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Padre ignoto ......
"I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente: idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passioni civile, zero. Gestiscono interessi i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli senza perseguire il bene comune... I partiti hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai-tv, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il Corriere della Sera cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa faccia una così brutta fine... Il risultato è drammatico. Tutte le ’operazioni’ che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito e della corrente o del clan cui si deve la carica... La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia di oggi, secondo noi comunisti, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati... Bisogna agire affinché la giusta rabbia dei cittadini verso tali degenerazioni non diventi un’avversione verso il movimento democratico dei partiti"
(Enrico Berlinguer intervistato da Eugenio Scalfari su La Repubblica, 28 luglio 1981).
(5 gennaio 2006)
Messaggi
1. > Padre ignoto ......, 5 gennaio 2006, 17:55
La vicenda Unipol investe i Ds e per il secondo giorno consecutivo "L’Unità" dedica ai lettori un’intera pagina-sfogatoio.
E tra chi scrive c’è rabbia, ma anche orgoglio, amarezza e sperdimento.
Qualche frase:
"Basta assistere a un gruppo dirigente che fa quadrato difendendo "l’indifendibile". Piuttosto raccogliano le firme per indire immediatamente un congresso a fine gennaio".(Lorenzo C.)
"..Alcuni dirigenti, purtroppo, dopo un certo periodo intravedono la possibilità di agire anche ai fini del loro interesse personale...confesso che sono molto triste, ma non mi resta che continuare a lavorare e a sperare in una sinistra migliore. (Vito V.)
"Indignazione, rabbia, sconcerto di fronte a quanto sta emergendo...l’orgogliosa diversità etica della sinistra sembra un ricordo lontano legato al vecchio Pci.(Pierpaolo C.)
dal blog di Silvana Mazzocchi su repubblica.it
1. > Padre ignoto ......, 5 gennaio 2006, 22:28
Nella vicenda Unipol che sta trascinando il partito DS nel gorgo di una
crisi irreversibile (e speriamo finale) la questione non è quella
dell’illegalità, o dei furti.
Intendiamoci: la compromissione dei diesse con il sistema bancario
italiano, la svergognata difesa dell’itailanità delle banche configurano
certamente una attiva partecipazione di questo partito all’estorsione che
le banche italiane compiono ai danni dei possessori di un conto corrente
che noi tutti siamo costretti ad essere volenti o nolenti.
Ma non sta qui la causa della crisi.
Il problema sta nella dissociazione cinica tra l’agire e la consapevolezza,
dissociazione su cui si fonda il potere.
Ripercorriamo la storia politica (e anche psicologica) di quella parte del
ceto politico dominante che affonda le sue radici culturali nella storia
passata del comunismo. Non si tratta di una porzione marginale della
attuale classe dominante. Gran parte del quadro politico che su scala
planetaria ha gestito negli ultimi quindici-venti anni la demolizione delle
conquiste sociali dell’epoca moderna proviene dalla storia del movimento
comunista.
Questo vale naturalmente per i gruppi dirigenti dell’ex impero sovietico.
Come Putin era un dirigente dei servizi segreti sovietici, così Lukashenko,
Aliev, Karimov, Kouchma e lo stesso Yushenko sono "comunisti" per
formazione, anche se negli ultimi decenni hanno smantellato le strutture
dello stato e la proprietà statale per dare avvio a una politica di
privatizzazioni che ha provocato un crollo delle condizioni di vita della
grande maggioranza della società.
Ma questo vale anche per alcuni tra gli esponenti più importanti
dell’intellettualità neoconservatrice americana. Nella storia personale di
Richard Pearle, Bill Kristoll Michael Ledeen c’è un passato trotzkista,
come trotzista era stato James Burnham, probabilmente l’ispiratore
culturalmente più dotato della politica neo-con che ha fornito a George
Bush un retroterra ideologico.
In Cina i comunisti non hanno creduto neppure necessario cambiare nome per
farsi promotori di una politica fondata sullo schiavismo.
Come funziona il dispositivo della conversione dal comunismo storico
dialettico al neoliberismo aggressivo?
La precondizione di questo dispositivo è l’identificazione filosofica della
verità con la storia.
Hegel afferma l’identità tra verità spirituale e dispiegarsi del processo
storico. La dialettica materialista sviluppa lo storicismo hegeliano: la
forza della storia è necessariamente destinata a portare alla vittoria del
bene. Chi vince ha ragione. I comunisti stanno dalla parte del proletariato
perché è destinato a vincere nel processo che conduce alla realizzazione
della verità che la storia contiene.
Quando però nella seconda parte del ventesimo secolo la storia ha preso la
piega che oggi vediamo largamente dispiegata, quando il capitalismo
internazionale ha preso l’iniziativa di un’offensiva violenta, insieme
tecnologica e militare, quando infine il socialismo realizzato ha
cominciato a crollare, a ondate successive i comunisti di un tempo si sono
trasformati in "riformatori".
Parola più ipocrita non si pronunciò mai nella storia. La parola riforma,
nata nel primo Novecento per intendere azioni di redistribuzione della
ricchezza a favore delle classi lavoratrici, è passata a significare alla
fine del secolo l’esatto contrario: azioni di redistribuzione della
ricchezza a favore delle classi proprietarie, aumento dello sfruttamento
del lavoro, riduzione del salario e distruzione del sistema pubblico
costruito con secoli di lavoro della società.
Quelli che un tempo si erano chiamati comunisti (e con questo nome avevano
provveduto allo sfruttamento statalista del lavoro altrui) si sono
aggrappati alla parola riforma per legittimare la nuova versione della loro
infamia.
Giuliano Ferrara e Massimo D’Alema sono due manifestazioni nostrane di
questa evoluzione. L’uno come l’altro si sono formati sull’idea
storico-dialettica secondo la quale chi vince ha ragione perchè la ragione
vince.
Perciò si sono piegati al vincitore di fine secolo, si sono messi in fila
per occupare il posto del vincitore. Si sono convinti che la storia è
finita, da buoni volgarizzatori à la Fukujama di un Hegel mal digerito. E
hanno dedicato le loro energie alla distruzione delle conquiste che
l’autonomia dei movimenti operai aveva realizzato nel corso della
modernità. Il dogma al quale si sono convertiti è quello della
privatizzazione delle infrastrutture pubbliche e dell’abbassamento del
costo del lavoro. Il dogma che appare vincente.
I risultati di questa politica a cui i comunisti dialettici hanno
contribuito con alacrità sono oggi sotto gli occhi di tutti. Devastazione
ambientale, distruzione delle infrastrutture indispensabili per la vita
sociale, impoverimento assoluto dei lavoratori.
Ma chi ha tradito una volta
non è più buono a pensare con la sua testa. Per questo i comunisti di un
tempo riformatori di oggi non sono interlocutori credibili. Perché per loro
la subalternità a un potere che un tempo affermarono di avversare è
divenuta una seconda natura, indiscutibile perché (nella loro illusione
ottica) più forte.
Quel che gli ex-comunisti italiani non hanno capito (o hanno fatto finta di
non capire perché questo costituisce la base della loro identità cinica,
della loro dissociazione dellì’agire dalla coscienza) è il fatto che il
capitalismo iper-moderno, del quale sono divenuti zelatori per ossequio
verso il vincitore, non ha nulla a che fare con il probo capitalismo
protestante della passata epoca industriale (ammesso che sia mai esistito).
Il capitalismo del quale i Fassino e i Violante sono divenuti i cani da
guardia è un sistema intimamente criminale. Il raggiro il furto la violenza
non ne sono affatto escrescenze accidentali. Ne sono la logica inevitabile.
Chiunque voglia giocare quel gioco deve sapere che in quel gioco non vi
sono regole se non quelle dello sfruttamento e della violenza contro il più
debole.
Questo mostra la questione Unipol: che con costoro non è possibile fare
alcuna alleanza, perché costoro non sono soltanto corrotti, ma soprattutto
imbecilli.
E’ proprio il fondamento storicodialettico sul quale hanno costruito la
loro vicenda che non è mai stato vero: non è vero che chi vince ha ragione,
né è vero che la ragione vince. E non è vero neppure l’incontrario. Nella
storia non vince nessuno perché a rigore la storia non c’è. Ci sono storie
che nascono in ogni momento, e la ragione rinasce anche quando sembra che
la ragione sia spenta.
Perciò l’importante non è vincere o perdere, l’importante è essere
impeccabile, come dice il don Juan di Castaneda.
Bifo