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Per una proposta di lavoro comune in emilia romagna.

Publie le lunedì 12 ottobre 2009 par Open-Publishing
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PER UNA PROPOSTA DI LAVORO COMUNE IN EMILIA ROMAGNA

La Rete dei Comunisti (Bologna)

Questo documento è prodotto dal gruppo di compagni e compagne della Rete dei Comunisti di Bologna. E’ un contributo per rilanciare il dibattito e l’azione comune tra i comunisti e la sinistra di classe nell’Emilia-Romagna.

La fase politica-sociale regionale

Assistiamo all’emergere di una nuova dimensione sociale in Emilia Romagna. Il modello emiliano ormai è un ricordo, i processi di crisi e di ristrutturazione istituzionale ci consegnano un territorio che fatica a trovare una sua dimensione.

La crisi, elemento strutturale e non unicamente finanziario, ha investito prepotentemente l’economia locale, colpendo non solo il settore industriale ma anche quello dei servizi, che non riesce ad assorbire la forza lavoro espulsa dall’industria.

Si gioca oggi una nuova partita rispetto alla rendita e al valore del suolo in un territorio che modifica i suoi assetti urbani e produttivi.

Si sta avanzando verso una area urbana omogenea attorno alla via Emilia. Abbiamo una estensione delle “zone metropolitane”, con una maggiore interazione tra le città vere e proprie e la rete di comuni limitrofi.

La composizione sociale si è modificata profondamente , l’immigrazione interna e esterna è in costante aumento, cambiando quartieri e luoghi di lavoro.

I meccanismi istituzionali sono stati modificati attraverso il federalismo, rendendo il governo regionale il vero depositario delle leve di comando amministrativo. I diversi piani economici e sociali vengono decisi nel rapporto nazionale-regionale.

C’è un restringimento degli spazi di democrazia sia sul piano amministrativo che quello sociale.

Sul piano amministrativo si nega la partecipazione popolare alla cosa pubblica, attraverso il bipolarismo fino ad arrivare al bipartitismo.

Sul piano sociale vengono mantenuti ed ampliati i restringimenti riguardo al diritto di sciopero, il diritto ad organizzarsi al di fuori dei sindacati concertativi, di manifestare, cosi come le odiose norme contro la “socialità” che hanno visto gareggiare i sindaci del PD con quelli della Lega.

Cosa ci consegna il voto

L’ultima tornata elettorale sul piano regionale è speculare del voto nazionale, assistiamo ad una crisi del bipartitismo ma non del bipolarismo. Anche sul territorio bolognese cresce la Lega e l’IdV (+ i grillini). Ma analizziamo le principali novità:

 Il PD esce ridimensionato da questa tornata elettorale, si modificano gli assetti interni al partito, ormai un ricordo del “partito” che fu. L’esempio bolognese di Delbono è emblematico di questo cambiamento, legato e gregario di Errani (presidente della Regione) e uomo di Prodi (il vero sindaco della città). La giunta di Delbono legata alla Curia, al mondo cooperativo e alle imprese, ridimensiona il peso della “sinistra” all’interno del PD e prende come principale interlocutore sindacale la CISL, a scapito della CGIL che reagisce alla strategia della nuova giunta in modo abbastanza goffo recriminando uno spazio nella governance cittadina. Infine rompe le relazioni con la federazione RdB con la quale è costretta a fare i conti solo a seguito delle conflittualità messe in campo dalla stessa su singole questioni.

 Esce fortemente marginalizzata e ridimensionata la sinistra “politicista”, dal versante politico. I principali partiti (PDCI, PRC, SD, Verdi), sono attraversati da lacerazioni, scissioni, e rischiano di evaporare nei prossimi mesi. Se si esclude Sinistra e Libertà (SD +Vendoliani) agganciati alla CGIL, abbiamo formazioni ormai avulse da ogni dimensione sociale. Le esperienze locali delle liste BCL e Terre Libere, PCL, se da una parte hanno avuto il pregio di sottolineare la necessità di una politica cittadina altra rispetto alle alleanze elettorali “preventive” con il PD, espresse dall’attuale gruppo dirigente di PDCI-PRC, dall’altra hanno confermato l’estrema difficoltà di creare un’alternativa di “movimento” credibile.

 Abbiamo lo sviluppo della Lega, che diventa il 3° partito della regione. Lo sfondamento del Po ormai è un dato di fatto, questo moderno partito di massa, immette nella regione una nuova destra, non nostalgica, e capace di parlare ai ceti medi come ai settori popolari, introducendo con forza tematiche protezionistiche e razziste, cogliendo e incrementando la purtroppo reale “guerra tra poveri” che oggi si combatte dentro le fasce popolari. La destra estrema non riesce a sfondare sul piano istituzionale in quanto ogni spazio è occupato dal PDL e dalla Lega. Rimane tuttavia un pericolo la sua presenza sul territorio.

 Un quarto elemento è lo sviluppo del “neo-giustizialismo”. Di fronte alla drammatica situazione politica e culturale è naturale che si sviluppino correnti che pongono al centro del loro programma la questione morale ed etica. Sono riusciti ad intercettare la “sana” repulsione verso la politica composta da “nani e ballerine”. Sul piano locale come su quello nazionale sono l’unica variante a “sinistra” del bipolarismo. La durata di un simile fenomeno non pensiamo possa essere previsto, tuttavia è un sintomo evidente di una crisi della politica e della società che fin ad oggi abbiamo conosciuto. La base sociale neo-giustizialista è quella legata ai ceti medi e a settori popolari un tempo definiti garantiti che subiscono la crisi.

La Lega e l’Italia dei Valori sono ambedue percepiti come –nuovi- e di –rottura-, tuttavia a differenza dei secondi, la Lega ha, sul piano nazionale, un sostegno anche in settori importanti del mondo economico-culturale, cosa questa che non è ancora presente in Emilia, in quanto quel blocco sociale guarda ancora al PD.

Contrastare i miraggi

Il senso di sconfitta della sinistra e dei settori ad essa vicini, non può trascinare chi, come noi, oggi si pone il problema di nuove prospettive. A costo di apparire inguaribili ottimisti, pensiamo che in una fase di turbolenza economica e sociale e quindi di crisi politica ci sia spazio per chi si pone su un terreno di rottura degli attuali assetti sociali.

Parafrasando il Lenin del Che fare abbiamo bisogno di sognare e fare si che questo rappresenti il soffio di una realtà più profonda che vuole emergere. I comunisti senza l’obiettivo di rottura degli assetti sociali, non sono nulla, ma una delle tante correnti democratiche che attraversano la società. Impossessarsi di questa scelta è importante, per una forza che vuole essere percepita come innovatrice e che rompe con le paludi del presente. I comunisti sono rivoluzionari, quando riescono ad essere percepiti nell’ambito della conflittualità sociale come avanguardia. Ciò avviene attraverso un lavoro organizzato e disciplinato, dove lo scontro si determina nella capacità della classe lavoratrice di strappare potere e quindi non garanzie ma diritti.

Diversi settori comunisti e della sinistra e anticapitalista hanno messo al centro come elementi fondanti l’indipendenza politica che si può tradurre anche semplicemente nel non essere succubi delle politiche del PD, e quindi rifiutare le alleanze nazionali e locali nonché la centralità del conflitto sociale. Da questi due piani pensiamo si possa riavviare una discussione a tutto campo.

Esistono incidenti di percorso e persistono vecchi vizi della sinistra:

 il settarismo identitario, che porta a pensare di essere auto-sufficienti.

Oggi una soggettività comunista, pensiamo non possa rappresentare politicamente in modo auto-sufficiente il conflitto, in quanto lo stesso è spesso scollegato e più “avanti” delle organizzazioni politiche.

 l’unità per scorciatoia, ossia il tentativo di mettere assieme partiti e gruppi senza un progetto politico e sociale preciso riducendo tutto a presunte necessità di rappresentazione istituzionale.

Tuttavia esiste oggi un variegato campo di forze e gruppi che si collocano a sinistra, e sarebbe errato credere che la semplice sommatoria di queste realtà possa di per sé rappresentare una alternativa, in una riproposizione di un modello come quello che fu dei social forum.

Una soggettività comunista, oggi si pone inevitabilmente il compito di ridefinire il che fare dentro un quadro sociale e politico attraversato da processi di crisi. Occorre ripartire dal piano dell’analisi e dalla conoscenza del presente, in assenza di questi elementi, si rischierebbe di muoversi solo attraverso un vuoto attivismo. I comunisti non sono un gruppo di opinione, né di attori della rappresentazione, ma devono candidarsi ad essere la parte avanzata dell’attuale blocco sociale, dando strumenti organizzativi, analitici e prospettive nella lotta di classe. Lotta di classe qui intesa nella sua complessità, assumendone i diversi aspetti, da quello politico, economico e culturale.

Il fatto che oggi manchi il partito, è un dato di fatto ma non modifica i compiti delle soggettività comuniste che possono e devono lavorare all’accumulo di forze con modalità da partito.

Il piano della soggettività comunista comunque non va mai confuso con quello della rappresentanza politica, che è solamente un aspetto, seppur importante dell’azione politica generale.

La Rete dei Comunisti e il suo agire

Non pensiamo con queste brevi note di esaurire un argomento cosi vasto come quello del ruolo e della funzione dell soggettività comunista; vogliamo più semplicemente stimolare una riflessione, che sappia porre al centro tale questione slegandola sia dalla deriva istituzionalista, sia da un vuoto radicalismo movimentista.

In questo contesto di crisi economica, compito dei comunisti, anche sul nostro territorio, sarà quello agire dentro le contraddizioni.

Come Rete dei Comunisti riteniamo importante suddividere in tre aspetti il nostro agire:

 Il momento di sintesi tra la teoria e la prassi. La soggettività comunista, non è il rappresentante degli interessi dei lavoratori, ma il punto di unione tra una visione strategica alternativa al capitalismo e la classe. La soggettività comunista si "costruisce dall’alto", in quanto la coscienza politica deriva dalla conoscenza generale dei rapporti tra tutte le classi sociali. Non può bastare la conoscenza empirica, unilaterale dei lavoratori, per avere coscienza della propria funzione di classe, cosi come anche un approccio deterministico-accademico alla realtà risulta fallace.

L’accumulo di forze dei comunisti è quindi il primo compito inprescindibile ad uno sviluppo della coscienza di classe generale.

 Il piano sociale, la capacità di incidere dentro il conflitto capitale-lavoro, attraverso la partecipazione diretta alle organizzazioni indipendenti dei lavoratori.

L’esperienza del sindacalismo di base, rappresenta un importante tentativo da parte dei lavoratori di assumere un piano d’azione sindacale e sociale autonomo che rompe con le compatibilità e la concertazione, dentro questo ambito pensiamo sia importante per i comunisti agire.

La ricostruzione dell’identità di classe passa attraverso la capacità dei lavoratori di darsi strumenti indipendenti per essere un blocco sociale antagonista.

 Il piano della rappresentanza politica. Ossia la capacità di mettere in relazione le varie esperienze e realtà politiche organizzate , per dare un strumento complessivo al blocco sociale antagonista, non limitandosi unicamente all’azione sindacale e sociale.

Questo piano non va assolutamente confuso con quello della soggettività comunista, in quanto pensiamo debba andare oltre l’esperienza e l’identità dei comunisti rivolgendosi a tutto il blocco sociale antagonista facendo i conti con le sue differenze e la sua complessità

Per un lavoro comune

Come Rete dei Comunisti vogliamo mettere al centro queste considerazioni su cui iniziare un lavoro comune.

1) Crediamo che sia importante che la nostra azione e la nostra analisi siano rivolte al piano regionale e non solo a quello locale, in quanto è questo lo spazio politico disegnato dai nuovi assetti amministrativi federalistici.

Dentro questo contesto è necessario aprire una mobilitazione attorno agli spazi di democrazia, dal piano amministrativo a quello sociale. Da un sistema bipolare bloccato, al potere dei lavoratori, alle recenti norme del pacchetto sicurezza e le relative ripercussioni sul conflitto di classe. Le modificazioni degli assetti amministrativi, locali e regionali, depotenziano ancor più la possibilità di avere un peso per le fasce popolari.

2) La fase di crisi impone scelte conseguenti anche sotto il profilo delle organizzazioni sociali e sindacali. I comunisti e la sinistra devono agire dentro il conflitto sociale, attraverso il loro coinvolgimento diretto nella creazione di organizzazioni sociali e sindacali che pongono al centro l’indipendenza di classe. In questo senso, con i processi unitari in corso del sindacalismo di base e la recente sperimentazione del sindacalismo metropolitano, con l’integrazione tra azienda e territorio, sono un terreno privilegiato dove i comunisti e la sinistra possono agire.

Non abbiamo bisogno di essere codisti, ma di una azione capace di dare gambe e sostanza alla lotta dei lavoratori. La ricostruzione di un blocco sociale antagonista passa per la capacità della classe di pensarsi soggetto attivo e di essere capace di dettare una propria agenda politico-sindacale rompendo con la concertazione. I movimenti spontanei di lotta sono importanti, ma se ne misura la capacità di tenuta nello sviluppo delle organizzazioni di classe indipendenti.

3) I processi di crisi strutturale ci impongono approcci diversi di fronte all’emergere della cassa-integrazione e disoccupazione. Autogestire uno stabilimento in crisi dove la produzione non ha alcun sbocco commerciale, può allungare l’agonia ma non risolvere il problema del reddito per i lavoratori. E’ opportuno rimettere al centro la battaglia per il reddito sociale diretto e indiretto, e su questo aprire una mobilitazione sul ruolo del soggetto pubblico (Stato) contrapposto agli interessi del privato.

4) La crisi dei due partiti comunisti pone un problema rispetto alle organizzazioni giovanili, che assieme ai centri sociali, sono state le uniche realtà di filtro per i settori giovanili a sinistra. Le forze comuniste indipendenti devono avere la capacità di ridare un significato nuovo alla dimensione comunista, guardando al futuro e non al passato. Conseguentemente riteniamo praticabile che si creino relazioni tra i giovani comunisti e che la loro spinta abbia la capacità di bombardare il quartier generale delle vecchie incrostazioni settarie. Un metro di giudizio rispetto allo stato di salute di un movimento politico lo si basa sulla capacità di dare voce e strumenti ai giovani.

5) Una rinnovata capacità di mettere in relazione il locale con l’internazionale, e saper cogliere le spinte in avanti che oggi vengono realizzate dai diversi movimenti socialisti e comunisti. Questo per gettare le basi per un nuovo approccio non più basato unicamente sull’eurocentrismo. Per fare questo è opportuno valorizzare le diverse strutture di intervento aperte contro la guerra o su determinate tematiche internazionali, partendo non dal dato identitario, ma partecipando alla costruzione di spazi e coordinamenti che possano intercettare il più largo numero di persone, a prescindere dalla loro appartenenza politica.

6) La crisi economica-sociale, fa emergere il problema dell’infarto ambientale del pianeta, con le relative ripercussioni sul nostro territorio, dobbiamo avere la capacità di intervenire su questo terreno. E’ un piano di lavoro importante ma insidioso, oggi si parla di capitalismo verde e di decrescita, concetto che ricorda da vicino il pauperismo.

Queste sono proposte, spesso animate da istanze sincere, che tuttavia sono una nuova variante del riformismo e della concertazione. E’ una battaglia politico-culturale importante, perché dentro questo spazio si gioca un importante partita rispetto alle nuove vie di sviluppo per un nuovo socialismo del XXI secolo.

Conclusioni

Questi punti, seppur non totalmente esaustivi, possono rappresentare una base di partenza per la creazione di un tavolo di consultazione tra i comunisti indipendenti e la sinistra anticapitalista e le relative organizzazioni che li rappresentano sul piano territoriale; per ridare una prospettiva generale al conflitto sociale. Questo attraverso momenti di ricerca e di propaganda comuni, che portino ad organizzare una presenza visibile delle forze comuniste indipendenti e di sinistra presenti sul nostro territorio, anche attraverso semplici elementi: reciproca valorizzazione degli strumenti di informazione, le sedi presenti sul territorio, feste e iniziative comuni su singole campagne.

Sarà la verifica del lavoro comune che farà si che si possa pensare in futuro a maggiori livelli di coordinamento.

RETE DEI COMUNISTI autunno- 2009-Bologna

contropianobologna eCp yahoo.it - www.contropiano.org Via Barbieri n.95 Bologna

Messaggi

  • Caro Enrico mi auguro che ci sia un risveglio delle coscienze dei tanti compagni che addirittura in questo momento votano Lega e nasca un grande blocco sociale o un movimento anticapitalista, conflittuale e libertario partendo dal basso e dalla base.SIAMO STANCHI DEI LEADER, SAPPIAMO CHE SONO LA NOSTRA ROVINA E FANNO GLI INTERESSI LORO E DEI POTERI FORTI!!!!

    • Caro Nando,e cari(e copagni/e, ho postato questo interessante documento che ha il merito, di tentare lealmente di aprire un percorso per l’unità dei comunisti non governisti e degli anticapitalisti.

      Pur se delineato nella regione emilia romagna, il doc. ha il pregio di tentare di far discutere la sinistra di classe e questo, lo ritengo meritorio di nota, perchè la situazione dell’oggi, non vede "solo" il pericolo reazionario del governo Berlusconi populista e demagogico, ma anche una insulsa opposizione incapace di offrire uno straccio di progetto alternativo.

      Se veramente vogliamo uscire dalle secche politiche e culturali dell’esistente, serve riprendere a mobilitarsi in prima persona, ad evitare tentativi già provati e sperimentati, e che nessun risultato positivo possono dare.
      Il sostegno a linee politiche che mettono in discussione i diritti della classe, possono anche detronizzare Berlusconi, e la cosa non è di poco conto, ma aprono al continuare a sfruttare e a togliere diritti alle classi più deboli della società.

      Snaturano l’alternativa possibile, inquinano le stesse organizzazioni di classe con il suggerire scorciatoie che poi si rivelano opportuniste e di vero snaturamento di percorso possibile.
      Per battere privatizzazioni, precarietà, razzismo, guerra, omofobia, sfruttamento di genere, inquinamento ambientale e altri pericolosissime derive, occorre porsi il problema dell’unità possibile, senza svendere i motivi per cui ci si richiama al comunismo e/o all’anticapitalismo.
      Senza far decidere a smanie istituzionali, senza cedere a prassi da ceto politico, spinti esclusivamente dalla ricerca di una alternativa.
      Son solo piccoli passi che indicano una direzione, che a mio avviso, è l’unica percorribile per chi si pone il compito di opporsi ad uno stato di cose gravissimo.
      Nessuna illusione verso chi crede con tatticismi di far fronte alle destre ed al padronato

      L’alternativa degna di questo nome, oggi, passa per l’autorganizzazione, per il costruire l’opposizione sociale che è l’unico antidoto non solo al Berlusconismo, ma anche al tecnicismo e a quel centrosinistra che è sempre più succube di politiche di vera e propria destra.
      Prima che politicamente, dobbiamo saper rispondere culturalmente, al dominio reazionario, che è sempre più trasversale.
      Solo un lavoro collettivo ci potrà dare le possibili coordinate, il documento da me ripreso, è un piccolo, ma importantissimo, passo in avanti, in questa direzione.

      A presto, Enrico

    • Definire il PCL un’esperienze locale (al pari di Monteventi) mi pare decisamente poco serio.
      Inoltre da parte del PCL non credo ci sia l’idea di creare un’alternativa di “movimento”, quanto piuttosto la necessità di organizzare e costruire il partito rivoluzionario.

    • Ti rispondo, anche se non sono l’estensore del documento, e addirittura , non abito nemmeno in emilia romagna, ma nel lazio.
      Essendo una proposta ,per adesso sperimentalmente, locale, il doc. si propone, credo, anche al pcl locale.
      E’ come dire che se la proposta è indirizzata a bologna città libera, s.c. che ne fa parte, non è stata citata.
      Si può fare, ma lascia il tempo che trova, e di passi in avanti, a mio giudizio, non se ne fanno.
      Sull’autocostruzione del pcl, se la si ritiene l’unica proposta valida, auguri veri e sinceri, ma sempre a mio parere, servirà a ben poco.
      Il proseguio ci dirà quale risposta è la più giusta, scartare a priori un’apertura di dialogo nella sinistra di classe, su questi temi, è , sempre a mio parere, non all’altezza della fase e delle possibilità che si aprono, per dotare la classe, di una casa comune dei comunisti non governisti e della sinistra anticapitalista.
      Ovvio, però, che se invece si ritiene di essere all’altezza di poter da soli autocostruire il tutto, non ci sono argomenti validi.
      Sarebbe per me, un errore politico, ma non bloccherebbe certo la validità dell’iniziare un ragionamento tra chi sente che si può fare dei passi in avanti.
      Se non pensassi questo che ho appena scritto, non ci sarebbe motivo di averlo proposto, non sono della rete dei comunisti, anzi, non sono un iscritto a nessun percorso oggi esistente, e non è un caso.
      Sono interessato unicamente a riaprire un filo-rosso per costruire la sinistra anticapitalista superando l’esistente, che a torto o a ragione, ritengo non possa incidere, come io auspico.
      "Utilizzo" ciò che mi sembra politicamente interessante e propositivo e scrivendo qualche mio post, lo invio a vari organismi o situazioni, per essere "utilizzato", se lo si ritiene valido,
      Sul "movimentismo" e sul partito rivoluzionario, risponderti vorrebbe dire entrare, io che non sono in emilia romagna, direttamente in questo possibile futuro dialogo,una scorrettezza agli estensori del doc.che , come spero tu possa ben comprendere, non mi sento di fare, non servirebbe a nulla..
      Sarei fuori luogo e a dir poco presuntuoso, anche se penso di aver a riguardo qualche modesta idea, che ti assicuri provo a portare avanti, per quel poco che posso fare.
      Con l’occasione ti invio il mio saluto, Enrico.