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Perché Chavez e Morales sono Un patrimonio della sinistra

Publie le giovedì 27 settembre 2007 par Open-Publishing

di Giusto Catania

Venezuela e Bolivia, una nuova esperienza di governo popolare o due Paesi a tentazioni golpiste?

Per Giusto Catania, eurodeputato del Prc/Sinistra europea, sono una nuova stagione dell’America Latina

E ’finita l’epoca in cui l’America latina era il cortile di casa degli Stati Uniti, di questo c’è una consapevolezza diffusa, anche se l’incubo di un’offensiva militare statunitense, dopo aver chiuso i conti in Iraq e in Afghanistan, è ancora presente nell’attività dei governi latinoamericani, che stanno ragionando su un processo di integrazione militare regionale e sul rafforzamento della difesa nazionale. In particolare il Venezuela sta costruendo un apparato militare gigantesco in grado di fronteggiare l’eventuale offensiva bellica americana.

Tuttavia non siamo davanti ad un processo di militarizzazione della società venezuelana, al contrario si potrebbe affermare che nella commistione tra civile e militare prevale il ruolo sociale svolto dall’esercito che si dichiara fedele servitore del popolo. La Guardia nazionale venezuelana è impegnata in attività di tipo sociale, svolge un ruolo di protezione delle classi sociali più deboli, è incaricata della distribuzione delle risorse e di eseguire la realizzazione delle infrastrutture.

Il processo venezuelano continua ad essere il più interessante in America latina: è ormai consolidato e il consenso attorno al Presidente Chavez tende ad aumentare mentre l’opposizione, dopo il colpo di Stato del 2002, il blocco petrolifero del 2003 e la sconfitta del referendum del 2004 è rimasta priva di argomenti credibili e di una leadership riconoscibile. Sul piano sociale l’azione di re-distribuzione della ricchezza è un dato incontrovertibile: tutti gli indicatori economici e sociali dimostrano che in Venezuela è in atto un processo straordinario, la rendita petrolifera sta contribuendo, in modo determinante alla lotta alla povertà.

Gli interventi educativi e sanitari sono ispirati dal modello cubano e i risultati sono assolutamente positivi. I medici e gli insegnanti cubani stanno svolgendo un ruolo straordinario sia in Venezuela che in altre parti dell’America latina. L’unico argomento agitato dall’opposizione contro Chavez è costantemente riferito ad un presunto deficit democratico. Negli ultimi tempi, sono stati utilizzati la revoca della concessione della frequenza a Radio Caracas Televisione (Rctv) e il progetto costituzionale di rielezione del Presidente della Repubblica per rinvigorire l’opposizione in nome della difesa della democrazia.

Su Rctv si è scritto e discusso tanto, il messaggio giunto in Europa è stato parziale, semplicemente deformato e teso ad alimentare lo spettro del regime anti-democratico: «Chavez ha chiuso una tv che parlava contro di lui». E’ stato un grave errore, da parte della stampa europea, analizzare la scelta del governo venezuelano senza avere tutti gli elementi a disposizioni. Non si tratta, in realtà, della chiusura della televisione, infatti Rctv sta continuando a trasmettere via cavo, via satellite e su internet, chiamandosi "Rctv International" e, pur lasciando intatta la sua programmazione di telegiornali e telenovele, ha la pretesa di non iscriversi al registro delle emittenti nazionali. La ragione che induce Rctv a tale rifiuto è duplice: sottrarsi al regime fiscale venezuelano ed evitare di trasmettere i programmi istituzionali che, secondo la legge, le televisioni nazionali devono mandare in onda.

Il proprietario di Rctv è un acerrimo nemico di Chavez e la televisione ha svolto un ruolo attivo nella costruzione mediatica del golpe del 2002. Possiamo affermare, senza tema di essere smentiti, che l’attività di Rctv è stata di tipo golpista e per molto meno in qualsiasi Paese democratico della civile Europa i proprietari della catena televisiva sarebbero stati rinviati a giudizio per istigazione al colpo di Stato e per violazione dell’ordine costituzionale. Inoltre, quasi certamente i giornalisti sarebbero stati espulsi dall’albo per mancanza di deontologia professionale, visto la qualità dell’informazione trasmessa in occasione del golpe. Inoltre la necessità di non rinnovare la concessione della frequenza, scaduta dopo cinquantatrè anni, è dettata da ragioni politiche assolutamente condivisibili, cioè dalla volontà politica di costruire un sistema televisivo pubblico.

In Venezuela, come in tutta l’America latina, il sistema televisivo è completamente nelle mani dei privati, siamo davanti ad una concentrazione di potere incredibile: pochi imprenditori gestiscono banche, holding economico-finanziarie e tutto il sistema dell’informazione e della comunicazione. L’elite mediatica è di tipo monopolistica e ciò impone una riflessione sulla necessità di costruire un pluralismo dell’informazione che, con l’attuale concentrazione delle televisioni nella mani dei privati, è impossibile.

Negli ultimi sei anni in Venezuela, grazie all’attività del Governo, sono nate centinaia di radio e di televisioni comunitarie, esse sono uno strumento in mano a piccole comunità di cittadini dei quartieri di Caracas o dei paesini dell’entroterra andino o amazzonico. Un progetto interessante che amplia lo spettro dell’informazione e della gestione dell’etere.

Chavez sta proponendo una modifica per un mandato a tempo indeterminato, stessa proposta è stata avanzata da Evo Morales in Bolivia, utilizzando un argomento molto efficace: «è il popolo che decide per quanto tempo un presidente può governare il Paese. Non può essere un’imposizione di legge a limitare la volontà popolare».

Inoltre, qualsiasi modifica costituzionale deve essere sottoposta, oltre al passaggio parlamentare, alla votazione popolare attraverso un referendum dal valore vincolante e pertanto agitare lo spettro del colpo di mano istituzionale è assolutamente ingiustificato.

Nel merito, Chavez si sta avvalendo di due altri argomenti: in Europa non esiste limite al mandato del Primo ministro (Italia, Gran Bretagna, Germania), né al Presidente della Repubblica eletto dal popolo (Francia) ed inoltre la Costituzione venezuelana prevede la possibilità di utilizzare il referendum per revocare l’incarico del Presidente della Repubblica a metà del suo mandato. Chavez ha affermato che intende fare il Presidente fino al 2021, data ultima stabilita dal governo per sconfiggere definitivamente la povertà in Venezuela.

Il processo di riforma costituzionale, in questa fase, è affiancato dalla costruzione di una nuova soggettività politica che ha come obiettivo quello di rafforzare la direzione di marcia del governo dentro un asse ideologico e politico ben stabilito.

La formazione del Partito Socialista Unitario del Venezuela (Psuv) si sta avvalendo dello scioglimento delle formazioni politiche che hanno sostenuto il processo della rivoluzione bolivariana, a partire dal Movimento Quinta Repubblica (Mvr), e di una grande partecipazione popolare che candida il Psuv a diventare uno dei più grandi partito di massa del mondo, con un’adesione che oscilla tra i cinque e i sei milioni di iscritti.

Il processo di formazione del Psuv colloca il Venezuela in una posizione avanzata nella ridefinizione delle categorie della trasformazione, e anche della parola socialismo. E’ in atto una nuova costruzione ideologica che si contrappone con forza al neo-liberismo e alla guerra imperiale, che si colloca alla sinistra dell’Internazionale Socialista, infatti la socialdemocrazia viene considerata organica alla riorganizzazione liberista del pianeta.

Ma è l’America latina nel complesso ad essere attraversata da una nuova riorganizzazione della sinistra in cui i partiti comunisti, che stanno sostenendo l’esperienza di governo di Bolivia e Venezuela, hanno scelto di non a partecipare al processo di riorganizzazione della sinistra, collocandosi in posizione autonoma, forse subalterna, sicuramente con un approccio minoritario sia sul piano numerico sia sul terreno dell’egemonia sociale e culturale.

Probabilmente sono maturi i tempi per avviare un processo di riorganizzazione internazionale con i soggetti della sinistra alternativa, si chiamino essi comunisti o socialisti, in grado di elaborare una strategia politica, economica e sociale radicalmente distinta dall’opzione socialdemocratica. La riorganizzaziona politica latinoamericana impone questa sfida.

La piattaforma del socialismo venezuelano si avvale pure di un’azione internazionale caratterizzata soprattutto dal sostegno politico ed economico a numerosi paesi dell’area per costruire una nuova prospettiva politica e sociale alternativa al modello che vorrebbe trasformare il sud America in una grande area di libero mercato.

L’opposizione all’Alca si è rafforzata grazie al Venenzuela, anche attraverso progetti concreti. Il governo venezuelano sta aiutando con cospicui aiuti economici e con progetti di cooperazione bilaterale Cuba, Bolivia, Nicaragua ed Ecuador, guadagnandosi il ruolo di guida dei Paesi che in America latina e nel Caribe stanno costruendo una forte offensiva contro il neo-liberismo.

Ciò ha suscitato varie preoccupazioni, in particolare il Brasile comincia a soffrire la forte egemonia venezuelana nello scacchiere geo-politico latinoamericano ed infatti da Lula e, in particolare dal senato brasiliano, viene una forte opposizione all’adesione del Venezuela al Mercosur. Malgrado ciò tra Venezuela e Brasile le relazioni politiche sono ottime, così come con l’Argentina, il Cile e l’Uruguay.

In Bolivia dopo la vittoria di Evo Morales si sono formate grandi speranze di cambiamento soprattutto nei settori contadini e nel movimento cocaleros che per tanti anni sono stati sottoposti al massacro sociale grazie alla politica della fumigazione dei campi di coca e all’eradicazione forzata imposta dagli Stati Uniti e dalle Nazioni Unite.

Il governo boliviano sta avviato una fase di riforme sociali importanti nel settore della scuola pubblica, suscitando le proteste degli insegnanti degli istituti professionali che vogliono conservare il privilegio di poter esercitare la libera professione in concorrenza con la scuola.

L’impressione immediata che, in questo momento, c’è una fase di stallo della politica boliviana a causa dell’impantanamento della discussione all’interno dell’Assemblea costituente.

Il processo costituente è una delle caratteristiche della nuova fase dell’America: dopo il successo venezuelano che ha portato all’approvazione di una nuova carta costituzionale nel 1999, la stessa scelta è stata avviata dalla Bolivia e dall’Ecuador, dove si voterà per la sua composizione nel settembre 2007.

In Bolivia l’assemblea costituente avrebbe dovuto terminare i lavori il 6 agosto, ma non si è riusciti a trovare l’accordo sulla stragrande maggioranza degli articoli. La unica commissione che ha esaurito i suoi lavori in tempo è quella incaricata di redigere l’articolo costituzionale sulla foglia di coca.

Il mandato è stato prolungato fino a Dicembre ma quasi certamente si giungerà a sottoporre agli elettori, per il referendum finale, due versioni diverse della carta costituzionale con una difformità su almeno cinquecento articoli.

La destra sta approfittando di questa difficoltà istituzionale per avanzare proposte di autonomizzazione di alcune Regioni, in particolare di quella di Santa Cruz, regione ricca del Paese dove vivono i grandi proprietari terrieri e dove la destra ha il suo radicamento sociale. Mentre si trova in grandi difficoltà il progetto di costituzione delle "regioni indigeni" per valorizzare le esperienze di autogoverno locale e il grande patrimonio interculturale della Bolivia dove sono presenti ben 24 etnie indigene, ognuno con la propria lingua, cultura e livello di integrazione economica e sociale.

Altro tema di grande discussione politica è rappresentato dall’eventuale spostamento della sede del Parlamento e del governo. I lavori dell’Assemblea costituente si stanno svolgendo nella città di Sucre, antica capitale della Bolivia, mentre Governo e Parlamento continuano normalmente a lavorare a La Paz. Questa è stata la ragione per cui si è messo in moto una contrapposizione tra le due città che si stanno contendendo, in vista dell’approvazione definitiva della Costituzione, la sede anche del Parlamento e del Governo.

Questo tema ha aperto molte difficoltà, poiché all’interno dei partiti ci sono posizioni trasversali e si sono svolte manifestazioni in cui hanno partecipato numerosi cittadini. Quella che si è svolta nella città di El Alto, che chiedeva di non rimuovere le sedi istituzionali da La Paz, è stata definita la più grande manifestazione della storia della Bolivia da tutti gli organi di informazione.

Il Presidente Morales, malgrado la difficoltà della fase, tuttavia è fiducioso: considera il suo consenso in crescita e questo è ampiamente dimostrato dal grado di popolarità che ha sulla popolazione.

L’attività del governo sulla politica della coca ha messo fine alla repressione dei contadini, ha avviato una razionalizzazione della produzione individuale di coca (un cato, corrispondente a 1600 metri quadrati), grazie al coinvolgimento del sindacato nella politica del controllo sociale sulla produzione di coca, con l’obiettivo di stabilire la quantità di coca necessaria al consumo tradizionale della popolazione della Bolivia. Obiettivo del Governo, in una prima fase, è quello di consolidare una produzione annua di 20.000 ettari.

Inoltre si propone di avviare una politica di trasformazione industriale della coca, ma per fare ciò occorrono partner internazionali in grado di aprire i mercati alla commercializzazione di prodotti derivati dalla coca: biscotti, dentifricio, the, farina, caramelle, antidolorifici.

La battaglia si sta articolando anche sul fronte internazionale per tutelare la foglia di coca allo stato naturale e per ritirarla dalla lista delle sostanze stupefacenti, ma per fare questo la Bolivia ha bisogno di Paesi alleati all’interno dell’Assemblea generale della Nazioni Unite.

Dentro questo quadro la Bolivia di Evo Morales vuole dimostrare al mondo che si può fare la lotta al narcotraffico in modo serio, attraverso la lotta alla corruzione dei funzionari pubblici e della polizia di frontiera; il sequestro massivo di pasta base di cocaina; l’eradicazione consensuale nell’ultimo anno di 5000 ettari di produzione di coca; il registro dei produttori e dei venditori al dettaglio; la riconversione della produzione attraverso progetti di cooperazione internazionale. Lo slogan, molto efficace, è «Coca Sì, Cocaina No».

Mentre il governo riscuote il consenso dei contadini del Chapare (la regione di Evo e del grande movimento cocalero), sembra avere più difficoltà con i contadini dello Yungas, la cui coca è destinata al mercato internazionale (Argentina, Brasile, Ecuador, Perù), i quali non vedono di buon occhio i processi di eradicazione e la sostituzione delle coltivazioni, poiché nello Yungas per ragioni ambientali e climatiche è quasi impossibile coltivare altro che non sia coca.

Occorre pertanto che sia definitivamente chiarita la quantità necessaria al consumo tradizionale nazionale. Su questo argomento l’Unione Europea ha stanziato un finanziamento per avviare uno studio di 12/18 mesi per quantificare l’esigenza di consumo tradizionale nazionale (che attualmente si dovrebbe aggirare intorno alle 12.000 ettari), in modo tale da stabilire anche la quota di produzione da smaltire attraverso l’industrializzazione del prodotto o ulteriori processi di eradicazione consensuale.

Il progetto sarà guidato direttamente dai boliviani per evitare ingerenze da Washington, da Bruxelles o da Vienna, come ci è stato confermato dall’ambasciatore dell’Unione Europea in Bolivia.

Inoltre nelle due regioni (Chapare e Yungas) si sta avviando la costruzione di due impianti per la trasformazione della coca in prodotto industriale da commercializzare legalmente, anche se il progetto, finanziato dal Venenzuela, stenta a decollare.

Una questione importante che sta impegnando il governo boliviano è il processo di nazionalizzazione della produzione di gas, delle miniere e delle risorse naturali del Paese. Il presidente Evo Morales e il Ministro alla Presidenza Ramon Juan Quintana ci hanno voluto relazionare sulla questione relativa al sistema delle telecomunicazioni e in particolare sul contenzioso con Telecom Italia.

L’impresa italiana è proprietaria del 50% dell’impresa Entel, controllata attraverso il gruppo Eti con sede ad Amsterdam, dopo il processo di privatizzazione dell’azienda statale boliviana iniziato nel 1994.

Il 3% delle azioni dell’azienda è in mano ai lavoratori in pensioni e il 47% che era stato illegittimamente trasferito a due fondi pensionistici privati è ritornato, con un decreto del nuovo governo boliviano, nelle mani dello Stato. Negli anni passati, secondo le constatazioni del Ministro Quintana, un apparato statale corrotto ha facilitato la privatizzazione di Entel, svenduta grazie ad alcuni funzionari pubblici che oggi sono dirigenti di Entel in quota Telecom Italia.

La questione fondamentale è rappresentata, in questa fase, dalla certificazione degli investimenti: Telecom ha ritirato 200 milioni di dollari di investimenti, dismettendo gli impegni per migliorare il sistema delle telecomunicazioni nell’area rurale. Con un decreto presidenziale, Morales ha dichiarato nulla la certificazione degli investimenti di Telecom Italia.

Il governo boliviano accusa, a ragion veduta, Telecom Italia d’aver investito negli ultimi dieci anni invece dei promessi 608 milioni di dollari, una cifra pari solo a 466 milioni di dollari e di non aver pagato 25 milioni di dollari di tasse. La questione relativa alla certificazione degli investimenti rimane al centro del contenzioso e Telecom non intende accettare la proposta boliviana che gli investimenti siano certificati dall’agenzia statale.

Telecom ha cosi deciso d’abbandonare il negoziato con il governo di La Paz e lo ha invitato a realizzarlo in Brasile o negli Stati Uniti perché non si sente sicura in Bolivia, ottenendo ovviamente un netto rifiuto. Secondo il ministro Quintana i colloqui devono essere riavviati "per una questione di trasparenza" in Bolivia. Entel controlla circa l’ 80% della telefonia di lunga distanza e circa 70% della telefonia mobile in Bolivia.

Il governo boliviano non ha dichiarato che intende espropriare Telecom delle sue azioni ma intende fare un’operazione di chiarezza sulla quantità degli investimenti di Telecom Italia, perché lo Stato intende, correttamente, acquisire ad un prezzo giusto le azioni di Telecom che gli possano consentire di gestire la quota maggioritaria dell’impresa Entel.
Una questione molto delicata, che ha coinvolto anche il Governo italiano. Quintana ci ha raccontato di un incontro avuto col Ministro Massimo D’Alema il quale, secondo le affermazioni dello stesso Ministro boliviano, ha avuto un atteggiamento corretto nei confronti della Bolivia, comprendendo le ragioni del contenzioso e assicurando che non ci sarebbero state ingerenze italiane a tutela del comportamento poco trasparente di Telecom Italia.

Il Governo boliviano riconosce nel Governo di italiano un interlocutore importante e c’è anche molta aspettativa sul ruolo del nostro Partito che potrebbe assumere una posizione e un ruolo di protagonista, sia in Parlamento che con la nostra delegazione al Governo, al fine di sbloccare la difficile situazione.

Liberazione – www.liberazione.it 08/09/2007