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Fatte le debite proporzioni l’Italia di oggi sembra la Spagna del ’36: chi ha perso le elezioni non riconosce la vittoria dell’avversario e si prepara a impedirgli di governare. E’ vero che non abbiamo le truppe coloniali alle porte di casa e che il Senato della Repubblica non sarà mai tragico come il fronte dell’Ebro, ma non è saggio concentrarsi solo sulla spartizione delle cariche istituzionali mentre il «nemico» dichiara guerra. Come non è stato lungimirante pensare che il risultato elettorale avrebbe risolto l’assenza di un progetto politico visibilmente alternativo alle destre e messo di per sé ordine negli equilibri interni al centrosinistra. Né ci si può affidare al Pallaro della situazione, «decisivo» senatore spuntato da oltreoceano. Ma Fassino e Bertinotti si dicono sereni. Beati loro. Chi non si bea sono gli elettori dell’Unione. Hanno tremato fino alle ore piccole del 10 aprile. Non hanno avuto il tempo di tirare un respiro di sollievo che si sono trovati sotto l’offensiva dei ricorsi berlusconiani. E quando questi si sono infranti nella sentenza della Corte di cassazione, hanno assistito allo spettacolo poco edificante dell’ingorgo istituzionale che ha paralizzato il futuro presidente del consiglio. Con quello uscente che già lo bollava di parentesi. C’è il rischio che debbano consolarsi con la telefonata di congratulazioni di Bush: come farsi fare una carezza dal diavolo. E ora, i poveri elettori, devono attendere con il fiato sospeso per vedere se la ricetta che proporrà l’alchimista Prodi reggerà alla prova delle Camere (e al giudizio di Pallaro). Verrebbe da dire «adesso basta, vi diamo cinque minuti per sciogliere l’assembramento». Tantopiù che la retromarcia di D’Alema toglie ogni margine di dubbio e dovrebbe permettere di passare ad altro. Così anche se i nostri vecchi insistono sulla portata rivoluzionaria della pazienza, vogliamo ricordare ai leader dell’Unione che sono stati votati per ridare una possibilità di civiltà al paese, rammentar loro che le minacce di Berlusconi sono qualcosa di più di una boutade e sottolineare il fatto che il tempo - a questo punto - gioca contro di loro e a favore dell’uomo di Arcore. Qualche giorno può sembrare un niente, ma può essere un tempo lunghissimo, soprattutto se impiegato nel chiuso delle stanze (o delle camere). A costo di essere noiosi ripetiamo che, per ridare alla politica il senso di un bene comune, bisognerebbe passare in fretta al merito di un proposta. Se una proposta comune davvero c’è. E se non c’è ancora che la si provi a costruire, allargando gli interlocutori nello spirito dell’unico fatto nuovo messo in atto dal centrosinistra negli ultimi mesi, le primarie. Altrimenti non resta che aspettare la guerriglia di Berlusconi, o affidarsi all’umore di Pallaro. E buonanotte.
www.ilmanifesto.it 22/4/06