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(da Adista)
Si avvicina la beatificazione di Papa Pacelli, Pio XII, manca solo un miracolo per attestarne la santita’ e poi i giochi sono fatti, uno dei Papi più controversi del secolo XX sara’ dichiarato santo, affossando tutta la storia della Chiesa che circonda l’avvento del nazismo, ma, per quanti sforzi faccia la Chiesa per rifarsi una immagine postuma, non si placa la controversia sul suo silenzio nei confronti del nazismo che molti leggono come grave complicita’.
A infastidire questa beatificazione esce un libro su Pio XII e sul suo contrasto con Pio XI riguardo al nazismo, di Emma Fattorini, docente di Storia Contemporanea presso l’Universita’ La Sapienza di Roma, “Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa” (Einaudi, pp. 252, 22 euro).
Questo libro ha potuto basarsi, per la prima volta, sui documenti dell’Archivio Segreto Vaticano, da poco resi accessibili agli storici, relativi al pontificato di Pio XI.
Achille Ratti divenne Papa nel 1922 col nome di Pio XI ed era ovviamente favorevole ai regimi totalitari di destra, considerati un eccellente baluardo contro il comunismo e “la modernita’ laica e liberale”, nulla di strano in questo ed in linea con la perenne posizione politica della Chiesa di Roma, ma la gravita’ di quanto succedeva in Germania spinse presto Pio XI a rivedere il suo giudizio preparando una rottura col regime hitleriano. La morte intervenne prima che la sua condanna si esplicitasse in forma pubblica mettendo in imbarazzo il fascismo italiano.
Eugenio Pacelli, segretario di Stato, gli successe col nome di Pio XII, ma con una posizione ben diversa. Era intenzionato a seguire una via diplomatica di mediazione col regime nazista e cerco’ di smorzare la condanna di Pio XI in modo drastico.
La Chiesa sapeva benissimo cosa accadeva nei lager e Pio XI aveva commissionato una enciclica sull’antisemitismo al gesuita statunitense LaFarge, ma Pio XII non la fece pubblicare supportato da larghi settori della Curia e del generale dei Gesuiti, l’antisemita polacco Wladimir Ledochowski. Il giorno prima della morte, Pio XI aveva preparato un durissimo discorso per il 10° anniversario del Concordato col regime fascista, in cui condannava senza appello il nazismo e Mussolini non intendeva sentirlo. Pio XII lo mise da parte, facendo addirittura distruggere le matrici gia’ pronte per la stampa sull’Osservatore Romano con tutto il materiale relativo, chiaro segnale che le cose erano cambiate e che la Chiesa non intendeva contrastare affatto l’avanzata di Hitler.
Il vaticanista del Giornale Andrea Tornelli, che ha da poco pubblicato un’ampia biografia di Pacelli, sostiene che si tratto’ di prudenza, ma tanto zelo ci appare eccessivo.
Ovviamente il libro della Fattorini e’ stato attaccato dall’Avvenire, l’organo dei vescovi italiani, in quanto turba l’apologetica che circonda Pio XII in vista della beatificazione.
La Fattorini risponde che, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, la Chiesa si trovo’ in difficolta’ perche’ le sue categorie di giudizio erano negate dai fatti. Aveva sempre appoggiato le dittature di destra restando reticente sulla democrazia ma stavano aumentando nel suo seno coloro che vedevano i gravi pericoli del nazifascismo. E’ da dire che le stesse potenze europee lo avevano dapprima minimizzato. Ma i cambiamenti nelle reazioni di Pio XI manifestano tutto lo sconcerto e il disorientamento di fronte a un regime conservatore che si dimostrava peggiore di un regime comunista.
Anche per l’uscita di questo libro si e’ avuta una reazione eccessiva da parte della CEI che, piu’ tenta di rafforzare le proprie posizioni negando la storia o la scienza, piu’ fallisce lo scopo e manifesta nei suoi atteggiamenti pregiudiziali e scomposti tutta la sua debolezza..
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Messaggi
1. Pio XII e il nazismo, 18 giugno 2007, 17:50
Viviana , cara, vogliamo ricordare anche la fuga organizzata dei criminali nazisti, soggetti come Mengele od Eichmann , che si sono appoggiati alle strutture della Chiesa Cattolica ? Oppure i misconosciuti pogrom antiebraici scatenati dopo - dico dopo - la fine della seconda guerra mondiale in Polonia, con il silenzio della chiesa cattoica? o le mai ricordate sanzioni contro i preti partigiani, isolati dalla gerarchia ecclesiastica?
D’altro canto, è stato fatto beato Pio IX, quello che decapitava i patrioti e faceva sparare addosso ai garibaldini .
Buster Brown
1. Pio XII e il nazismo, 18 giugno 2007, 23:57
In merito al "Beato" Pio IX mi permetto di aggiungere un pensiero del Carducci.
Il Carducci in riferimento alla strage di Perugia del 20 giugno 1859, (il cui anniversario è tra l’altro vicino) ad opera delle truppe papali inviate dal "Beato" per sedare la sommossa, scrisse questi versi:
Quando porge la man Cesare a Piero
Da quella stretta sangue umano stilla;
Quando il bacio si dan Chiesa ed Impero
Un astro di martirio in ciel sfavilla.
Tubal
2. Pio XII e il nazismo, 19 giugno 2007, 09:54
Se è per questo è stato fatto santo il cardinale Bellarmino (quello del proceso a Galileo)che fece bruciare parecchi "eretici" ma non è questo il punto, almeno a mio parere. Il fatto è che anche i papi sono uomini e giudicano secondo la loro cultura che è il substrato della società dell’epoca.E’ inutile negare che Hitler ed il nazismo all’epoca avevano un gran seguito nella borghesia e nella chiesa in funzione anticomunista tanto vero che l’ascesa di Mussolini, sia prima che dopo la marcia su Roma, fu finanziata da nobili ed industriali(primi fra tutti gli Agnelli)che li vedevano come uno strumento per conservare il potere.
Anche il nazismo fu giudicato relativamente favorevolmente al suo esordio e soprattutto fu visto molto bene dalla chiesa una volta che Hitler si liberò delle squadracce che lo avevano portato al potere( le SA)perchè poneva fine ad un periodo molto incerto della politica tedesca (la repubblica di Weimar) e perchè uccideva i comunisti all’epoca visti come bestie .
Anche internazionalmente il nazismo fu salutato molto favorevolmente, in particolare in America ed in Inghilterra (non tanto in Francia a cui non interessava un vicino con cui aveva fatto tante guerre che fosse unito e forte)con attestazioni di stima ad Hitler di tutti i politici.
Fin qui è pura scuola ma le domande sono Pio XII sapeva dei campi di concentramento?A me, sinceramente, sembra molto difficile dubitarne in quanto il Vaticano (ora come allora)aveva spie ovunque e poi attraverso la confessione poteva sapere molte cose dagli ufficiali cattolici.
Poteva fare qualcosa per impedirlo? Qui il terreno diventa minato ed attiene alla famosa domanda : ma quante divisioni ha il Papa?Va ricordato che l’istituto della scomunica già allora aveva perso efficacia e tutto il suo potere si riduceva ad mero"moral suasion" piuttosto forte la cui efficacia su un personaggio come Hitler sarebbe tutta da dimostrare
Poteva fare qualcosa di più per ebrei e comunisti?Probabilmente, anzi molto probabilmente, sì ma non lo fece sempre per il substrato culturale dell’epoca che vedeva i comunisti come bestie infide e capaci di tutto e gli ebrei come gente dai riti magici strani che rapivano bambini per sacrifici umani(come gli zingari oggi).
A mio parere l’errore politico ed umano di Pio XII fu che cercò di aspettare la fine della guerra(anche lui pensava ad una vittoria di Hitler?)per moderare gli aspetti più inumani del nazismo e guidare Hitler verso un regime più umano una volta chiuso con il comunismo ed ebraismo ma dimostrando così di sapere gli orrori del regime e di volerli sfruttare.
Io non penso che vada fatto santo un uomo così impregnato di pregiudizi e che ha fatto errori così gravi che sono costati la vita a tante persone.
1. Pio XII e il nazismo, 19 giugno 2007, 14:04
Sono d’accordo con la tua impostazione , e ritengo che la prova della conoscenza da parte del Vaticano dell’eliminazione di massa degli ebrei sia ormai certa ,conoscenza addirittura della misura immane della strage poi rivelata dalla scoperta dei campi di sterminio. Trovo poi francamente molto problematico per un cattolico accettare che dopo la fine della guerra la capillare organizzazione della chiesa cattolica si sia messa a disposizione dei criminali nazisti per aiutarli nella fuga verso il Sud America ; tutto ciò non ha alcuna giustificazione nè storica nè etica , anche se questo atteggiamento di mal intesa pietà nei confronti di alcuni peccatori lo abbiamo ritrovato in seguito nella difesa dei preti pedofili , non consegnati alla giustizia secolare ma blandamente puniti secondo le regole del codice canonico. Pietà che comunque la chiesa sparge a piene mani solo in certe occasioni , come è stato dimosrato ampiamente dalla storia anche recentissima .
Buster Brown
3. Pio XII e il nazismo, 19 giugno 2007, 09:57
Cara Viviana, non è vero che la Chiesa nega la storia e la scienza, ma è vero invece che le usa per i propri fini !! Per sopravvivere per duemila anni occorre grande maestria e grande pragmatismo e la dottrina si può sempre e facilmente adattare agli eventi e modellare secondo le esigenze delle varie classi dominanti che storicamente si sono succedute "!! I Papi sono ovviamente gli interpreti di tale politica e quelli che hanno tentato di deragliare da questi binari, tipo Papa Luciani, non hanno regnato a lungo !!
MaxVinella
4. Pio XII e il nazismo, 19 giugno 2007, 10:41
Un nuovo caso storiografico: Pacelli “censurò” Pio XI?
di Matteo Luigi Napolitano, Professore associato Università del Molise, Delegato del Pontificio Comitato di Scienze Storiche
Pubblichiamo un interessantissimo contributo del prof. Matteo Luigi Napolitano.
[Fonte: Catholic Anti-Defamation League onlus - www.cadl.it]
...e si lascia dire,
mentre la nostra stampa
non può neanche contraddire e correggere...
(Pio XI)
Un nuovo caso coinvolge Eugenio Pacelli. Esso scoppia il 27 maggio 2007, quando la studiosa Emma Fattorini anticipa dei brani del suo nuovo libro sul “Sole 24Ore” dello stesso giorno (p. 29), con un lungo articolo dal seguente titolo: Pio XI, il Papa censurato. Lo “strillo” recita: «Poco prima di morire, nel febbraio 1939, papa Ratti aveva preparato un discorso di rottura col nazismo. Morì e non lo poté pronunciare. E una lettera emersa dall’Archivio Segreto Vaticano rivela che poi a distruggerlo fu Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII»
Per poter esaminare questo nuovo “caso Pio XII” (perché di questo si tratta, ancora una volta) e vedere se abbia un fondamento la teoria secondo cui Eugenio Pacelli distrusse il discorso di Pio XI, occorre riportare integralmente un appunto di monsignor Tardini del 15 febbraio 1939 (Prot. 2989/39, in ASV, Stati Ecclesiastici, Pos. 576 p.o., fasc. 607, ff. 164-165).
«Ore 12,40. Mi telefona Montini. Gli ha telefonato il cardinale Pacelli per dare i seguenti ordini:
1. Monsignor Confalonieri consegni tutto quel materiale che ha circa il discorso che il Santissimo Padre Pio XI aveva preparato per la adunanza dell’11 febbraio
2. che la tipografia distrugga tutto il materiale che ha (bozze, piombi) sullo stesso discorso.
3. che Pizzardo è autorizzato a leggere quel discorso per sua personale conoscenza
Ore 13. Vado da Confalonieri il quale mi consegna tutto quello che ha. Un’altra copia dattiloscritta e il manoscritto di Sua Santità. Poi mi assicura che darà gli opportuni ordini in Tipografia.
Ore 18,35. Mi telefona Confalonieri per annunciarmi che il vice direttore della tipografia pensa oggi stesso, personalmente, a distruggere tutto il materiale preparato in modo che non ne rimanga neppure un rigo».
Commentando queste istruzioni, Emma Fattorini (Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Torino Einaudi, 2007) ha scritto che «immediatamente Pacelli si affretta a distruggere il testo: “non ne resterà neppure un rigo”» (p. XXVIII). E la Fattorini poi intitola il paragrafo su tutta la vicenda: Pacelli elimina l’ultimo discorso del papa (p. 211).
Se le cose fossero andate in questo modo, come avrebbe fatto la studiosa a pubblicare integralmente quel testo? Com’è chiaro dallo stesso documento che la Fattorini riproduce, Pacelli non ordina di distruggere il materiale del discorso, ma solo le bozze a stampa (coi relativi piombi) in lavorazione presso la Tipografia vaticana. Una misura precauzionale comprensibile, dato che del materiale delicatissimo si trovava al di fuori del Palazzo Apostolico in un momento così buio.
L’esistenza del discorso di Pio XI fu svelata al mondo da Giovanni XXIII in una Lettera all’Espicopato d’Italia del 6 febbraio 1959, che l’Osservatore Romano pubblicò il 9 successivo. In questo discorso il “Papa buono” diceva che «la familiarità di pensiero e di parola con i ricordi del suo veneratissimo predecessore Pio XII» era per lui «motivo di continua soavità e di grazia» nei primi anni de suo pontificato. Queste risonanze «di universale paternità» gli erano care, lo incoraggiavano e confortavano. Accanto a questa memoria di PioXII, Giovanni XXIII richiamava quella di «altri Pii»: Pio IX, Pio X, Pio XI, in un «felice ascendere a ritroso […] come per la scala luminosa di Giacobbe, così ricca di meraviglie e di sorprese!»
Il discorso di Roncalli si concentrava poi su Pio XI e sulle parole che questi avrebbe voluto rivolgere ai Vescovi d’Italia, prima nella sala del Concistoro, e poi nella Basilica di San Pietro. Roncalli veniva poi allo specifico di quel discorso inedito di Papa Ratti. Oltre a dei punti d’interesse pastorale, Pio XI «si proponeva di aggiungere – e lo voleva fare – “con la massima ponderazione – qualcosa di più notevole su un tema di importanza collettiva e universale” e – son sempre parole sue – “di importanza grande non soltanto per l’Italia”».
Alla volontà mancò «la possa», il potere, la forza. «Quando sorella morte se gli accostò - proseguiva ancora Papa Giovanni rievocando le ultime ore di Pio XI – egli stava ancora scrivendo il discorso, in espressioni di commiato ai suoi vescovi d’Italia, che lo avrebbero potuto ridire poi alle diocesi. Purtroppo la stanca mano si arrestò inerte senza che lo potesse finire. Quanto rimane di quel manoscritto meritava bene di essere tenuto in riserbo da ogni sguardo di profana indiscrezione».
Giovanni XIII non mancava poi di osservare che «molte fantasie si erano sbizzarrite a suo tempo sopra gli ultimi segni di un pensiero e di un sentimento che non potevano essere se non alti e nobilissimi,per chi conosce la superiorità spirituale di Pio XI. Ma le circostanze di quelle settimane, non scevre di amarezze per il vecchio Pontefice, avrebbero reso bene spiegabile il suo esprimersi con frasi e toni di troppo giusto risentimento».
A vent’anni di distanza, dunque, Roncalli ricordava i novissima verba di quel discorso di Pio XI, che «contenevano quanto di più semplice, e insieme quanto di più edificante e di più commovente potevasi attendere da lui».
Giovanni XXIII rivelava al mondo poi «qualcosa di quel manoscritto», e in particolare (sembrando già a Roncalli sufficiente) le note sulle responsabilità pastorali dei vescovi e sulla parola episcopale.
Su quest’ultimo tema Pio XI cominciava a parlare anche di sé, rivelando che in Italia e altrove ci si occupava delle sue allocuzioni e delle sue udienze, «il più spesso (sono le parole di Pio XI) per alterare in falso senso e anche inventando di sana pianta» al fine di «farCi dire delle vere ed incredibili sciocchezze ed assurdità». La stampa, osservava Pio XI, ricordava e interpretava «in falso e perverso senso la storia vicina e lontana della Chiesa, fino alla pertinace negazione di ogni persecuzione in Germania, negazione accompagnata alla falsa e calunniosa accusa di politica […] fino a vere e proprie irriverenze; e si lascia dire, mentre la nostra stampa non può neanche contraddire e correggere».
Da qui un solenne avvertimento del vecchio Papa ai suoi vescovi: «Badate, carissimi fratelli in Cristo, e non dimenticate che bene spesso vi sono osservatori o delatori (dite spie e direte il vero) che, per zelo proprio o per incarico avuto, vi ascoltano per denunciarvi, dopo, d’intende, aver capito nulla di nulla, e, se occorre, il contrario: avendo in loro favore (bisogna ricordarcene come Nostro Signore per i Suoi crocifissori) la grande, sovrana scusante dell’ignoranza. Peggio assai quando questa scusante deve cedere il posto all’aggravante di una stolta presunzione di chi crede e dice di sapere tutto […].«Ci sono purtroppo pseudocattolici che sembrano felici quando credono di scorgere una differenza, una discrepanza, a modo loro (s’intende) fra un Vescovo e l’altro, più ancora fra un Vescovo e il Papa». Pio XI lodava invece le «molte, buone, consolanti eccezioni» di egregi e nobili cattolici «nell’armonizzare i loro uffici e la loro fede alla professione cattolica». Egli avrebbe voluto conoscerli tutti personalmente, ringraziarli benedirli.
Giovanni XXIII così commentava: «E’ su queste parole di soave paternità che il manoscritto del morente Pontefice si attenua in linee confuse e tremanti». La mano morente di Pio XI si era fermata nell’invocare le sacre memorie e la miracolosa profezia delle ossa degli apostoli per il bene della Chiesa universale, di tutti i popoli, di «tutte le nazioni e stirpi, congiunte tutte e divenute consanguinee nel comune vincolo della grande famiglia umana».
Il mistero era pienamente svelato, per Giovanni XIII, e per lui erano da seguire «gli esempi preclari dei pontefici che ci precedettero».
Questo il discorso di Giovanni XXIII; che a sua volta citava direttamente stralci di quello di Pio XI.
«I brani del discorso citati da papa Roncalli – scrive la Fattorini (p. 212) – confrontati col testo originale sono del tutto fedeli, anche se ne vengono omessi molti, quelli più duri, che dipingono il regime fascista come una grande e pericolosa centrale che ascolta e spia, così come non sono riportate le frasi più d’effetto in cui metteva in guardia i seminaristi dal parlare, anche per telefono».
Come abbiamo visto, la prima parte di quest’affermazione è smentita dal fatto che Giovanni XXIII riprodusse del discorso di papa Ratti proprio quella sezione relativa alle spie fasciste infiltrate nelle chiese.
Nel suo libro, poi, la Fattorini scrive (p. XI) che è fuori di dubbio che Pio XI (p. XII) conservò fino all’ultimo la lucidità della sua linea pontificale; e che fino all’ultimo volle Pacelli al suo fianco. Ma delle due l’una. O il Papa era lucido e quindi lucidamente aveva moltissime ragioni per considerare Pacelli il suo più fido collaboratore, esecutore e successore; o egli non era più lucido. Ma allora decade anche la tesi della Fattorini.
È probabile tuttavia che sia vera la prima ipotesi, sulla base di un documento che la stessa Fattorini cita (a p. 213) e che qui si riproduce.
Si tratta di una nota di Tardini del 12 gennaio 1941, redatta quindi periodo ancora "segretato", chiuso dalla Santa Sede alla consultazione degli studiosi (cfr. pp. XII e XXVIII).
La nota riassume i documenti raccolti in quel periodo da Tardini in un dossier. Il dossier sul "discorso mancato" di Pio XI:
«Manoscritto di S.S. Pio XI. E’ scritto a lapis. E’ preziosissimo perché fu l’ultima fatica del Santo Padre. Correzioni dell’Eminenza Cardinale Pacelli. Furono scritte a lapis nell’appartamento pontificio l’8 febbraio dall’Eminenza, al quale Pio XI volle fosse fatto leggere il tutto prima di mostrarlo in Tipografia.
Due copie del discorso scritte a macchina da monsignor Confalonieri. Sono sue scritture le correzioni a mano.
Due corpi di bozze non corrette.
Appunto mio circa il ritiro di tutti questi documenti...».
Ed ecco un altro appunto (ibidem) di Tardini, del 17 febbraio 1939 (sempre in periodo ancora "chiuso"):
«Secondo il solito, il tutto rimase sempre nascosto a tutti. Nessuno lo vide [il discorso NDR], neppure l’Eminenza Cardinal Pacelli. Il Papa - come aveva fatto per il discorso di Natale - lo fece scrivere a macchina da Monsignor Confalonieri. L’8 febbraio, per ordine del Santo Padre, il testo già scritto a macchina fu dato in lettura a Pacelli che lo vide subito nell’appartamento pontificio, suggerì alcune modifiche e subito dopo, per mezzo Confalonieri, fu portato alla stanza segreta nella Tipografia».
Nota la Fattorini (a p. 214): «In effetti, le correzioni che Pacelli apporta sono minime, poche e formali e non tentano neanche una diversa, meno aggressiva impostazione».
La studiosa tuttavia non indaga sui motivi di ciò; ma si risponde in questo modo: «Il comportamento del Segretario di Stato in questi ultimi tempi tradisce - lo si può dedurre da tanti piccoli particolari [si, ma quali? NDR] - un’attesa trattenuta, una sorta di sospensione che irrompe in un intervento risoluto, una presa di posizione netta, per una volta senza incertezze, quando ordina di bloccare tutto: appena morto il papa, Pacelli ordina l’immediata distruzione (sic!) di tutte (sic!) le copie del testo scritto da Pio XI, già composto in tipografia e pronto per essere distribuito ai vescovi (ma Tardini rileva nel suo appunto la sopravvivenza di «due corpi di bozze non corrette» NDR). Dalla nuova documentazione dell’Archivio Segreto Vaticano emerge la prova certa che è Pacelli a impedire che divenga noto l’ultimo discorso di Pio XI...Il fatto che Pacelli ne chieda l’accantonamento, senza neanche presentarne una sintesi, un accenno ai vescovi ormai giunti a Roma, è un segnale chiarissimo del suo dissenso da una linea di rottura o di contrapposizione frontale».
Riassumeremmo i termini della questione, per come li abbiamo compresi, nel modo che segue:
a) Contrariamente ai titoli del “Sole 24Ore” (27 maggio 2007) e del “Corriere della Sera” (28 maggio 2007), e contrariamente a quanto la stessa Fattorini scrive, Pacelli non ordinò di distruggere il discorso di Pio XI. Altrimenti non si vede come avrebbe potuto la Fattorini pubblicarne il testo integrale. E come avrebbe fatto Giovanni XXIII a svelarlo al mondo il 6 febbraio 1959.
b) Pacelli ordinò infatti ciò che chiunque al suo posto (che non è quello di Segretario di Stato) avrebbe ordinato: il recupero del materiale in circolazione in Curia, perché fosse consegnato a quegli archivi dove oggi gli studiosi possono vederlo: Ordinò invece la distruzione solo di quel materiale (molto meno in verità, perché trattavasi delle bozze a stampa e dei piombi) uscito dalla Curia e presente in tipografia, quindi in certo modo aperto ad occhi indiscreti.
c) Pio XI volle che il suo discorso fosse fatto leggere a Pacelli. Se il Papa fu così lucido sino alla fine, come la Fattorini scrive (p. 217), e se si sostiene che Pacelli dissentiva dalla sua linea (lo fa sempre la studiosa), perché lo stesso Pacelli fu coinvolto nell’esame del testo del discorso papale, di cui gli fu anche affidata la correzione? Perché è lo stesso Pio XI a desiderare e a comandare tal cosa? Non sarebbe bastato impartire a Confalonieri l’ordine di pubblicare il discorso tale e quale, Pacelli volente o nolente?
d) Pio XI fece dare in visione il suo discorso a Pacelli (che il papa considerava il suo erede naturale; come scrive la stessa Fattorini a scriverlo, a p. XII) prima di darlo alla tipografia. Segno che si fidava di lui, e che le sue correzioni sarebbero state avallate per la stampa finale. Come in effetti accadde.
e) La Tipografia stampò anche «due corpi di bozze non corrette» che Tardini raccolse fra il materiale consegnatogli da Gonfalonieri, il segretario di Pio XI. Si tratta quindi di un materiale che non era certamente pronto per essere distribuito ai vescovi, come la Fattorini pretende; dato che non si trattava della redazione finale del discorso del papa.
f) Non esiste dunque una redazione tipografica finale del discorso (altrimenti Tardini ne avrebbe parlato).
g) Pacelli apportò alla bozza del discorso alcune correzioni «minime, poche e formali». Ci sembra un po’ poco per considerare Pacelli in netto dissenso con la linea di Pio XI: dissenso che altrimenti il papa avrebbe percepito, nella sua estrema lucidità, regolandosi di conseguenza. Il fatto poi che Pacelli abbia licenziato il manoscritto papale per le prime bozze tipografiche ci suggerisce semplicemente che, se Pio XI non fosse morto, e se fosse sopravvissuto ancora qualche settimana, il manoscritto del suo discorso avrebbe certamente visto la luce anche con l’imprimatur (dopo aver apportato «correzioni, poche minime e formali») di Eugenio Pacelli.
h) Se la Fattorini ha potuto pubblicare il discorso nel suo libro, è evidente che lei deve proprio a Pacelli il fatto che il manoscritto sia stato collocato nell’Archivio della Segreteria di Stato, che lo ha poi versato all’Archivio Segreto Vaticano, da dove la studiosa lo ha tratto. Quindi nessuna distruzione arbitraria, come erroneamente hanno titolato “Il Sole 24Ore” e il “Corriere della Sera”
i) Va detto a chiare lettere che le forme sono importanti, perché nella storia delle istituzioni le forme equivalgono alla sostanza. Pacelli, morto il papa, non era più il suo Segretario di Stato, ma semplicemente il Cardinale Camerlengo incaricato del disbrigo degli affari correnti (come si è visto anche nel recente caso di Papa Wojtyla). Egli non poteva di certo rivelare un discorso incompiuto del papa ai vescovi italiani, pensato in occasione di una riunione e di una celebrazione (quella del decennale dei Patti lateranensi) poi annullata per la morte del papa stesso; ben altre incombenze erano ormai in vista: le esequie del papa e il conclave.
j) Se si fosse comportato secondo i desideri della Fattorini e avesse divulgato il discorso del defunto pontefice, Pacelli avrebbe snaturato l’istituzione di appartenenza ma anche, cosa più grave, impegnato con un preciso atto pastorale il magistero del successore di Pio XI (e Pacelli non sapeva che sarebbe stato lui stesso quel successore). Né va escluso che noi oggi staremmo a biasimare Pacelli per l’avventata decisione di render noto quel discorso di Pio XI (che era tutto un invito alla prudenza, al silenzio e alla discrezione), così attirandosi le ire del fascismo verso la Chiesa cattolica che continuava a far “politica”.
k) Pacelli era in quel momento, dunque, un uomo dell’Istituzione vaticana nel senso più alto del termine. Si poteva occupare, come doveva anche in base al diritto canonico, solo del disbrigo degli affari correnti. Cosa che capita regolarmente a ogni morte di papa e a ogni cambio di capo di stato o di governo.
l) Il primo a rivelare l’esistenza del discorso di Pio XI è stato Giovanni XXIII in un discorso ai vescovi italiani, pronunciato il 6 febbraio 1959 (cfr. "Osservatore Romano", 9 febbraio 1959; nonché P. Scoppola, "La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni", Roma-Bari, Laterza 1976, pp. 334-341), in cui sono riportate anche alcune parti che erroneamente la Fattorini crede che Roncalli abbia deciso di non svelare (p. 212).
m) Come si è visto Giovanni XXIII, rievocando il "discorso mancato" di Pio XI, ha osservato: «Quanto rimane di quel manoscritto [che Giovanni XXIII, avendolo in mano, giudicava incompiuto NDR] meritava bene di essere tenuto in riserbo da ogni sguardo di profana indiscrezione». Queste parole non possono essere semplicemente liquidate come «osservazioni prudenti» (Fattorini, p. 211; ma prudenti in che senso?). Esse ci suggeriscono anche che, al posto di Pacelli, Roncalli si sarebbe comportato esattamente allo stesso modo.
«Ci sono, purtroppo, pseudocattolici - ammoniva Pio XI nel discorso incompiuto - che sembrano felici quando credono di scorgere una differenza, una discrepanza, a modo loro (s’intende) fra un Vescovo e l’altro, più ancora fra un Vescovo e il Papa». Non si deve a ciò aggiungere il rischio di pervenire, per l’ennesima volta, a un non sereno confronto fra un Papa e un suo successore.