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Per una svolta a sinistra
di Bruno Steri
– Da non molto è calato il sipario sull’ottavo congresso di Rifondazione Comunista e non si può certo dire che la grande stampa nazionale abbia dismesso ogni interesse nei confronti di questo partito. Al contrario, se ne occupa; anche se lo fa a modo suo. Ad esempio, su solerte sollecitazione di qualche esponente del centro-destra, si enfatizza uno sgangherato teorema – appositamente lanciato da un giornale colombiano di regime – che attribuisce al Prc propensioni filo-terroriste per il fatto di aver cercato una via di pace per la Colombia e a tal fine interloquito anche con le Farc, organizzazione guerrigliera che si oppone alla locale dittatura. Come in altri casi, l’interlocuzione non ha impedito a Rifondazione di ribadire la propria chiara condanna della pratica dei sequestri di persona. Nonostante ciò, quella che è stata un’opera di mediazione internazionale, condotta in modo trasparente e tenendo nel merito costantemente aperti dei canali informativi con le massime autorità istituzionali del nostro Paese, diventa collusione col “terrorismo planetario”, con uno dei tanti nomi inserito discrezionalmente dai padroni del mondo nella loro “lista nera”.
Oppure, su un altro versante tematico, ci si affretta a dare descrizioni della vita interna del Prc, compiacendosi nel presentare lo stato dei rapporti tra le diverse componenti come quello di “separati in casa” (ciascuna di esse intenta a preparare per proprio conto autonome iniziative) e, ovviamente, preconizzando l’inevitabile fine del partito. Non stupisce che quelli che non hanno mai voluto bene a Rifondazione intravedano nell’attuale congiuntura politica la possibilità concreta di coronare il loro disegno e – finalmente – porre fine ai loro incubi: i comunisti - e con loro la sinistra - fuori dalla politica e dalla storia (oltre che dal Parlamento). In effetti, la temperie è quella che è: nella Repubblica Ceca, quindi nel cuore dell’Europa, ciò sta realmente accadendo a colpi di decreti. Si è infatti posta fuori legge l’organizzazione giovanile del Partito Comunista - una forza politica consistente, che in quel Paese fa gravitare i propri consensi attorno al 20% - con l’inquietante accusa di includere nei propri documenti il termine “lotta di classe”. Siamo dunque alla persecuzione delle opinioni e delle concezioni sociali, alla tomba della stessa democrazia liberale. L’Unione Europea non fa una piega; anzi, sforna documenti ufficiali ispirati al più becero revisionismo storico, accreditando dietro la categoria passe-partout di “totalitarismo” l’equiparazione tra comunismo e nazismo. Da parte sua, la democratica Italia non si confonde certo con i metodi forcaioli dei cechi: si limita a cambiare “democraticamente” la legge elettorale, così da impedire l’ingresso nelle istituzioni nazionali e sovranazionali a qualsiasi falce e martello si azzardi a comparire sull’apposita scheda. Ogni tanto, per la verità, qualcuno sfugge a tali comportamenti “misurati”: come è accaduto al Tribunale di Catania, il quale ha sentenziato la sottrazione di un minore alla madre e il suo affidamento al padre, in quanto il minore stesso è tra l’altro frequentatore di un gruppo di estremisti, cioè a dire dei…Giovani Comunisti della locale sezione Prc! Non sappiamo se il caso sia destinato a fare giurisprudenza; certo, il fatto stesso che possa essersi verificato rende conto dei tempi che corrono.
Beninteso tutto ciò accade non a causa del destino “cinico e baro”, ma semplicemente perché i poteri dominanti stanno vincendo la battaglia del controllo sociale: perché all’inasprimento delle condizioni sociali e, più in generale, di vita fa da compensazione l’eclissarsi dei valori di solidarietà e di un’organizzazione di classe per la difesa e la conquista di diritti, con il contestuale dispiegarsi di una concezione del mondo ispirata ad un violento darwinismo sociale: ciascuno per sé e peggio per chi sta sotto di me. E’ evidente che la forza altrui è l’altra faccia della mia fragilità. Tutto ciò avviene infatti nel contesto di una seria debolezza delle forze della sinistra, in grave deficit di progettualità politico-ideale, punite dagli errori commessi e mostratesi incapaci di soddisfare le domande provenienti dai soggetti sociali che ad esse hanno fatto e dovrebbero ancora fare riferimento.
– In una situazione generale già così complicata, il Prc sta vivendo uno dei suoi momenti più difficili. Le tossine di un congresso molto duro non sono ancora smaltite e in taluni tra coloro che sono risultati minoranza (di poco, e tuttavia minoranza) serpeggia un livore, un’ansia di rivalsa in astratto comprensibili ma non politicamente giustificabili. In proposito, proviamo a muovere da una constatazione che ci pare francamente lapalissiana. Se un “turista inglese”, fuori dalle mischie politiche nostrane ma minimamente dotato di buon senso, avesse assistito all’ultima vicenda elettorale e al tracollo della lista della sinistra, avrebbe senz’altro messo in conto (e magari scommesso su) carattere ed esito del congresso di Rifondazione. Non avrebbe cioè gridato ad alcuno scandalo se, dopo il disastro, l’assise congressuale avesse prodotto (come in effetti ha prodotto) una discontinuità di linea politica e, persino, un nuovo gruppo dirigente. A meno che non vi sia chi ritenga di essere maggioranza per investitura divina, nella vita interna di una forza politica ciò fa parte del gioco, è ascrivibile ai rivolgimenti prodotti dalla dialettica democratica. Per questo non appare giustificabile ed anzi risulta alquanto sopra le righe un certo tono di “lesa maestà” che ancora proviene da alcuni compagni – non da tutti – della seconda mozione congressuale.
Sappiamo bene che l’assetto attuale del partito presenta delle anomalie evidenti, che ne rendono complicata la gestione: l’attuale maggioranza governa con poco più del 50% di consensi sulla base di un accordo politico tra aree sino a ieri disomogenee; poco meno della metà del partito è all’opposizione. Con tali basi di partenza, è ovvio che sarebbe stato auspicabile un accordo unitario: e, com’è noto, alcuni di noi hanno sino all’ultimo provato a percorrere questa strada. Purtroppo non eravamo nelle condizioni politiche perchè tale tentativo andasse a buon fine. L’asprezza del congresso non lo ha permesso, un’asprezza determinata non da cattiva educazione ma dalla sostanza stessa della discussione. Ora è perfettamente inutile (oltre che autolesionista) cercare capri espiatori e lasciarsi trascinare da propositi meramente “vendicativi”(“muoia Sansone con tutti i filistei!”): del resto occorrerebbe sommessamente ricordare alle compagne e ai compagni oggi in minoranza che essi stessi hanno contribuito a creare il clima in cui si è celebrato il congresso, affondando sull’acceleratore con operazioni politiche e metodi interni - diciamo così - “spregiudicati”.
Al contrario, occorre continuare ostinatamente a tessere i fili di un’unità possibile. Del partito innanzitutto; e poi delle altre forze della sinistra e di movimento. Rifondazione ha bisogno di tutti, di tutte le competenze; ma occorre credere in questa forza organizzata, nella sua autonomia, nel suo rafforzamento.
Non c’è alternativa a tale prospettiva. Per due motivi essenziali. Innanzitutto, perchè non si costruisce nessuna sinistra sulle ceneri di Rifondazione (o anche fuori da Rifondazione): riflettano bene su questo quanti hanno troppo frettolosamente considerato conclusa la parabola di questo partito. Inoltre, perché nessun altro – ripeto: nessuno; e men che meno il Pd – è oggi in grado di costruire un’opposizione credibile all’incedere devastante delle destre. La società e la politica – intesa anche come istituzioni – hanno urgente bisogno dell’azione efficace del Prc e, con esso, della sinistra.
– Con queste convinzioni ci apprestiamo ad affrontare un difficile anno politico, a cominciare dalla preparazione della manifestazione di ottobre, una scadenza che per tutte le compagne e i compagni è destinata simbolicamente a ereditare il significato dello scorso 20 ottobre, del milione di bandiere rosse in piazza. In essa confluiranno i temi essenziali del nostro attuale impegno: ne indico tre, su cui siamo chiamati a concretizzare in mobilitazione politica una diffusa sensibilità di massa. In primo luogo, non possiamo permettere che sia derubricato dall’agenda politica il tema della pace e della guerra. Non si tratta solo del fatto che, a tutt’oggi, siamo impegnati direttamente – e in dispregio della nostra Costituzione – in azioni belliche conclamate (vedi Afghanistan). La fase interlocutoria, determinata dalla campagna elettorale per le presidenziali Usa, avrà un termine. E, con esso, un vincitore. Se fosse il repubblicano Mc Cain – un candidato che, come è stato detto dal suo antagonista, “misura la forza dell’economia con il numero di miliardari e di profitti in Borsa” – dovremmo aspettarci di tutto, sul terreno della “difesa dell’ American Way of Life”. Tanto più nel momento in cui la globalizzazione capitalistica guidata dagli Usa ha già mostrato chiarissimi segni di crisi. Ma anche qualora vincesse Obama, non sarà il caso di cedere ad eccessivi entusiasmi. Lo ha fatto capire senza troppi giri di parole Gianni Riotta, in collegamento televisivo con la Convention democratica: ora applaudiamo le generose parole di Barack Obama - ha detto - poi però l’Europa e la stessa Italia si preparino a fare il loro dovere di alleati, in Georgia come in Iran. Ipse dixit. Noi invece diciamo che su tale questione, chiunque sia il presidente degli Stati Uniti, deve tornare ad essere distintamente percepibile una posizione inequivoca: No alla guerra.
In secondo luogo, alla sinistra anticapitalista compete l’essenziale compito di evidenziare l’abisso che separa le parole dai fatti in tema di carovita e redistribuzione del reddito. Si tratta delle due facce di una medesima medaglia: i prezzi lievitano, salari e assegni pensionistici sono fermi e perdono in potere d’acquisto. E la forbice non accenna a chiudersi; anzi, continua ad aprire il suo raggio di divaricazione. In questo campo, le notizie di peggioramento dei dati statistici sono ormai un estenuante rituale. Da ultimo, l’ufficio studi di Confcommercio segnala che “con un aumento tendenziale dei prezzi alla produzione del 25% per l’energia e del 9,6% per gli alimentari e le bevande, si allontanano le possibilità di ridimensionamento, nel breve periodo, delle dinamiche inflazionistiche al consumo”. In una tale congiuntura, non sorprende l’ulteriore netto calo dei consumi. Non solo le famiglie spendono meno in prodotti non alimentari, tagliando quel che non è strettamente necessario per sopravvivere: profumeria, giocattoli, sport, radio e televisori, informatica e telefonia ecc. Scivola anche la spesa per beni essenziali come gli alimentari. Ciò è da tempo una triste realtà per pensionati e famiglie monoreddito: ma l’inflazione morde ormai anche sui consumi ordinari dei ceti medi. Il centro-destra tira dritto e, ad esempio, utilizza il “tesoretto” per coprire il buco Alitalia (pagato così da 60 milioni di italiani). Il Pd risponde fiaccamente con proposte di detassazione delle imposte: cosa che, se può dare qualche sollievo in busta paga, penalizza però la spesa pubblica togliendo ossigeno alle risorse disponibili per servizi sociali. Noi dobbiamo riproporre la difesa della contrattazione collettiva nazionale e la reintroduzione di un dispositivo di adeguamento automatico di retribuzioni e pensioni al costo della vita, basato sul computo dell’inflazione reale e sulla predisposizione di un credibile paniere di prodotti per la rilevazione dei prezzi; il blocco delle tariffe e il controllo sociale dei prezzi. In definitiva: la redistribuzione dei redditi non può gravare esclusivamente sulle casse pubbliche (e sulla spesa sociale in particolare), occorre che sia riequilibrato il crescente scarto che separa rendite e profitti da retribuzioni e pensioni. E che a pagare sia la prima delle due coppie suddette.
Infine, va lanciata un’offensiva politica che denunci lo smantellamento sistematico dell’offerta formativa pubblica. E’ di inaudita gravità il fatto che, come è proposto in Finanziaria, vi sia la possibilità che gli atenei si trasformino in fondazioni: ciò prefigurerebbe la privatizzazione dei loro patrimoni e il fermo controllo (anche su base ideologica) delle carriere. La scuola è colpita con tagli pesantissimi e sono particolarmente emblematiche le ultime misure previste per le elementari: maestro unico, cancellazione del tempo pieno, voto in condotta. Al pari dei conflitti sulle condizioni materiali di lavoro e di vita, questo è un ambito su cui agisce direttamente la discriminazione di classe. La conquista del tempo pieno (1971) non significò semplicemente un aiuto pomeridiano supplementare per i compiti; da allora in poi, esso avrebbe comportato - per chi non aveva libri in casa e genitori con tempo disponibile da dedicare ai figli - una maggiore opportunità di imparare e una minor distanza sociale dalle classi agiate. Tagliando risorse e riducendo gli organici scolastici, il centro-destra (ma il centro-sinistra non mi pare avesse su questo realizzato una visibile inversione di marcia) colpisce in generale la ricerca e la formazione, mina le basi per uno sviluppo qualificato del Paese. E colpisce in primo luogo i figli dei lavoratori (e degli immigrati). Mostra la faccia severa, dando a intendere che il cinque in condotta risolva il fenomeno del bullismo, mentre al contrario, disinvestendo in formazione, ne vengono rafforzate le cause: poiché è evidente che, esistendo uno stretto rapporto tra disadattamento e condizione sociale, il suddetto fenomeno andrebbe affrontato attraverso il consolidamento della relazione educativa e non smantellando la scuola. A quanto pare, quel che importa è dare un’immagine ideologica d’ordine e di falsa efficienza, alimentando anche per questa via la domanda di sicurezza. Noi dobbiamo rispondere provando a ricostruire il movimento d’opposizione alle destre nelle università e nelle scuole.
Iniziativa contro la guerra, conflitto sociale per il recupero retributivo e contro il carovita, movimento contro lo smantellamento dell’apparato formativo pubblico. Ecco tre titoli in cui concretizzare l’iniziativa politica del Prc e di una sinistra degna di tal nome: un bagno di realtà per distogliere le menti dall’incantesimo securitario abilmente alimentato dalle destre e diffuso dalla grancassa mediatica.
Si dirà: ma la congiuntura è sfavorevole e il conflitto latita; e dobbiamo capire meglio il mondo che ci circonda. Ciò è vero. Ma è anche vero che, ultimamente, la sinistra ha mischiato le carte e non ha fatto il suo mestiere. Deve tornare a farlo.