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Po, per salvarlo non bastano le preghiere
di CARLO PETRINI
Ad petendam pluviam! Deus, in quo vívimus, movémur et sumus: plúviam nobis tríbue congruéntem. L’orazione Ad petendam pluviam riecheggerà di nuovo nelle nostre campagne, in lunghe processioni tra campi e piloni votivi? Dovranno tornare in auge queste antiche manifestazioni di fede popolare, chiamate rogazioni? La primavera è stata abbondantemente preannunciata da un inverno che inverno non è stato.
I cambiamenti climatici che coinvolgono tutta la Terra si manifestano sempre più chiaramente e ci sono tutti i presupposti perché la bella stagione che inizia da calendario si presenti parecchio siccitosa. E’ già allarme: pioverà poco, farà caldo, ci saranno fiumi magri, laghi bassi, zolle impenetrabili e infeconde. Il nostro grande fiume, il Po, è già tra le vittime predestinate, un po’ come tutti i maggiori corsi d’acqua del Pianeta. In città forse questi problemi non sono molto sentiti. Vi si può ovviare con la tecnologia, quindi procuratevi i condizionatori, vi diranno. Nel traffico una pioggia in meno è un fastidio in meno, ma in campagna no.
Pensate alla florida Pianura Padana attraversata dal Po, che ogni anno è sempre più secco: nel 2007 batterà ogni record? Se le promesse saranno mantenute, in certi casi ci sarà da disperarsi. Ci sarà quasi da non sapere più "a che santo rivolgersi" quando non si troverà dove pescare l’acqua per irrigare i campi. A proposito di santi, mi ricordo ancora di quando si facevano le rogazioni, preghiere che fino agli anni ’60 erano ordinate dal Vescovo il 25 aprile e per i tre giorni precedenti l’Assunzione. Si tratta di antiche espressioni di fede, che hanno ovvie radici pagane ma che sono state raccolte dalla Chiesa in passato. Servivano per rivolgersi a Dio e chiamare a raccolta tutti i santi affinché intercedessero davanti ai pericoli che incombevano.
Lunghe processioni che attraversavano tutto il territorio della parrocchia, con litanie, elenchi di santi, implorazioni quando ci si fermava, il prete alzava la croce per rivolgersi ai quattro venti e poi diceva a voce alta: "A folgore et tempestate" ("Dalle folgori e dalla tempesta"). Si rispondeva: "Libera nos Domine" ("Liberaci Signore").
E’ una preghiera ormai desueta, che nella sua storia ha dato luogo anche a forme minori di processioni rurali, addirittura per "difendere la vita degli uomini dall’ira di un Dio che c’impaurisce in ogni luogo". A questa versione "paurosa" si sono poi sostituite forme più accomodanti, ma non sono mancati formulari pieni di "imprecazioni" contro le piaghe, insetti infestanti, topi, vermi.
Non è difficile intervistare chi si ricorda ancora che in Langa, terra di grandi vini nel Piemonte meridionale, dopo una grandinata deleteria per la futura vendemmia si portava il crocefisso in giro tra i filari, per mostrare a Dio il disastro che era riuscito a combinare.
Dovremo portare il crocefisso lungo il Po quest’estate? Far vedere a Dio il disastro che riguarda il nostro fiume? Una volta, in tempo di rogazioni, si imponeva il crocefisso anche alle nuvole che portavano grandine, per deviarle.
Un mio amico, grande uomo di fede, mi dice con trasporto che quando si effettuava questo servizio poi: "U piuviva nen!" ("Non pioveva!", urlato in piemontese agitando il pugno). Insomma, Dio rispondeva sempre in qualche modo. Beh, se facessimo vedere il Po a Dio che cosa potrebbe risponderci? Credo che forse ci metterebbe di fronte alle nostre responsabilità, perché lui proprio non ne può niente.
Il problema è che il Po non ce la fa più, la situazione è giunta al limite e ci vorrebbe un intervento drastico per rivedere tutto lo sfruttamento selvaggio che perpetriamo nei confronti del nostro fiume. Il Po è il nostro Nilo, il fiume lungo il quale si è costruita gran parte della nostra civiltà. Il Po necessita di rispetto. La peggior maledizione contenuta nell’Esodo riguardava un fiume inquinato, inutile: "I pesci che sono nel Fiume moriranno, il Fiume sarà inquinato e gli Egiziani non potranno più bere l’acqua del Fiume" (Esodo 7:18).
Dobbiamo quindi pensare di conciliare i bisogni di uno dei più grandi doni che Madre Natura ha dato all’Italia con i bisogni dello sviluppo economico senza freni. Secondo Wolfgang Sachs è tempo che gli uomini inizino a lavorare non soltanto per i loro diritti, ma anche per i diritti di ciò che li circonda: mari, laghi, ecosistemi, boschi, montagne, fiumi.
Ma i diritti del Po a sopravvivere, a non essere stressato dai prelievi e inquinato dalle nostre attività, quanto possono coesistere con la nostra voglia di farci ricchi, di scaldarci e di rinfrescarci, di mangiare sempre di più e di esportare i nostri prodotti-simbolo eno-gastronomici? Si può chiedere che in nome del rispetto per il fiume si ridimensionino certe nostre abitudini?
Si pensi alla produzione di energia elettrica, che con le dighe o le centrali in alcuni punti ha creato qualche sconquasso, ma che ogni estate si rivela sempre più carente; si pensi alla sete che hanno i campi di mais (aumentati in estensione negli ultimi anni del 35%). Attraversando la Pianura Padana, d’estate succede di vedere quei grossi innaffiatoi che spandono lunghe lance d’acqua su distese di mais. Il prelievo è fatto dal fiume e dai suoi affluenti, e molta di quell’acqua evapora prima di posarsi al suolo o sulle foglie. Come si concilia il bisogno di mais per i tanti allevamenti animali con lo spreco dell’acqua?
Ma c’è anche l’inverno: la produzione di neve artificiale si fa con l’acqua degli affluenti, a monte. Si può compromettere l’economia turistica di intere valli per dare respiro al grande fiume? E ci sono gli allevamenti dei suini, che danno prosciutti, culatelli e salumi e che portano in alto il nome della gastronomia nazionale. Una Regione abbassa il livello di nitrati che si possono immettere nelle falde acquifere e nei corsi d’acqua, e un’altra a monte li tiene alti, vanificando le poche buone intenzioni.
Metà del popolo italiano vive nella Pianura Padana, la concentrazione urbana è in crescita. Molte città, anche di enormi dimensioni, non hanno ancora messo a punto o adeguato i loro sistemi di depurazione delle acque.
Il sistema produttivo che abbiamo messo in atto distrugge inesorabilmente le nostre risorse idriche: possiamo infischiarcene e continuare su questa strada, ma a quanti di noi è chiaro che proprio la carenza d’acqua sarà la principale causa che farà crollare il sistema e ci farà rimettere in discussione le nostre priorità? Non è per puntare il dito contro qualcuno in particolare, ma finiti i santi a cui rivolgere le nostre preghiere, e con un Dio che si troverebbe di fronte a qualcosa di ben più ciclopico che sbuffare per deviare qualche nuvola, dobbiamo sentirci tutti responsabili.
Noi non siamo come la Turchia che litiga con Iraq e Siria per le dighe sull’Eufrate, o il Sudan che litiga con l’Egitto per le dighe che i cinesi vogliono costruire lungo il Nilo. Noi il Po ce lo abbiamo tutto dentro i nostri confini. Il Po è tutto nostro e se sta male dunque, la colpa è tutta nostra. Questi risultati sono frutto di contraddizioni portate da una gestione scoordinata, che non andrebbe demandata a livello locale, ma affrontata con urgenza a livello nazionale.
Prima di riportare in auge le rogazioni dunque, e di rispondere al parroco che implora Dio con un bel "Libera nos domine", sarà forse bene che chi deve intervenire lo faccia. E visto che il Po è un patrimonio nazionale, l’unico soggetto che può fare qualcosa di importante per un problema così complesso è il nostro Governo con l’ausilio di tutte le Regioni bagnate dal fiume.
Serve un’autorità unica capace di agire in maniera agile e in grado di armonizzare le tante sirene che si faranno sentire quando si metterà mano alla questione: un soggetto capace di ridisegnare le norme in tutti i territori e su tutte e due le sponde, che può essere creato soltanto dalle massime autorità statali.
Extrema ratio, dunque, le lunghe liste di santi, le litanie, la richiesta di misericordia e di liberazione dalle calamità più disparate indirizziamole anche a chi ci governa. Per ora, in attesa di risposte, li scamperemo dalle "imprecazioni" tipiche delle antiche rogazioni: cerchiamo di lavorare insieme per salvare il Po, prima che sia troppo tardi.
(31 marzo 2007)
http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/spettacoli_e_cultura/le-idee/le-idee/le-idee.html