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PRC: Direzione nazionale 2 Dicembre 2008 - Il documento finale approvato

Publie le giovedì 11 dicembre 2008 par Open-Publishing

PRC: Direzione nazionale 2 Dicembre 2008 - Il documento finale approvato

di Segreteria nazionale PRC

Proposto dalla Segreteria nazionale

La lotta per la pace, contro lo scontro fra civiltà
Questa nostra direzione avviene dopo che due grandi eventi hanno segnato la scena mondiale, sullo sfondo dell’estendersi della crisi economica e finanziaria del capitalismo globalizzato. Il primo è l’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti. Un fatto storico, che sanziona in modo evidente la stagione di Bush e dei neo conservatori, e che si è fondato su una grande attivazione dei circuiti progressisti della società civile statunitense. L’altro, L’attacco terrorista che ha investito Mumbai , folle espressione di un mondo segnato sempre di più da pulsioni irrazionali e fondamentaliste. La nostra ferma condanna di questo barbaro attentato, si unisce alla preoccupazione di una crescente tensione fra paesi come India e Pakistan, entrambi dotati di arsenali nucleari, e dell’esplosione di nuove e forti tensioni e conflitti di carattere interreligioso e fondamentalista.

Quanto accaduto a Mumbai, dimostra come a nulla è servita la disastrosa campagna di Bush della guerra al terrore, se non ad alimentare un circuito di odio e fanatismo, ad aprire continuamente nuovi fronti, a destabilizzare intere aree e paesi. La risposta al terrorismo non può essere quella fallimentare della guerra , ma deve essere politica. Vanno rimosse le cause profonde che alimentano il terrorismo. E’ anche su questo terreno, sulla capacità o meno di poter dare segnali in equivoci di cambiamento, che si valuterà la portata della elezione di BaracK Obama alla presidenza degli Stati Uniti sul piano internazionale. Crediamo la lotta per la pace l’unico antidoto alla barbarie dello scontro di civiltà.
Dobbiamo batterci perchè non sia la guerra la risposta ad un conflitto che assume un carattere orizzontale e regressivo e che rischia di estendersi con la crisi in atto.

I caratteri della crisi

Il dispiegarsi della crisi segna il contesto in cui ci muoviamo e che connoterà lo scenario nazionale, europeo e globale per un periodo non breve.

La crisi segna il fallimento di oltre tre decenni di politiche neoliberiste, della forma attuale del capitalismo. Non si tratta di una crisi che dalla finanza si trasferisce all’economia reale, che possa risolversi dunque attraverso un intervento meramente regolatorio dei meccanismi finanziari.
L’espansione e deregolamentazione selvaggia della finanza sono stati il modo in cui si è garantita, attraverso la crescita dell’indebitamento privato, la riproduzione del sistema su scala globale in una situazione di stagnazione della domanda conseguente ai processi di precarizzazione e impoverimento del lavoro.

L’attacco al sistema di welfare, i processi di privatizzazione che hanno segnato gli ultimi decenni e hanno contribuito a loro volta all’acuirsi delle disuguaglianze, hanno rappresentato anch’ essi il modo in cui si è garantita la riproduzione del capitale, attraverso la messa a valore di bisogni primari non più garantiti come diritti dal ruolo e dall’intervento pubblico.

I medesimi processi ci consegnano per altro verso uno scenario di crisi ambientale gravissima, in cui un moderno processo di "recinzioni" trasforma l’acqua, l’energia, la struttura stessa della vita da beni comuni dell’umanità, in merci per profitti privati.

La risposta dell’Europa

La risposta a livello europeo pur in una varietà di approcci vede prevalere un indirizzo che mitiga gli aspetti più ideologici delle politiche neoliberiste - come il rispetto rigido del patto di stabilità - senza mettere per nulla in discussione gli elementi politici di fondo prodotti dal neoliberismo medesimo, dagli assetti istituzionali della BCE alla compressione salariale e alla precarizzazione del lavoro. Basti pensare alla direttiva sugli orari di lavoro che andrà in discussione a metà dicembre nel Parlamento europeo. A questo proposito ribadiamo la nostra adesione e partecipazione alla manifestazione europea dei sindacati del 16 Dicembre a Brussels . L’indirizzo politico sopra esposto è particolarmente evidente in Italia dove la maggior parte delle risorse sono state destinate ai salvataggi delle banche, in secondo luogo finalizzate alle grandi opere e solo in minima parte alle fasce più povere in più attraverso la modalità odiosa della social card. Il governo Berlusconi attua quindi un utilizzo politico della crisi per rilanciare il tema dei sacrifici e della concordia nazionale al fine di coprire l’attacco al sistema contrattuale, al diritto allo studio, al welfare, fino al rilancio delle grandi opere riverniciate da intervento pubblico in funzione anticiclica.

Un programma di trasformazione per uscire a sinistra dalla crisi del neoliberismo. La piattaforma della Sinistra Europea
I caratteri e la profondità della crisi ci consegnano la necessità di produrre una proposta complessiva, che non si limiti a denunciare e a contrastare i provvedimenti del governo, ma che riattualizzi una prospettiva di trasformazione radicale dell’esistente.

La piattaforma dei partiti della Sinistra Europea che abbiamo contribuito a costruire e che è stata approvata a Berlino rappresenta una tappa fondamentale di questo percorso, da implementare ulteriormente, anche attraverso appuntamenti già in calendario come l’iniziativa del 6 dicembre a Venezia.

Si tratta di far vivere quella piattaforma come base di un vero e proprio programma di trasformazione che ponendo termine al ciclo liberista innesti una stagione di trasformazione sociale: dagli obiettivi di drastica limitazione dei prodotti finanziari, contrasto dei flussi speculativi di capitale, chiusura dei paradisi fiscali, alla ricostruzione di meccanismi di proprietà e controllo pubblico del sistema creditizio a livello europeo come dei singoli stati; da un piano di intervento pubblico finalizzato alla riconversione ambientale e sociale della produzione e dell’economia, che sottragga spazi alle logiche di mercato e alla valorizzazione del capitale come meccanismo sovradeterminante i processi di produzione e riproduzione sociale; dalla proposta di redistribuzione del reddito da profitti e rendite verso salari e pensioni, alla lotta alla precarietà fino alla rimessa in discussione del modello di sviluppo ponendo il tema di "cosa" e "come" produrre e alla proposta di costruzione di una rete di diritti e protezioni sociali.

Tutti obiettivi con cui si declina la messa in discussione dell’impianto liberista su cui si è costruita l’Unione Europea, da Maastricht al Trattato di Lisbona.

Un programma di tale natura per riuscire a perseguire l’obiettivo di un’uscita da sinistra alla crisi del neoliberismo deve avere la capacità di rappresentare un punto di riferimento a livello di massa, intrecciarsi con la concretezza della situazione sociale, costruire un movimento di conflitto e mobilitazione duraturo e generalizzato, sia a livello italiano che europeo.
L’iniziativa del Governo e di Confindustria. La ripresa del conflitto sociale e lo sciopero generale del 12 dicembre.

La situazione nel nostro paese, per quel che riguarda il quadro delle forze politiche, conferma gli elementi di analisi che avevamo sviluppato.
L’intervento recentemente approvato dal governo Berlusconi non rimette in discussione l’impianto della manovra triennale, con i tagli pesantissimi su istruzione, sanità, casa, enti locali, lavoro pubblico, che viene rivendicata dal ministro Tremonti insieme al rispetto dei parametri di Maastricht. Le vere risorse vengono destinate al sistema bancario lasciandone inalterati assetti proprietari e meccanismi di funzionamento. Pochissimo viene destinato alle povertà più estreme, nessun beneficio va al mondo del lavoro dipendente, con le risorse aggiuntive al sistema di ammortizzatori sociali del tutto inadeguate a fronte della profondità della recessione.

La risposta è tutta affidata allo sblocco delle grandi opere, ambientalmente devastanti, mentre si allenta ulteriormente il contrasto all’evasione fiscale, e prosegue l’attacco ai diritti del lavoro: il programma di ulteriore precarizzazione e deregolamentazione perseguito in accordo con Confindustria fin dal suo insediamento. L’attacco al contratto collettivo nazionale rimane al centro dei progetti di Governo e Confindustria, emblema della volontà di uscire dalla crisi con un ridisegno complessivamente regressivo del sistema delle relazioni sociali: l’individualizzazione del rapporto di lavoro e la distruzione del ruolo di rappresentanza autonoma del sindacato, la sua trasformazione, attraverso lo sviluppo ipertrofico della bilateralità, in uno strumento complice delle imprese nella gestione dei rapporti di lavoro e di interi pezzi di stato sociale da cui il pubblico si ritrae.

Lo straordinario movimento che è partito dalle scuole e dalle università (dal no al maestro unico fino all’onda anomala), dimostrando sin da subito, un’elevata capacità di estensione e generalizzazione, ha evidenziato una situazione tutt’altro che desertificata, segnando una vera e propria ripresa del conflitto sociale. Un movimento pienamente politico, capace di mettere in evidenza la centralità della produzione, valorizzazione e appropriazione di conoscenza nell’attuale sviluppo capitalistico; capace di individuare il rapporto fra i tagli alla conoscenza e la gestione governativa della crisi (noi la crisi non la paghiamo); di creare nessi fra diversi soggetti della conoscenza, dalle maestre ai ricercatori precari, dagli studenti delle scuole fino ai genitori dei bambini elementari. Un movimento, dunque, capace non solo di confliggere con le controriforme e i tagli Berlusconi, Gelmini e Tremonti, ma anche di mettere in crisi una stagione ben più lunga di passivizzazione e conformismo. Dalle mobilitazioni studentesche del 10 ottobre, agli scioperi del 17 e del 30 ottobre, le mobilitazioni territoriali del 7 novembre, dalla manifestazione degli universitari del 14 e del 28 novembre E’ impossibile segnalare qui tutte gli appuntamenti a cui questo movimento ha dato vita negli ultimi mesi.

Quello che emerge come profilo complessivo è una diversità di questo movimento da quelli che l’hanno preceduto; un movimento radicalmente pacifico, democratico, nonviolento, antifascista eppure sottoposto a un grottesco tentativo di criminalizzazione; un movimento per nulla conservatore, con una lucida capacità di proposta sul futuro dell’università pubblica, su ricerca, didattica, diritto allo studio, come si è dimostrato nella 2 giorni di assemblea alla Sapienza. Esso ci consegna anche il nodo della sua "irrapresentabilità" e, dunque, la necessità di interrogarci sulle nuove forme dell’agire politico e sul nodo della rappresentanza. Come dimostra anche la scelta di contribuire a costruire attivamente la giornata del 12 dicembre, esso ha riaperto davvero una stagione di conflitto sociale, di ricomposizione di soggettività.

La prosecuzione dell’iniziativa da parte della Cgil sul versante dei singoli contratti - con la pesante esclusione della vertenza Alitalia - che su quello generale del rifiuto del superamento del contratto Nazionale di lavoro. La valorizzazione dell’ interlocuzione con la Cgil per le implicazioni che ha sull’insieme dei rapporti di forza sociali è un punto decisivo della nostra iniziativa.

La riuscita dello sciopero generale del 12 dicembre, che ha visto la positiva convergenza nella stessa data, dello sciopero dei sindacati di base è un appuntamento dunque di assoluta rilevanza, per costruire un’efficacia nell’opposizione al governo e a Confindustria, per la tenuta e l’allargamento delle mobilitazioni. Il PRC decide sin d’ora di partecipare a tutte le manifestazioni che saranno indette dai diversi promotori dello sciopero del 12. Per la costruzione di un efficace movimento di massa di opposizione è quindi fondamentale il ruolo che può svolgere il sindacato così com’è necessario che la battaglia sindacale terni ad essere efficace sui luoghi di lavoro, nella messa in discussione del potere unilaterale dell’impresa che caratterizza oggi larga parte dei rapporti di lavoro.
In questo scenario si evidenzia la crisi strategica e di prospettive del Partito Democratico. Crisi a cui non hanno supplito i grandi numeri della manifestazione del 25 né l’occupazione degli spazi mediatici, nell’incapacità di mettere in campo un’opposizione vera al Governo e a Confindustria, nel profilo accentuatamente centrista assunto, nella scelta del mancato sostegno allo sciopero generale.

In questo quadro risulta tanto più necessaria la realizzazione della proposta che abbiamo avanzato di costruire un coordinamento delle sinistre di opposizione. Questo coordinamento, proprio in ragione della situazione in cui ci muoviamo deve connotarsi per la capacità di sviluppare un proprio autonomo profilo, di sinistra, che non escluda la possibilità di convergenze politiche più ampie su singoli temi, come avvenuto nel caso del referendum sulla legge Alfano, ma che sia in grado di sviluppare un proprio progetto e proprie iniziative. Questo coordinamento deve essere capace a partire dal livello politico, di coinvolgere forze diversamente organizzate: associazioni, sindacati, movimenti, organismi territoriali.

La nostra iniziativa verso lo sciopero generale e oltre il 12 dicembre
Il bilancio degli obiettivi che ci eravamo dati - la rimessa in campo di un’opposizione che vedesse la data dell’11 come l’inizio e non la fine di una fase di mobilitazione, il contributo al movimento per la scuola e l’università pubblica che pure si è sviluppato con una dinamica di forte autonomia, il sostegno agli scioperi e alle diverse mobilitazioni del mondo del lavoro, le campagne che abbiamo lanciato contro il carovita e per i gruppi di acquisto popolare, la campagna di iniziative davanti ai luoghi di lavoro e l’inchiesta sugli effetti della crisi, la campagna per l’acqua e i beni pubblici, la giornata di mobilitazione per il diritto alla salute prevista per il 9 dicembre - pur nella consapevolezza di limiti e fragilità, di una situazione territorialmente non omogenea, registrano una positiva riattivazione dell’iniziativa, una ripresa della capacità di connessione con i nostri referenti sociali, la possibilità di essere riconosciuti come un punto di riferimento.

Lo sviluppo di questa iniziativa dovrà connotare ulteriormente il nostro lavoro politico.

La capacità di continuare in una campagna che, a partire dalla perdita di credibilità delle politiche liberiste, indichi le responsabilità della crisi non è ininfluente sulla costruzione di un nuovo senso comune di massa, che contrasti l’operazione reazionaria delle destre di un salto di qualità nella costruzione del capro espiatorio e della guerra fra poveri. Ed è decisiva la capacità di essere presenti nelle lotte a difesa del posto di lavoro, nell’organizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori precari, nella centralità di una campagna per il salario sociale come strumento di protezione generalizzato a fronte della recessione. Come lo è la messa in connessione dei conflitti per il sapere e contro la precarietà del lavoro, contro il razzismo e per i diritti di cittadinanza. Lo sviluppo delle sperimentazioni di nuove modalità dell’iniziativa politica, di pratiche mutualistiche che a partire dal bilancio molto positivo della distribuzione del pane, determino anche per questa via la ricostruzione di una connessione e di una risposta ai bisogni va continuata su nuovi terreni.
In questo quadro il prossimo Cpn dovrà definire anche i caratteri dell’iniziativa referendaria da mettere in campo sul terreno sociale e del contrasto alla precarietà del lavoro.

Approvato con 24 voti a favore