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Pasolini in Val Susa: vivere a bassa velocità

Publie le sabato 17 dicembre 2005 par Open-Publishing

Con l’adesione acritica di buona parte della sinistra all’assioma della indispensabilità della TAV e dei presunti "corridoi europei", il pensiero unico si è avviato a consumare un’autentica mutazione antropologica, al cui cospetto Pier Paolo Pasolini sarebbe rabbrividito. Le ambigue trattative prospettate dal governo interesseranno il come, merginalmente il quando, remotissimamente il dove, non interesseranno invece il "se" andrà realizzata la TAV: su questo (si dice) sono d’accordo tutti, "l’Italia non può restare fuori dall’Europa". A parte, dunque, quattro valligiani retrogradi e alcuni anarco-oscurantisti nemici del progresso umano, la civiltà sembra ineluttabilmente avviata verso un futuro di binari e tralicci, di trafori e muraglie, di stoccaggi inquinanti e di veleni elettro-acustici: quando pure quei quattro valligiani, tappati nelle loro baite di legno, accetteranno che sia giusto così, la mutazione sarà completata e il nuovo modello antropologico sarà perfettamente conformato alle dominanti sociali. Se nessuna parte politica - e perciò la politica tout court - riesce non dico a prospettare, ma neanche a immaginare modelli sociali alternativi, essa ha esaurito il suo compito, e alle speranze dell’uomo non resta che la dimensione effimera del sogno. Bisognerà relegare entro i ristretti margini dell’utopia la prospettiva di uno sviluppo privo di "effetti collaterali", di devastanti contropartite, di un saldo costi/benefici, quand’anche attivo in termini monetari (ma a vantaggio dei soliti pochi), tuttavia perennemente in rosso dal punto di vista reale/collettivo? L’espropriazione dei tempi, degli spazi, dei panorami, dei silenzi, in una parola della "dimensione umana" è un prezzo che solo una civiltà ottenebrata e autolesionista può essere disposta a pagare in nome di una sciagurata idea di progresso al cui centro si colloca nient’altro che l’accumulazione di reddito e di merci. Contro quest’idea insorse l’umanista Pasolini, perciò denigrato e deriso (e per ancor più turpi ragioni) da quella politica che pure si dichiarava sensibile alle ragioni della cultura e dell’arte, e tuttavia incapace di condividere (di comprendere?) l’arroccamento pasoliniano nella difesa emblematica di un "selciato sconnesso e antico": "...questa stradina da niente, così umile, è da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende l’opera d’arte di un grande autore... difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che è opera, diciamo così, del popolo e di un’intera storia, dell’intera storia del popolo di una città, di un’infinità di uomini senza nome che però hanno lavorato all’interno di un’epoca... quello che va difeso è proprio questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare". Oggi, come 30 anni fa, il poeta sembra rivolgersi a orecchie sorde, ad anime morte, a spiriti votati alla sola religione del mercato ed al rito della compravendita come sua celebrazione salvifica. Senza neppure intuire che, anche nell’ottica di un astratto razionalismo economico, la salvaguardia della cultura e della storia, della natura e dei rapporti umani non è scevra da ricadute produttive: è più ricca una Val Susa solcata dai binari o dagli alberi? una scogliera interrotta dagli insediamenti o dalle spiagge? una Sicilia il cui mare rifletta le nuvole o le travi del ponte? Se il materialismo dialettico a suo tempo individuava nella distribuzione della ricchezza il primo tassello di un progetto di liberazione, il pensiero c.d. "verde", lungi dal ripiegare su battaglie minimaliste, avrebbe ancora l’onere di innovare i concetti di "sviluppo" e di "ricchezza": ampliandone le coordinate sino a inscrivervi l’individuo nella sua interezza, l’ambiente come patrimonio di interrelazioni, gli aggregati umani come modalità di espressione di valori anche immateriali. Tra questi non l’alta, ma la bassa velocità trova posto, connotando positivamente la qualità dell’esistere: Pasolini, da orgoglioso valligiano oscurantista, sarebbe stato d’accordo.