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Pacifisti o pacifinti, a proposito delle due manifestazioni di sabato 18 - Tutti a Roma!

Publie le giovedì 16 novembre 2006 par Open-Publishing
2 commenti

Nella foto la manifestazione del 18 febbraio a Roma

15.11.06

Pacifisti o pacifinti, a proposito delle due manifestazioni di sabato

Sabato 18 novembre si terranno in Italia due manifestazioni apparentemente simili. La prima, che si svolgerà a Roma, indetta dal Forum Palestina con l’adesione di parte del movimento pacifista (Rete dei Comunisti, PCL, PdCI), si caratterizza per una piattaforma chiara di solidarietà con il popolo palestinese e per la difesa dei suoi elementari diritti, dal diritto alla resistenza a quello del ritorno dei profughi, non c’è nessuna confusione tra oppressi ed oppressori.

L’altra manifestazione, indetta a Milano dal tavolo della pace con l’adesione di alcune forze della sinistra moderata e di governo, dal PRC fino a settori dei DS e della Margherita, si caratterizza per una ambiguità di fondo, si confonde l’aggressore con l’aggredito, si parla di diritto alla sicurezza per lo stato di Israele (come se uno stato che possiede centinaia di testate nucleari avesse bisogno di noi che gli garantiamo il diritto alla sicurezza), si confonde la legittima resistenza del popolo palestinese con il terrorismo e si chiama diritto all’autodifesa il terrorismo dello stato sionista.

La stampa di questi giorni ovviamente presenta le due iniziative in modo estremamente diverso, i buoni a Milano e i cattivi a Roma. Alla manifestazione di Milano hanno aderito anche Rutelli e Fassino, personaggi notoriamente legati alla lobby sionista, il quotidiano della Margherita propone addirittura di manifestare con la bandiera con la stella di David. Solo questo dovrebbe far meditare tutti quei compagni che in buonafede andranno a Milano.

Ci sono poi i soliti noti che tengono un piede a Roma e uno a Milano per non far dispiacere a nessuno, mi riferisco alle “opposizioni” del PRC come l’Ernesto e Sinistra Critica, lo stesso atteggiamento che hanno tenuto sulla questione del rifinanziamento alle missioni imperialiste o sulla finanziaria., abbaiano tanto ma poi non mordono mai.

L’operazione fatta dalla sinistra governativa è vergognosa, si cerca di spaccare il movimento pacifista sulla pelle del popolo palestinese per piccoli interessi di bottega tutti legati a questioni interne di compatibilità governative.

Quindi è ancora più importante essere presenti a Roma per manifestare la nostra solidarietà al popolo palestinese, per chiedere che venga revocato l’accordo militare che lega l’Italia allo stato di Israele, per dire no al muro dell’aparthaid.

SF PCL Firenze

http://www.pclfirenze.blogspot.com/

Messaggi

  • Ci sono due manifestazioni, perché ci sono due piattaforme politiche sulla questione Israelo-Palestinese, come peraltro riconosce anche il documento del Forum Palestina. E si tratta di differenze ormai decennali che ritornano periodicamente.
    In sostanza le questioni di fondo sono tre:

    1) Riconoscere come obbiettivo la creazione dello Stato palestinese a fianco dello Stato israeliano, nei confini precedenti all’occupazione del 1967. E’ la posizione assunta da Arafat almeno dagli anni ’80 e che ha portato alla costituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese.
    Su questo la manifestazione di Milano è chiara. La manifestazione di Roma intrattiene una volutà ambiguità in modo di mantenere al suo interno chi sostiene la cancellazione di Israele in quanto Stato, che è probabilmente maggioritario.

    2) Ritenere che la soluzione del conflitto israelo-palestinese debba avvenire in modo pacifico o meno. La manifestazione di Milano ritiene che si debba cercare una soluzione pacifica, mettendo in campo varie forme di iniziativa sia istituzionale (Conferenza internazionale, ONU, ecc.) che di movimento. Il terrorismo anche comprensibile per effetto della condizione di oppressione in cui vivono i palestinesi va condannato, per ragioni di principio, ma anche perchè allontana la possibilità di una soluzione del conflitto.
    La manifestazione di Roma ritiene che il problema si risolva attraverso lo sviluppo della lotta, anche, se non soprattutto, armata da parte dei palestinesi, nell’ipotesi (improbabile finora) che si possano capovolgere i rapporti di forza militari tra israeliani e palestinesi. Da questo deriva che anche il terrorismo può essere legittimo (ma anche su questo le formulazioni di chi promuove la manifestazione di Roma sono sempre ambigue).

    3) I palestinesi hanno bisogno di un movimento di solidarietà più ampio possibile, anche di forze che pure mantengono delle notevoli ambiguità (vedi Fassino e Rutelli) o è meglio un movimento politicamente "non contaminato" e quindi limitato a parte dell’estrema sinistra? La manifestazione di Milano si muove lungo la prima direzione, quella di Roma lungo la seconda.
    Si tratta anche qui di differenze che non hanno nulla di inedito. Chi ha l’età per ricordare il movimento di solidarietà con il Vietnam, ricorda anche che il PCI cercava il più largo coinvolgimento fosse pure di democristiani o di moderati, e indicava come parola d’ordine la ricerca di una soluzione pacifica che poteva coinvolgere anche nchi on concordava politicamente con i comunisti. (E in questo aveva il sostegno dei vietnamiti). In questo caso il PRC si muove nel solco della tradizione comunista, mentre il PdCI e gli altri si muovono in quella dei coordinamenti intergruppi dell’estrema sinistra degli anni ’70.

    In conclusione, sarebbe meglio, almeno per i palestinesi, se ci fosse un’unica grande manifestazione, ma visto che ci sono differenze politiche di fondo non c’è niente di male a che ci siano due manifestazioni separate e che ognuno decida consapevolmente da che parte stare. Che poi i promotori della manifestazione di Roma sentano sempre l’esigenza di utilizzare l’insulto piuttosto che il ragionamento, fosse pure polemico, è una modalità che caratterizza tutte le forze politiche che hanno la vocazione alla marginalità e al minoritarismo.

    Franco Ferrari

    • Ricerche italiane «civili» utilizzate da Israele per le nuove armi ?
      Università e istituti di ricerca italiani lavorano, senza saperlo, alla costruzione dei nuovi ordigni israeliani. Lo prevede l’accordo di cooperazione militare Italia-Israele
      Manlio Dinucci
      Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
      29 ottobre 2006
      La forte radioattività riscontrata in campioni di suolo prelevati in Libano potrebbe essere stata provocata non solo da una bomba penetrante a uranio impoverito, ma da «qualche nuovo piccolo ordigno sperimentale a fissione nucleare o altra arma sperimentale (ad es. termobarica) basata sull’alta temperatura di un flash a ossidazione di uranio». Questo parere - espresso dal Dr. Chris Busby, segretario scientifico britannico del comitato europeo sul rischio radiazioni - conferma quanto abbiamo sostenuto sul manifesto sin dallo scorso luglio: le forze israeliane hanno usato in Libano non solo bombe a grappolo e al fosforo (il cui impiego è stato prima negato e poi ammesso da Tel Aviv), ma armi di nuovo tipo. Una conferma indiretta era già venuta dal colonnello Sima Vaknin-Gil, capo censore militare israeliano, che il 23 luglio aveva proibito ai giornalisti di fornire informazioni sull’«uso di tipi unici di munizioni e armamenti».
      Questi «tipi unici» di armi, realizzati con tutta probabilità nel quadro di programmi di ricerca congiunta Usa-Israele, sono stati testati in Libano e a Gaza nelle condizioni reali di una guerra. La ricerca sulle nuove armi è frenetica. Come documenta lo stesso Pentagono, sono state prima realizzate «bombe a piccolo diametro» in grado di colpire ciascuna un distinto obiettivo. Le prime delle 24mila ordinate sono state consegnate dalla Boeing all’aeronautica Usa il 22 maggio 2006. Contemporaneamente si sta lavorando per dotare le nuove bombe di «testate a letalità focalizzata», tipo quelle con involucro in fibra di carbonio, contenenti polvere di metallo pesante (tungsteno o altro), il cui uso a Gaza è stato documentato da Rai News 24. Ma probabilmente la ricerca militare è ancora più avanzata rendendo sempre più superata la tradizionale distinzione tra armi nucleari e convenzionali.
      L’Italia non è estranea a tutto questo. Il governo Berlusconi stipulò con quello israeliano, il 16 giugno 2003, un memorandum d’intesa per la cooperazione nel settore militare e della difesa. Dopo essere stato ratificato al senato nel febbraio 2005 e alla camera in maggio, il memorandum d’intesa è divenuto Legge 17 maggio 2005 n. 94, entrata in vigore l’8 giugno. La legge stabilisce una stretta cooperazione tra i ministeri della difesa e le forze armate dei due paesi riguardo «l’importazione, esportazione e transito di materiali militari», «l’organizzazione delle forze armate», la «formazione/addestramento». Ma, si specifica, «la cooperazione militare non si limiterà ai settori sopra menzionati». Allo stesso tempo i due governi si impegnano a «incoraggiare le rispettive industrie nella ricerca di progetti e materiali di interesse per entrambe le parti». Quindi tecnologia militare italiana può essere usata per realizzare e migliorare nuove armi, tipo quelle già usate in Libano e a Gaza. Per di più, nello stesso quadro, sono stati varati dall’allora ministro Moratti 31 progetti di ricerca congiunta tra controparti italiane - Cnr e alcune università - e controparti israeliane: soprattutto gli istituti Weizmann e Technion, che compiono ricerche avanzate sulle armi nucleari ed altre (tra cui quelle a energia diretta). E’ quindi possibile che alcune ricerche italiane, ufficialmente a fini civili, possano essere usate (anche all’insaputa dei ricercatori) per mettere a punto armi di nuovo tipo. Non sappiamo ancora se nella maggioranza di governo qualcuno esprimerà preoccupazione. Non basta però preoccuparsi. Occorre piuttosto cancellare la legge che istituzionalizza la cooperazione militare italo-israeliana. Si impedirà in tal modo che l’Italia partecipi alla nuova folle corsa agli armamenti e si risparmierà una buona parte dei 4,5 miliardi di euro destinati nella Finanziaria a programmi militari «derivanti anche da accordi internazionali».

      http://italy.peacelink.org/palestina/articles/art_19282.html