro. E’ un buffone per i pacifisti e per gli operai. Tutti i politici borghesi di destra, centro e sinistra sono responsabili dell’assassinio degli operai . Gli operai entrano in fabbrica giovani e forti. Quando riescono a rimanere vivi e ad arrivare alla pensione sono dei rottami, dei sopravvissuti alla carneficina dei padroni. Sopravvivono per pochi anni dopo il pensionamento. Ora il governo di sinistra ha deciso di rubargli pensione e TFR. Questa è la realtà. I dirigenti sindacali di CGIL-CISL-UIl e i dirigenti dei sindacatini vari starnazzano e vogliono che la legge 626 sia più efficace. Nessuna legge dei borghesi sarà più efficace di quella del profitto. Per fermare la strage gli operai devono abbattere i padroni.
Muore Enrico, Genova si ferma
di Alessandra Fava
su Il Manifesto del 14/04/2007
Un portuale di 40 anni schiacciato da un carico di cellulosa. I colleghi si bloccano e si raccolgono sulle banchine. Si prevede uno stop fino a lunedì «Ritmi massacranti e spazi molto stretti». I portuali si raccontano nel film «De Ma», denuncia su Internet
Magone, rimpianto, ma anche rabbia. Sono le parole che ricorrono di più sulle bocche dei portuali che ieri a centinaia sono scesi per strada e hanno bloccato lungomare Canepa ad oltranza dopo la morte dell’ennesimo lavoratore. Facce nere come quei fumi che si alzavano dai copertoni bruciati o dalle pire alimentate dalle bobine e dai travi dei pallettes smontati, fuochi in mezzo alla strada, lì davanti al terminal Eritrea dove si fatica tutti i giorni, a poche centinaia di metri da ponte Somalia e dal terminal frutta dove c’è scappato il morto.
Questa volta è toccata a un uomo di 40 anni, sposato, due figli. Si chiamava Enrico Formenti, è rimasto schiacciato sotto un carico di cellulosa. E’ la trentesima vittima del porto in dieci anni. Lo hanno scritto anche i portuali della Fossa dei grifoni alla partita Genoa-Bologna ieri sera al Ferraris con l’aggiunta di «Ora basta, ciao Enrico». «Poteva toccare a chiunque di noi - dice Gianni - questo è il porto dei record italiani, il porto di maggior traffico, ma c’ha anche il record di morti. Si sta prendendo il nostro corpo a pezzetti. Chi un braccio, chi una falange, chi una gamba». Accanto a lui Piero sventola la mano, gli manca un pezzo di dito e «l’Inail non mi ha riconosciuto niente, come mi fossi fatto male in campagna».
Nei giorni scorsi c’erano già stati due feriti e i lavoratori avevano scioperato nelle ultime due ore di turno. Ieri il morto. E’ già successo tante volte, ma questa volta non ne possono più e così alla fine, «una partecipazione insperata».
Dopo aver vegliato il corpo massacrato di Enrico e aver portato dei fiori finché non se l’è portato via la mortuaria, trecento lavoratori sono usciti dai cancelli e si sono piazzati nel mezzo della strada. Loro e i loro fuochi, e in poche ore anche una ruspa e un bilico. Ci sono tutti, quelli della Ferport, della Gmt, di ponte Somalia, qualcuno del Vte e della Culmv (la compagnia unica), in rappresentanza di 7 mila lavoratori circa. Poi qualcuno se ne va via e arrivano altri fino a sera.
I sindacati confederali, vista la rivolta, hanno abbozzato e proclamato uno sciopero di 24 ore che arriva fino alla mezzanotte del sabato, ma quello che qualcuno chiama «collettivo della piazza» ha stabilito che lunedì si va in città dalla stazione Marittima alla Prefettura con variazioni di percorso.
«Sono anni che parliamo di sicurezza - spiega Marco, 9 anni in porto - ma qui ormai lavoriamo a cotimo. Lo stipendio base è di 900 euro poi se fai gli straordinari arrivi a 1100, 1200. E dopo un po’ saltano tutti i meccanismi di salvaguardia. Cosa fai quando magari sei al terzo turno consecutivo perché la nave è stata stivata male e c’è da rifissare il carico? So di qualcuno a cui è capitato di fare anche 24 ore di seguito dormendo cinque minuti in attesa della nave. A questo punto sono i lavoratori che devono imporre la sicurezza, altro che i sindacati».
Il ritmo di lavoro è incalzante. Lo dice anche il segretario provinciale della Filt-Cgil Bosco, che sta un po’ in disparte: «Ci vuole un piano che ponga rimedio alla questione sicurezza, che parli dei ritmi di lavoro e dei controlli sulla prevenzione, affidati per poteri alle Asl e per uomini e potenzialità agli ispettori dell’Autorità portuale».
Intanto ai discorsi si mescolano le ricostruzioni di quello che è successo alla mattina. Sembra che Formenti fosse accanto a due pacchi di cellulosa spostati sui carrelli e messi su dei pallettes che alla fine forse erano marci e hanno ceduto. Il carico di 1700 chili più altri 1700 gli è franato addosso uccidendolo. «C’ho giocato a pallone due settimane fa con Enrico, ma se sto a pensare a ’ste cose mi sale una rabbia ancora più grande che mi fa venire voglia di spaccare tutto», dice uno con gli occhi un po’ lucidi. «E’ un omicidio, non una morte sul lavoro - grida un altro - i responsabili sono le istituzioni. Sono quelli che dicono che se critichi metti a rischio la produttività. Ormai al porto vorrebbero che stessimo tutti zitti».
Il problema è che di ispezioni non se ne vedono quasi mai, e chi parla di sicurezza viene bollato come un disfattista. «Qualche giorno fa abbiamo dimostrato che cosa sarebbero i ritmi di lavoro in porto se si lavorasse veramente in sicurezza - racconta uno - Lo sai che è successo? I giornali locali hanno scritto che facevamo lo sciopero bianco». «I terminal ormai sono ghettizzati - dice il delegato Uil alla Ferport, la ferrovia del porto, Stefano Degl’Innocenti - Prima si comunicava. Oggi è tutto un filo spinato, del terminal vicino non si sa niente». E poi mancano gli spazi per lavorare, le strutture sono ferme all’Ottocento.
La rabbia sale, si inveisce contro le auto, ci s’allontana quando arriva un’ambulanza. Ma il malcontento continua. I figli se la prendono con i padri e così quando alle cinque di pomeriggio arriva il console della Culmv Paride Batini e consiglia ai lavoratori di arretrare con i mezzi al limite del porto, qualcuno gli grida «ti sei mangiato tutto, stai zitto». Anni fa non sarebbe successo.
E mentre si alza un vento sferzante da Ponente che spazza il lungomare come la pista di un’aereoporto, qualcuno ricorda il documentario indipendente, «De Ma» di Pietro Orsatti (senzamedia.blogspot.com) censurato, appiattito. Parlava di sicurezza in porto. E qualcuno dice che era persino preveggente rispetto a quello che sta succedendo.