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Per uno stile diverso della nostra politica di comunisti

Publie le martedì 22 luglio 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Per uno stile diverso della nostra politica di comunisti

di Federica Pitoni

Ebbene ci siamo. Siamo arrivati alla scadenza di Chianciano. E finalmente, forse, possiamo tornare a parlare di politica. No, non mi si fraintenda. Non faccio parte della schiera di persone che in questi ultimi tempi hanno tentato di demotivare le compagne e i compagni accreditando un presunto svuotamento dalla politica della discussione congressuale, dicendoci ogni volta che questo congresso era vuoto appunto di contenuti mentre intorno a noi, fuori da noi, stava accadendo di tutto; che questo congresso si riduceva a una conta, a una lotta fratricida senza esclusione di colpi; che tutti tesi a scontrarci per i voti avevamo (tranne, ovviamente, chi portava avanti la critica…) dimenticato semplicemente di far politica. No, dicevo, non faccio parte di questa schiera: ho visto congressi dove ci si è scontrati, certo, ma dove la politica era il terreno di scontro.

Di cosa parlavamo, quando, mozione 1 e mozione 2, ci si scontrava sui nostri reciproci progetti e idee sul partito che sarà? E non è quindi, forse, uno scontrarsi parlando di politica questo? Non è quindi, forse, uno scontrarsi per far prevalere un percorso politico che dia risposte alle infinite problematiche che ci arrivano da fuori? Non è quindi, forse, uno scontrarsi per far prevalere le idee? No, quindi, non è stato un congresso vuoto, non è stato un congresso privo di discussione politica. E’ stato congresso piegato da alcuni ad uno scontro che sarebbe dovuto essere cristallino e chiaro, più sulle idee che sulle tessere e i voti. E’ stato un congresso che se in alcuni casi è divenuto "brutto" è perché c’è stato chi lo ha voluto sporcare.

Ma alla fine, è stato un congresso profondamente politico. Inevitabilmente politico. Dove la Politica, eh sì quella con la P maiuscola, è stata davvero presente. Perché di fatto si sono scontrate (e lo scontro non va demonizzato a priori: lo scontro fa parte della politica) due visioni politiche. Questo è stato il congresso. Senza nasconderci, ma volendo ora dimenticarli, gli atti tesi a sporcarlo.

Adesso abbiamo di fronte a noi la responsabilità più grande. Provare a vedere come dall’assise di Chianciano si può tornare a "parlare" fuori e che cosa si va a dire. Insomma, come ci si attrezza ad affrontare quel percorso difficile che abbiamo di fronte a noi e che ci vede in un ruolo importantissimo ma estremamente difficile in questa società. Siamo fuori dalle istanze parlamentari e dobbiamo ricostruire molto. A cominciare da una credibilità che dopo l’esperienza governativa, dopo un voto che non casualmente ci ha puniti, dopo un congresso del quale, impazziti, abbiamo fatto emergere all’esterno solo i lati bui e mai quelli di proposta, ci vede ora, dal 14 aprile, per la prima volta affrontare di nuovo il confronto con l’esterno e con i problemi veri, i problemi di chi tutti i giorni fa i conti con questa realtà, con chi ci guarda con interesse e speranza, e ci ha non compresi (ed era prevedibile) e quindi non ci ha creduti alle ultime elezioni.

Ma prima di ogni altra cosa ora occorre chiarire dei punti tra noi, proprio perché l’appuntamento che ci aspetta è di importanza storica e non si può quindi eludere il modo in cui ci si arriva e la chiarezza tra noi deve essere propedeutica a quella gestione unitaria che credo davvero nessuno ora possa pensare di schivare.

Parto proprio da questo: la gestione unitaria. E’ stata una richiesta che noi abbiano da subito fatto, una proposta che partiva da considerazioni di merito e di metodo. Di merito, perché pensiamo che alla luce di un risultato elettorale di portata storica che ha visto tutta la sinistra fuori dal Parlamento, non sia possibile pensare un agire a colpi di maggioranza di una parte sulle altre. Insomma, la necessità storica dell’unità della sinistra è sotto gli occhi di tutti e nessuno l’ha mai negata. Semmai sono stati i percorsi, le forzature, le formule, le alchimie a farla divenire una proposta anacronistica, non compresa, persino inconsistente. E tutto questo poi, inevitabilmente, ci ha portato al baratro. Di metodo, perché nessuno si nascondeva una realtà, poi confermata dai voti, che avrebbe visto prevalere solo con una maggioranza relativa una delle due mozioni.

Ma in questi giorni abbiamo sentito dire molte cose da vari esponenti della mozione 2. Abbiamo sentito dire, per esempio, che hanno vinto; abbiamo sentito dire che la costituente di sinistra è l’opzione politica portante del loro documento e che avendo loro vinto è l’opzione politica imprescindibilmente scelta dalla maggioranza del partito.

Dalla maggioranza del partito? Non sono mai stata brava in matematica, anzi, ma parlare di vittoria e dire che c’è un percorso politico vincitore a me fa venire in mente, non dico maggioranze bulgare, non dico qualcosa oltre l’80 per cento, ma comunque qualcosa che di molto, ma di molto abbia superato il 50 per cento. Guardo i risultati e vedo: 47 e rotti per cento… ho guardato male? La stanchezza mi ha giocato un brutto scherzo? Le cifre si sono accavallate? Era forse il 74 per cento? No, non lo è. Stiamo parlando proprio del 47 per cento. Che indubbiamente è più del 40 e rotti per cento della mozione 1. Indubbiamente. Ma che non raggiunge nemmeno la maggioranza assoluta. Ho sentito anche dire che un partito non è una azienda (per fortuna, almeno questo non lo abbiamo ancora sentito nelle nostre stanze) e che quindi ragionare in termini di 51 per cento è politicamente sbagliato, anzi squallido. Giusto. Ma pensare di poter imporre una scelta politica accettata solo da meno della metà del partito è forse corretto? Può dirsi accettabile? No, io non lo credo.

Credo d’altronde che, a questo punto, molte compagne e molti compagni della mozione 2 sappiano bene che si tratta ora di trovare un modo per superare (che non vuol dire annullare) le divisioni che ci hanno visto contrapporci al congresso. Superare queste divisione in un percorso che sia anche di grande volontà e responsabilità da parte di tutte e tutti perché non possiamo permetterci di continuare una guerra intestina, fermandoci e non tornando più sulle piazze. La piazza è un luogo simbolico. Ecco, proviamo, per esempio, a ripartire da lì, dalla piazza. Proviamo a pensare ad un percorso che ci porti in autunno a scendere in piazza noi, tutti i partiti della sinistra, le associazioni, la società civile per chiedere una inversione di tendenza della politica in questo Paese, per chiedere diritti per tutt* (sì, con quel tanto contestato dai puristi della lingua italiana segno grafico dell’asterisco che prendo a prestito per intendere l’onnipresenza di tutti i generi e sessi e scelte di vita e che altrimenti io, che pure tanto amo la purezza della lingua, non saprei come rendere), per chiedere salari che facciano vivere, e lavori dove non si debba rischiare di morire, per chiedere insomma un mondo più giusto.

Ecco, io credo siano queste le priorità e penso che davvero ora tutte e tutti dovremmo imporci un altro stile, un altro comportamento per arrivare ad una nuova stagione che ci veda uniti nelle differenze.