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Paolo Ferrero: intervento al CPN del PRC del 23 febbraio 2008

Publie le giovedì 28 febbraio 2008 par Open-Publishing

Intervento al Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista del 23 febbraio 2008

25 Febbraio 2008

L’inizio della campagna elettorale è stato caratterizzato dal dinamismo di Veltroni. Un dinamismo in cui viene proposto tutto e il contrario di tutto evitando però con attenzione di fare i conti con l’esito avuto dall’esperienza del Governo Prodi. Veltroni parla come se al governo del paese ci fosse stato qualcun altro e non il Partito Democratico.

Credo che noi dobbiamo seguire un’altra strada. Dobbiamo proporre una valutazione seria del perché il Governo Prodi ha deluso le aspettative e perché in definitiva ha fallito l’obiettivo del cambiamento sociale del paese. Non è che il Governo non ha fatto nulla, ma le cose positive sono state fatte in dosi omeopatiche rispetto alle esigenze del paese e quindi anche le cose buone che sono state realizzate non sono state percepite.

Noi dobbiamo offrire una lettura del fallimento del Governo Prodi che non è solo frutto dell’azione di Mastella o di Dini ma è dovuto anche all’azione centrista della Margherita e dei Ds, cioè delle forze costitutive del Partito Democratico. Per quanto riguarda le questioni della precarietà, della laicità dello Stato, della redistribuzione del reddito, della politica economica incentrata sul risanamento piuttosto che sulla redistribuzione del reddito il Governo non ha risposto alle aspettative sociali proprio in virtù della linea politica del PD e il nostro tentativo di spostarne a sinistra l’asse è stato sconfitto.

Occorre domandarsi se le cose che propone oggi Veltroni vanno oltre questo fallimento, se l’impostazione di fondo resta la stessa. A me pare evidente che su tutti i temi la posizione di Veltroni non solo ripropone gli errori del Governo Prodi ma addirittura li radicalizza: basti pensare all’attacco all’articolo 18 che viene posto alla base della riorganizzazione del mercato del lavoro o al recente riconoscimento dell’indipendenza proclamata unilateralmente dal Kosovo.

La nostra proposta politica quindi parte da qui: il tentativo che abbiamo fatto di spostare a sinistra il Governo è fallito a causa dell’orientamento centrista del Partito Democratico. Per questo non avrebbe avuto senso riproporre l’alleanza elettorale con il PD e per questo il rafforzamento della sinistra e la costruzione di un movimento politico di massa sono le condizioni per cambiare qualcosa in questo paese.

In secondo luogo dobbiamo dire con chiarezza che esiste qualcosa di peggio per questo paese della vittoria di Berlusconi ed è un governo di larghe intese. Con le grosse coalizioni arrivano le grosse fregature, sia sul piano democratico che sul piano sociale. Solo le grosse coalizioni hanno la forza per peggiorare in senso bipartitico la legge elettorale e mantenere, in nome della crescita economica, bassi salari e precarietà del lavoro.
E’ per tanto necessario rafforzare la sinistra che rappresenta l’unico schieramento politico chiaramente indisponibile - per l’oggi e anche per il domani in caso di pareggi al Senato - alle larghe intese.

In terzo luogo occorre chiarire cosa vogliamo fare quando parliamo di costruzione della sinistra. La lotta contro la chiusura bipartitica del sistema politico, contro la sua americanizzazione passa attraverso la costruzione di una sinistra plurale, con una massa critica sufficiente a stare sul terreno della rappresentanza politica. La costruzione della sinistra è possibile e necessaria per dare un punto di riferimento credibile agli strati popolari del nostro paese, ricostruendo dentro la politica una battaglia efficace per l’eguaglianza, la libertà, la laicità, la critica della mercificazione delle relazioni umane e dell’ambiente, la lotta al patriarcato.

Il punto di discussione riguarda il come farlo e per fare che cosa.

In primo luogo bisogna fare i conti con la crisi della politica e produrre una rottura visibile e percepibile a livello di massa con la situazione attuale, occorre parlare degli stipendi dei parlamentari, della rotazione degli incarichi, dei ruoli della politica. La separazione tra il paese e la casta non è esterna alla sinistra ma attraversa la sinistra, attraversa anche noi.

Per questo il rispetto delle regole sulle ri-candidature, l’incompatibilità tra incarichi istituzionali e incarichi di segreteria, il richiamo al rispetto delle regole democratiche, la definizione di un codice etico che riguardi i futuri parlamentari non sono elementi secondari della costruzione politica. Non è solo la vecchia questione morale: senza una scelta neo puritana, di una nuova etica pubblica, non vi è nessuna possibilità di ricostruire una comunità della sinistra che superi la divisione tra rappresentanti e rappresentati, tra la casta e il paese.
Solo la rottura concreta, nei comportamenti, degli elementi di separatezza del ceto politico possono determinare le precondizioni per costruire una sinistra.

Inoltre la sinistra o è plurale o non è. Plurale dal mio punto di vista vuol dire chiaramente un no senza se e senza ma al partito unico e allo scioglimento di Rifondazione Comunista.

Un soggetto plurale deve costruire una linea politica comune ma deve riconoscere diversi modi di fare politica - nei partiti, nei sindacati, nei comitati di base, ecc. - e ognuno deve poter stare dentro questa casa comune della sinistra a partire dalle proprie pratiche sociali e politiche. Il soggetto plurale della sinistra deve essere la casa di chi è iscritto ad un partito come di chi non lo è. Deve allargare la sfera di coloro che possono partecipare ad un progetto politico a partire dal proprio impegno specifico. Per questo nei mesi scorsi ho proposto il modello dell’F. L. M.

Un soggetto plurale deve riconoscere i diversi riferimenti ideali: nella sinistra vi è chi si definisce ambientalista, chi socialista; noi ci definiamo comunisti che lavorano e ricercano sulla strada della rifondazione comunista. Così come sul piano internazionale vanno riconosciute le differenze: nella sinistra plurale vi è chi fa riferimento all’Internazionale socialista, chi ai Verdi europei, chi alla Sinistra europea.

La costruzione della sinistra non abolisce le diverse idealità, i diversi riferimenti ma li deve rispettare e noi vogliamo costruire la sinistra a partire dal nostro essere liberamente comunisti e liberamente iscritti al Partito della Rifondazione comunista. Non ho nessuna intenzione di chiedere ai nostri compagni e compagne di strada abiure e questo vale anche per noi. Da questo punto di vista sono completamente d’accordo con la costruzione di un simbolo unitario alle elezioni e non sono scandalizzato che non vi siano la falce e il martello. Non è la prima volta che i comunisti si presentano con un simbolo diverso dalla falce e martello alle elezioni e io credo sia stato giusto cercare l’unità senza forzature.

In nome dell’unità abbiamo accettato di non mettere la falce e il martello e non lo abbiamo fatto perché riteniamo che questo simbolo sia sorpassato o da mettere in soffitta: continua ad essere il simbolo del nostro partito per l’oggi e per il domani. Per questo ritengo che la costruzione della sinistra plurale, dall’alto e dal basso, sia un compito a cui il Partito della Rifondazione comunista deve partecipare in quanto tale.
Dobbiamo imparare, a differenza di quanto avvenuto nel secolo scorso quando la sinistra si è caratterizzata per le scissioni, a far convivere le differenze: tutte quelle elencate sono a mio parere assolutamente compatibili con la costruzione di una sinistra plurale, ma certo sarebbero distruttive se vi fosse invece l’idea di costruire un partito unico.

E’ però fondamentale che la sinistra plurale si costruisca non solo sul piano della rappresentanza politica. Si tratta di un piano importante ma non esaustivo. Le contraddizioni sociali sono in aumento e la crisi finanziaria che sta cominciando a tradursi in una crisi economica che aumenterà il conflitto sociale.

Il punto è che non è detto che l’aumento della sofferenza e della conflittualità sociale non si traducano in una guerra tra poveri. Non è remoto il rischio che la frantumazione del conflitto sociale - in assenza di un chiaro riferimento di classe e di sinistra - non assuma la forma liberatoria del conflitto di classe, bensì di un conflitto orizzontale all’interno della società, articolato sulla base di presunte appartenenze identitarie.

La costruzione della sinistra non può quindi porsi solo sul terreno della rappresentanza politica ma deve affrontare, da un lato il problema della costruzione di un immaginario simbolico in cui ricostruire il conflitto contro gli sfruttamenti - dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna, dell’uomo sulla natura - e dall’altro quello della realizzazione di concreti percorsi sociali di tutela dei diritti sociali e di costruzione del soggetto della trasformazione. Ricorrendo a un ossimoro direi: la sinistra politica o è sociale o non è, perché la crisi non produce silenzio sociale ma rischia di produrre guerre tra i poveri.

In questo quadro la ricomposizione della frantumazione sociale non può avvenire sul terreno elettorale, deve necessariamente avvenire sul piano sociale e per questa via porre le condizioni strategiche di una presenza della sinistra nella società e nelle istituzioni.

In discussione non è perciò la prospettiva della costruzione della sinistra - nel senso che io penso che occorra accelerare questo processo, dotarci di una cabina di regia funzionante e democratica anche per essere efficaci nelle elezioni - ma quello delle caratteristiche che deve assumere questo processo, a cui noi vogliamo partecipare come Partito della Rifondazione Comunista.