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Paolo Ferrero: Contro la scissione riformiamo il partito
Publie le mercoledì 21 gennaio 2009 par Open-Publishing1 commento
Contro la scissione riformiamo il partito
Caro Paolo, ti scrivo da compagno non iscritto al Prc (tranne alcuni sporadici anni). Non iscritto e non attivo anche perché coloro che erano nelle stanze dei bottoni vedevano di malocchio chi si affacciava non appartenendo a nessuna corrente e quindi potenzialmente pericoloso. Mi fu detto parecchi anni fa da un dirigente locale del Prc (…) che l’importante era che io parlassi alla gente. Di fronte alla mia esigenza di essere organizzato, si rimandava tutto a un generico appoggio. L’importante era che non si disturbasse la casta e che essa si autoproducesse nei canali istituzionali. Quanta differenza dalle mie esperienze negli anni 70 quando un pur semplice simpatizzante era seguito e curato perché poteva diventare un potenziale quadro. Quindi un partito (per fortuna non in tutte le esperienze locali) che si identificava sempre più nelle ribalte televisive e in primarie varie adagiandosi sempre più in una visione istituzionale e mediatica.
Il tracollo elettorale è stato l’esito anche di questo: uno scollamento tra il partito e la sua gente (…). Non mi spaventa la scissione, se ciò costituisse un superamento di una confusione e un’impasse quale quella che regna oggi e che appare all’esterno. Al lavoro quindi e venite a trovare i tanti compagni dispersi e che non si rassegnano, lasciate andare al loro destino i parolai e i carrieristi. Un saluto fraterno.
Rino 1956 via e-mail
Caro Rino, mi pare utile rispondere alla tua lettera perché credo che il sentimento che tu esprimi sia comune a molti compagni e compagne. Pur comprendendolo, lo condivido solo in parte e vorrei quindi proporti un ragionamento diverso: in primo luogo io credo che la scissione sia un fatto grave e vada contrastata. Non solo perché si separano percorsi di compagni e compagne che hanno lavorato insieme per anni; non solo perché indebolisce il partito privandolo di militanti e risorse, ma anche perché indebolisce ulteriormente e rende meno credibile la sinistra nel suo complesso. Che si faccia una scissione e si dia vita ad un altro partito in nome dell’unità della sinistra è una tale contraddizione che non solo rende poco credibili coloro che la scissione la fanno, ma anche coloro che la subiscono. Una scissione in nome dell’unità rappresenta una divaricazione così enorme tra le parole e i fatti che rende meno credibile tutta la sinistra.
Inoltre questa scissione prefigura uno spostamento di una parte di Rifondazione Comunista in una posizione di subalternità al Pd, cosa che di nuovo indebolisce la sinistra. Che a Torino, i consiglieri provinciali usciti da Rifondazione e i consiglieri regionali di Sinistra democratica e quello fuoriuscito dal Pdci abbiano immediatamente abbandonati il fronte No Tav, non ci renderà più forti né più credibili nella battaglia dei prossimi mesi. Che i consiglieri usciti a Firenze dal Prc, passino dall’opposizione alla maggioranza e si mettano la mordacchia sulla vicenda Fondiaria, non ci aiuta. Che in Calabria o a Napoli si entri a far parte di una giunta da cui invece dovremmo stare fuori, a me non fa piacere, perché rappresenta solo uno spostamento a destra di una parte della sinistra. Io penso quindi che questa scissione annunciata sia dannosa per tutti e che proprio in nome della forza e dell’autonomia della sinistra occorra operare per evitarla e - se non è possibile - per contenerla.
In secondo luogo, penso che non si possa ridurre il nodo della scissione ad un problema di parolai o carrieristi. Un partito che ha subito già cinque scissioni non può liquidare il problema solo con la condanna di chi se ne va. E’ evidente che la scissione, annunciata per i prossimi giorni, nasce dall’incapacità di una parte del gruppo dirigente della mozione due di accettare le più elementari regole della democrazia: non è stato accettato l’esito democratico del congresso di Chianciano. Mi è altrettanto chiaro che tutte le scissioni "da destra" da Rifondazione abbiano visto una adesione alla scissione molto più alta tra coloro che hanno incarichi istituzionali che non tra i militanti. Tutto questo mi è chiaro, ma non possiamo fermarci a questa constatazione; se le scissioni si succedono a ripetizione ci deve essere un problema strutturale, qualcosa che non funziona nella nostra cultura politica e nella nostra modalità di stare insieme. Mentre combattiamo la scissione dobbiamo quindi scavare più a fondo.
A me pare che vi siano quattro problemi principali. In primo luogo Rifondazione non ha mai risolto in modo decente il rapporto tra democrazia e costruzione dei gruppi dirigenti. Abbiamo oscillato tra l’accordo consociativo all’interno dei gruppi dirigenti, con la promozione per cooptazione, e la democrazia utilizzata con una logica da «chi vince prende tutto». In questo modo o l’accordo di vertice del gruppo dirigente (magari all’interno della stessa maggioranza) si proiettava a cascata sul partito impedendo una dialettica reale, oppure l’esercizio della democrazia si traduceva in una sorta di «guai ai vinti». Io penso che su questo dobbiamo praticare una vera discontinuità che a mio parere si colloca nella scelta strategica a favore della democrazia, da ampliare, ma che si deve accompagnare con la scelta strategica della gestione unitaria del partito. In altri termini deve essere chiaro che i congressi, le votazioni, le scelte, devono servire a decidere la linea del partito ma non devono diventare una modalità di selezione dei dirigenti che regolarmente metta ai margini una buona fetta degli stessi.
Noi dobbiamo essere in grado di funzionare in modo democratico ma evitare che l’esercizio della democrazia diventi il regolare e periodico massacro del gruppo dirigente. Per questo penso che sia necessario, oggi, rilanciare la gestione unitaria del partito; perché il congresso è servito a decidere la linea ma è necessario che tutti i compagni e le compagne che scelgono di stare in Rifondazione, al di là della specifica posizione politica, siano valorizzati pienamente nelle loro capacità. Accanto a questa innovazione - che propongo di praticare con radicalità e da subito - ritengo sia necessario applicare con nettezza il nuovo regolamento che riduce gli stipendi dei dirigenti e dei rappresentanti istituzionali e propongo di pensare ad una maggiore nettezza nell’applicazione delle rotazioni, in particolare per gli incarichi istituzionali. Dobbiamo ricostruire il senso di appartenenza ad una comunità, sia dentro il gruppo dirigente che nel rapporto tra compagni e compagne "di base" e dirigenti. Si tratta di scegliere una cultura politica neo puritana, che ricostruisca il senso profondo di fare politica come processo collettivo e non come status. Dobbiamo imparare dalla crisi che stiamo attraversando per costruire il partito come spazio pubblico, democratico, egualitario. Non è facile ma nel percorso della rifondazione questo salto di qualità è necessario.
Da ultimo un punto politico che considero decisivo: dalla nostra crisi potremo uscire solo se non ci avviteremo nel dibattito e nella polemica interna ma se sapremo dislocare la nostra iniziativa politica nella società, nel tentativo di dare una risposta da sinistra alla crisi economica e sociale in cui siamo entrati. Questa crisi cambierà tutto, è una "crisi costituente", che ci obbliga ad una "guerra di movimento"; dalla capacità di giocare in modi non minoritari e politicisti questa partita, dipende la possibilità di rilanciare la rifondazione comunista come proposta di liberazione nel terzo millennio.
Messaggi
1. Paolo Ferrero: Contro la scissione riformiamo il partito, 22 gennaio 2009, 13:41, di Gianni Clau
Caro Paolo
ho sempre votato per il PRC non posso però che condividere l’opinione di chi in questo momento storico auspica una nuova unità a sinistra, un’epoca si è chiusa e in nostro paese ha bisogno di una sinistra nuova che ridia speranza a quanto credono che in cambiamneto è possibile, non credo che richiudendoci nell’orticello del nostro partito risuciamo a riportare la sinistra ed i suoi valori ad essere protagosnista nel nostro paese. Che male c’è ad allearsi con SD e verdi visto che in molte parti d’Italia già si collabora su molti temi. Non abbiamo paura di uscire in campo aperto.
Ti saluto Gianni