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Per Giuliana Sgrena, per i Diritti Umani Universali.

Publie le sabato 5 febbraio 2005 par Open-Publishing

Ciao a tutte e a tutti,

sollecitata da Il Paginone di Liberazione del 1 febbraio di Monica Lanfranco e dal drammatico rapimento di Giuliana Sgrena invio una mia riflessione.

un abbraccio
Lucia

La questione aperta da Monica Lanfranco in Liberazione del 1 febbraio sulle differenze culturali e il femminismo apre riflessioni che necessariamente devono compiersi, all’interno della sinistra, nel movimento femminista ma anche in ogni luogo sociale.

Apre un discorso specifico all’interno della grande galassia del femminismo, ma lo svolgimento del suo pensiero, sull’esaltazione delle differenze culturali e del pericolo che si corre adottando acriticamente questa visione, deve necessariamente essere riflettuto in altri ambiti sociali, perché, e concordo pienamente con l’autrice dell’articolo, esiste realmente un pericolo di incongruenza tra le lotte che portiamo avanti da decenni nell’occidente, e non solo, e una visione mondiale sui diritti universali e la loro globalizzazione.

Mi sono trovata a trattare ed approfondire la questione dei migranti nella tesi che ho presentato all’università di Tor Vergata per il conseguimento della laurea in infermieristica dal titolo “Mediazione culturale e relazione di aiuto. Assistenza infermieristica in una società multietnica”. Un’esigenza di approfondimento perché percepisco, all’interno della sanità, una incongruenza tra un modello che tende sempre più, culturalmente, alla personalizzazione dell’assistenza e la pratica. Come posso io infermiere personalizzare l’assistenza al malato immigrato, che non conosco nella sua visione della vita, nel suo modo di vivere la malattia, la salute, la morte?

La mia prima idea, quando ho iniziato a lavorare sulla tesi, era quella che fosse necessario dare molto risalto alle differenze culturali, come punto di partenza della conoscenza dell’altro, per capire, comprendere, rispettare ed agire. E mi sbagliavo. Non è questo il punto di partenza ma il punto di arrivo.

E’ il perseguimento dei diritti universali delle persone che deve essere quello che ci fa muovere, nelle nostre analisi e ragionamenti, tanto in ogni ambito della società quanto nelle nostre pratiche di movimento e nei nostri percorsi di genere.

Ad esempio, se non parto dal diritto all’autodeterminazione e all’inviolabilità del corpo, questioni giustamente rivendicate dal movimento femminista occidentale e non solo, che si trovano al centro del dibattito italiano odierno, conseguenza della legge sulla procreazione assistita, come mi posso porre io, da infermiera, di fronte ad una donna infibulata o a bambine immigrate che rischiano, nel nostro paese, di subire tale pratica perché in uso nei loro paesi di origine, bambine che frequentano le stesse scuole dei nostri figli, che ci vivono accanto (non ancora insieme, ma appunto accanto)? Forse devo trovare una giustificazione e un compromesso in nome delle differenze culturali? Senza brutali e controproducenti stigmatizzazioni rispetto a questa drammatica violazione del corpo delle donne, che ha gravissime conseguenze sulla loro salute, fisica e mentale, ma senza neppure esitazioni, ci troviamo di fronte ad una battaglia culturale, oltre che legale, che non può essere distorta in nome delle differenze culturali ma deve avere come punto di riferimento i diritti universali delle persone, gli stessi diritti per i quali ci battiamo da anni qui in occidente, e non solo, e che pretendiamo e rivendichiamo per noi stesse, capace di costruire pensieri e pratiche che si pongano questo obiettivo, ovunque, in ogni parte del mondo.

Il differenzialismo come punto di partenza nelle relazioni, soggettive e collettive, rappresenta un muro che rischia di nascondere la verità, che cela il vero obiettivo, e lo nasconde anche ai nostri occhi che sosteniamo la globalizzazione dei diritti. Espressioni diverse nel manifestarlo, ma ogni uomo sulla terra spera in una vita dignitosa, nel poter decidere della propria esistenza, corpo e mente, senza coercizioni di sorta.

In un ospedale, il paziente immigrato, malgrado il suo diverso modo di esprimere i propri bisogni, ha le stesse esigenze ed aspirazioni di qualsiasi altro malato, quello di essere accolto, considerato, essere curato e vedere risolto il suo problema, essere percepito come persona, unica e diversa dalle altre, che merita una presa in carico totale, tanto delle sue esigenze fisiche che psicologiche. Prima viene l’uomo e poi parliamo di diversità culturali, come strumento per un’azione più efficace e come sostiene Monica Lanfranco, prima le donne siano libere, ovunque, poi parliamo di diversità culturale.

Chi sostiene il fondamentalismo perché si antepone al pensiero unico delle super potenze, a mio avviso, compie un atto grave, pratica e fa vivere la guerra culturale e di civiltà, abbandonando al loro destino di negazione dei diritti milioni di persone, ed entra, attuandolo, nel meccanismo stesso perpetuato dalle super potenze. E’ una miope e superficiale visione etnocentrica, molto vicina al razzismo perché fa della “razza”, e quindi della cultura altra rispetto alla propria, il punto di partenza per costruire le proprie visioni e i propri giudizi di valore. E’ una visione legata alle soggettive, egoistiche e ristrette dinamiche interpretative e di lettura della realtà, dove l’unico “male” per l’umanità è incarnato nella politica e nella visione occidentale, ed in nome della sua sconfitta si è disposti, più o meno consapevolmente, a sacrificare l’idea di una reale globalizzazione dei diritti, senza compiere uno sforzo per comprendere cosa sta succedendo agli altri, come vivono gli altri, cosa pensano gli altri, persone in carne ed ossa, tutte uniche ed irripetibili, tutte degne, come noi, di autodeterminarsi. Quello che è importante per noi, ha una valenza sostanziale, oltre che formale, anche per gli altri o no?

Entrare invece veramente nella logica dei diritti universali ci fornisce gli strumenti interpretativi per comprendere tutte le dinamiche, politiche, religiose e culturali che agiscono per negarli, che vogliono imporre un solo modo di esistere, controllando i corpi, modi di vivere, vestire, ragionare.

Una riflessione che viene sollecitata anche dal drammatico rapimento di Giuliana Sgrena di queste ore, una pacifista, laica e antifondamentalista, una giornalista, che ha scelto di vivere la sua professione insieme agli ultimi, in Afganistan, Somalia, Algeria, Iraq, che non si è mai fermata alla superficialità delle cose, che ha sempre tentato di capire, dalle donne, dai bambini, dai senza voce. Una donna che crede nell’autodeterminazione dei popoli, ovunque siano, contro ogni tipo di oppressione.

Lucia Mielli, infermiera - Attac Ascoli