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Paradossi della diplomazia: la Conferenza di Roma sull’Afghanistan

Publie le giovedì 5 luglio 2007 par Open-Publishing

Paradossi della diplomazia

Iacopo Venier*, 03 luglio 2007 (da prileonline)

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Durante la Conferenza sulla Giustizia in Afghanistan nessuno, nemmeno il nostro Governo, ha sottolineato l’assoluta urgenza di arrivare a una Conferenza di pace, malgrado il parlamento italiano abbia parlato chiaro nel momento in cui ha rifinanziato la missione
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La Conferenza che si è tenuta oggi a Roma sulla Giustizia in Afghanistan rappresenta uno dei soliti paradossi della diplomazia.

Da un lato c’è un paese dove si può essere catturati, torturati e rilasciati senza nemmeno la formalizzazione delle accuse (come è successo non solo ad Hanefi ma a migliaia di afghani), un paese dove centinaia di persone muoiono sotto i bombardamenti che dovrebbero colpire terroristi (che, ammesso siano tali, sono stati condannati a morte senza alcun processo, dalla Nato o dagli Usa), un paese dove una deputata viene minacciata di stupro e poi radiata dal Parlamento per aver avuto l’ardire di far conoscere la propria opinione sui signori della Guerra che siedono nel Governo (come è successo a Malalai Joya della cui sorte nessuno si è preoccupato nella Conferenza), un paese infine dove i trafficanti di droga sono nominati governatori e giudici.

Dall’altro lato c’è invece "la rappresentazione ufficiale" che prevede un fiume di retorica con cui i Governi pretendono di dimostrare al mondo quanto sono stati efficaci nel raggiungere presunti progressi, nuove libertà, diritti e doveri per i cittadini afghani.

La distanza tra il reale e la rappresentazione è talmente siderale da provocare, in chiunque abbia una minima idea di ciò che accade sul terreno, rabbia se non disgusto.

L’Afghanistan ha subito la peggiore delle dittature per poi cadere nella peggiore delle democrazie. Ciò è accaduto perché da sempre gli afghani non sono stati messi nelle condizioni di poter decidere autonomamente del proprio destino. L’Afghanistan è infatti considerato una democrazia solo perché così hanno proclamato i governi di quei paesi che sono presenti con le loro truppe a combattere contro una parte di quella popolazione che dovrebbero in teoria proteggere.

Sia la "dittatura" che la "democrazia" sono state imposte con le armi ed i soldi degli Usa perché erano "necessarie" agli obiettivi prioritari del "mondo libero"; prima la lotta contro l’URSS oggi la guerra al fondamentalismo. Così, dopo essere stato nelle mani di una banda di assassini fanatici, oggi l’Afghanistan è stato consegnato ad una cleptocrazia in parte di derivazione "multinazionale", legata agli interessi per il passaggio degli oleodotti e gasdotti, ed in parte di produzione "locale" fatta di signori della guerra ancora in armi e di trafficanti di droga che si sono appena votati una amnistia totale.

Per capire la realtà dello stato di diritto in Afghanistan basta considerare che coloro che vengono osannati come alternativa ai talebani hanno da poco ricostituito proprio quel "Dipartimento per la promozione della virtù e la repressione del vizio" che il Mullah Omar aveva voluto per vigilare sulla stampa, sulle donne, sui comportamenti pubblici e privati. Di questo avremmo voluto che la Conferenza potesse discutere magari invitando chi in Afghanistan lotta ogni giorno per una giustizia vera e per questo paga spesso con la vita. Così non è stato. Siamo quindi di fronte ad una ennesima occasione sprecata che si aggiunge alla lunga lista di errori, di omissioni, di veri e propri crimini che l’Afghanistan ha subito negli ultimi decenni.

Noi, tanto più noi di sinistra, non possiamo far finta di non vedere in nome di un realismo politico di corto respiro. E’ importante riconoscere che anche il Governo Italiano continua a perseverare nell’errore. In particolare è gravissimo che all’incontro di Roma nessuno, nemmeno il nostro Governo appunto, abbia sottolineato l’assoluta urgenza di arrivare ad una Conferenza di Pace sull’Afghanistan.

Non bastano le generiche affermazioni che non si vince solo con le armi o le troppo timide prese di distanza dai massacri di civili perpetuati dalla Nato. Il Parlamento ha parlato chiaro nel momento in cui ha rifinanziato la missione. La presenza militare italiana in Afghanistan ha come obiettivo una Conferenza di Pace con tutti i paesi confinanti e che coinvolga tutte le forze in campo nella guerra civile in corso.

Senza una svolta l’Italia dovrà ritirare, anche unilateralmente, le proprie truppe da una missione che ha ormai assunto i caratteri di una guerra aperta contro interi pezzi della popolazione afgana.

Le armi devono tacere, a partire da quelle dell’ISAF delle cui azioni l’Italia, come membro della Nato e come paese presente in Afghanistan, porta la piena responsabilità. I crimini di guerra (perché di questo si tratta) devono essere puniti ed i loro responsabili politici e materiali cacciati dalle strutture militari.

Il nostro paese si vanta di essere stato eletto membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Possibile che di fronte alla strage quotidiana ci si debba accontentare delle parole del segretario generale Ban Ki-moon, che si appella alla ’moderazione’ ai vertici militari della NATO a Kabul? Dobbiamo prendere l’iniziativa di chiedere la convocazione del Consiglio di Sicurezza per passare all’ONU e non alla Nato il comando politico e militare della missione.

Senza il coraggio dell’iniziativa noi tutti saremo complici della ipocrisia che copre un colossale fallimento politico e militare.

Senza la forza di una proposta ci consegneremo agli estremisti della guerra preventiva e lasceremo nelle mani dei fanatici una parte sempre più grande del popolo afgano.
I terroristi non aspettano altro.

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*Deputato, responsabile politiche internazionali Pdci