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PRC-CPN: INTERVENTO DI BRUNO STERI

Publie le lunedì 25 febbraio 2008 par Open-Publishing

Comitato politico nazionale 22-23 febbraio 2008

INTERVENTO DI BRUNO STERI

Come è stato detto in un passaggio della relazione del segretario, noi stiamo discutendo della nostra campagna elettorale, dei problemi - anche molto delicati - che essa pone in un contesto politico assai difficile. Non parlo solo dell’Italia. Intorno a noi si sta producendo una profonda mutazione del quadro politico dal segno pesantemente moderato. Questo è un punto su cui, mi pare, siamo tutti d’accordo. Vorrei partire da qui, perché mi sembra giusto situare la nostra discussione dentro questo contesto.

Come è stato detto, questo processo involutivo viaggia su due versanti – quello economico-sociale e quello istituzionale – e questi sono strettamente connessi. Penso che abbiamo tutti noi notato con preoccupazione l’entrata sulla scena delle previsioni economiche di un nuovo attore: è un po’ di tempo che sulle pagine dei giornali, ma anche in ambienti qualificati, nelle sedi che contano a livello europeo e mondiale – penso ad esempio al recente G7 – non si adoperano più circonlocuzioni; in dichiarazioni ufficiali si pronuncia la parola fatale, si parla apertamente di recessione. Ora, io non entro nelle querelles degli economisti; questi discutono sulla consistenza della fase recessiva, e sulla capacità dei Paesi europei di fronteggiarla. E so bene che nelle grida d’allarme di Montezemolo di questi giorni c’è senza dubbio tanta strumentalità; lui ha in mente i suoi interessi. Quello che è certo, però, quello che qui ci interessa è il fatto che tutto ciò prelude alla possibilità di un ulteriore stretta sociale, veicolata da interventi strutturali nella gestione dei rapporti di lavoro e in sede istituzionale. E questo potrebbe avvenire indipendentemente dall’esito delle elezioni. Pensate al paradosso - alla beffa, verrebbe da dire: dopo il primo tempo, per i lavoratori arriverebbe sì il secondo tempo, ma un secondo tempo che è peggiore del primo. Ora, questi sviluppi del capitalismo reale sono strettamente connessi ai nostri ragionamenti sugli assetti istituzionali, le intese bipartisan, la tendenza al bipartitismo. Con un barometro che annuncia pioggia battente, è evidente che tutto debba diventare funzionale a politiche di “responsabilità”, a configurazioni istituzionali e dispositivi elettorali che assicurino al manovratore la necessaria tranquillità. Questo è lo sfondo: che si tratti di un governo “clerico-fascista”, che si tratti di un governo che intenda applicare il rigore con qualche addolcimento, che si tratti di larghe intese. Questo è il contesto; ed è un contesto molto grave: altro che “separazioni consensuali” dal Partito democratico, altro che fair play. Ci dobbiamo attrezzare per una radicale alternativa di società. Ma come?

Alfonso Gianni ieri ha illustrato la sua proposta: che va nella direzione di un’accelerazione del processo di costituzione di una forza politica della sinistra. Una proposta che ha una sua coerenza interna, ma che non condivido. Per un motivo: dal mio punto di vista, è irrealistica. Perchè questa proposta trae la sua forza - in negativo - dall’indicazione della forza del progetto altrui: si dice, c’è il PD, quindi… E’ una proposta che può incrociare un’esigenza. Ma il problema è che, a mio parere, non fa i conti - in positivo - con la realtà effettiva, con il materiale su cui vorrebbe operare. Diceva bene Mantovani: non fa una fotografia della realtà, non è aderente alla reale natura delle forze in campo, alle loro evidenti differenze. E allora, delle due l’una. O Alfonso compie un peccato di astrattezza: nel senso che non vede che c’è una distanza (incolmabile perché strategica) tra quello che lui indica e la realtà dei fatti; oppure c’è coerenza tra proposta e fatti, i conti gli tornano perché lui stesso ha maturato una posizione diversa da quella che ha sin qui caratterizzato la rifondazione comunista, una posizione che io giudico segnata da uno slittamento a destra.

Perché come si fa a non vedere, se prendiamo l’ultimo anno, la serie di divaricazioni su punti politici dirimenti tra noi e Sinistra democratica? Evidentemente, quelle che per molti di noi sono divergenze strategiche, per Alfonso sono differenze che possono essere ricomprese nel suo progetto. E qui c’è tra noi una sostanziale differenza di opinioni.

Nel suo intervento, Alfonso ha contrapposto la sua prospettiva a quella di Toni Negri. Lo ha fatto per dare risalto a due proposte diverse. Io però, Alfonso mi perdonerà, non vorrei esser costretto a scegliere tra Alfonso Gianni e Toni Negri. Anche perché secondo me esiste un’altra soluzione. Semplicissima, direi banale nella sua semplicità: si tratta di confermare e consolidare la rifondazione comunista; e, insieme, costruire l’unità d’azione con le forze della sinistra di alternativa. Ma come si fa a non vedere questa strada, che è semplice e chiara; perché forzare, col rischio di sfasciare tutto.

Io sono anche d’accordo nel chiamare quest’ultima prospettiva “soggetto unitario e plurale”. Purché tale formula non diventi una specie di passepartout che apre tutte le porte, una formula dentro cui ognuno mette quel che vuole.

E qui vengo all’ultima questione che vorrei toccare: la questione del simbolo. Io non penso proprio che sia una faccenda irrilevante. Vorrei chiedere a Ramon Mantovani, che su questo punto mi pare tenda a minimizzare: ma perché allora, nella trattativa sul simbolo elettorale, c’è tanta veemenza, tanta perentorietà nel porre un veto sulla falce ed il martello? Perché? La risposta a questa domanda l’ha data lo stesso Fabio Mussi qualche giorno fa, con una dichiarazione lapidaria: “Io i conti con la falce e il martello li ho fatti nel ‘91”. Punto e a capo. Una frase che, davvero, contiene implicitamente tutta la nostra discussione. Ciò significa che per lui è un capitolo chiuso, da non riaprire più. Ma non un capitolo chiuso rispetto ad un “un segno grafico”, bensì un capitolo chiuso con i comunisti. Tant’è che lui - legittimamente - si sente parte della famiglia del socialismo europeo. Come si fa a non vedere che questo è il luogo di una differenza strategica?

Per questi motivi non ho condiviso né nel metodo né nel merito il modo e l’esito della trattativa sulla lista unitaria: l’asse privilegiato stabilito con Sinistra democratica ha comportato solo danni.

Ora faremo la campagna elettorale e convinceremo tutti i compagni a farla, anche i più delusi: perché sarebbe sbagliato ritrarsi ora e consegnare il campo al PD.

Subito dopo, al Congresso, torneremo a discutere.