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Polizia parallela: l’accordo mancato tra Berlusconi e i gladiatori
Publie le mercoledì 6 luglio 2005 par Open-PublishingDoppio Stato. Il missino Saya e il vice Sindoca sono i responsabili della ’Dssa’, la struttura parallela per la lotta al terrorismo scoperta dalla Digos di Genova. I punti oscuri della vicenda
di Stefania Limiti
“Ma guarda quanti gladiatori in questa sala...!!!” Così esordì Antonio Saya, presidente dell’Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale - Nuovo MSI (“sono il terzo dopo Almirante e Fini”, tenne a precisare), oggi noto insieme a Roberto Sindoca come responsabile della DSSA, entrando nella sala Cavour a Roma. Da lì nel febbraio del 2004 lanciò un appello al leader della CDL Silvio Berlusconi affinché accogliesse il suo partito nella casa delle destre nella quale avrebbero contribuito a sconfiggere il comunismo nel paese. Insomma, Berlusconi chiama alla lotta contro i rossi e, tra gli altri, gli risposero Saya e Sindoca e i loro amici ex agenti di una Gladio sconosciuta, una sorta di CIA all’italiana che operava oltre confine contro il nemico sovietico.
I gladiatori in sala erano Antonino Arconte e Piefrancesco Cancedda, nome in codice G71 e Doctor Franz, due ex spie appartenenti ad una specialissima sezione dell’ormai nota GLADIO: una sezione, quella, niente affatto nota, costituita da circa 280 persone che fino al 1986 operavano all’estero una guerra mai dichiarata contro il blocco comunista. Si tratta della Gladio delle Centurie che non dipendeva, come l’altra, della quale facevano parte le 622 persone di cui parlò l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti - costretto, il 2 agosto del 1990, a rivelare l’esistenza di Stay Behind, giocandosi il posto al Quirinale - dalla VII Divisione dei Servizi Segreti.
Questa organizzazione militare operava al di là dei confini nazionali, (ad esempio, ci dissero G71 e Doctor Franz, agì per la destituzione dell’ex presidente tunisino Bourghiba con l’operazione “Akbar Maghreb”, di cui parla anche l’ammiraglio Fulvio Martini nel suo libro Nome in codice ) una sorta di CIA all’italiana, con compiti estranei a quelli assegnati dalla Costituzione alle Forze Armate, a cui ancora oggi, come testimoniano i gladiatori filo-berlusconiani, nessuno vuole riconoscere un regolare attestato di servizio. In quella sala romana incontrammo le due ex-spie-fantasma, oggi tranquilli padri di famiglia: Arconte fu l’uomo inviato, tra le altre cose, in una specialissima missione a Beirut (ci mostrò la “cartolina di mobilitazione”, modalità tipica per l’attribuzione degli incarichi, con la quale viene reclutato nel Nucleo Speciale G. CONSUBIM, Comando incursioni subacquee della marina, per la sua partenza dal porto di La Spezia, sottolineando che compare lì il numero di assegnazione 32.1/133 che è scritto nel certificato di arruolamento nella struttura, datato 1.1.1972).
Era il 2 marzo del 1978, PRIMA del rapimento di Aldo Moro, e doveva portare documenti a mano ad un altro agente (G 219, il colonnello del SISMI Mario Ferrero, operante alle dipendenze di G-216, responsabile per il Medio Oriente, Stefano Giovannone) in vista della liberazione del Capo della DC che, tuttavia, non era ancora stato rapito. Doctor Franz, spia per amore, operava in Cecoslovacchia, dove si innamorò di una splendida ragazza figlia di un ufficiale della Stasi, che gli passava ricche informazioni che lui faceva arrivare ai suoi capi oltre la cortina di ferro; Franz, tra le altre cose, ricorda bene di aver avuto proprio a Praga l’informazione di via Gradoli (strasse non paese, ci tiene a precisare) come luogo dove era stato tenuto prigioniero Aldo Moro, di averla passata rapidamente al suo capo, il capitano Antonio Labruna, “come sa anche la vedova di Aldo Moro”, senza alcun esito”. In effetti, Labruna fece quella segnalazione ma la cosa rimase appesa al nulla. Nessuno andò a verificare, dopo parecchi giorni seppi della messa in scena della perquisizione del piccolo paese nel viterbese”.
I due gladiatori chiedono da tempo un riconoscimento e non gli piace questa storia di passare per scemi: “devono riconoscere il nostro stato di servizio, rispondevamo allo Stato italiano, mica eravamo un gruppo di mitomani. Invece, nel 1986 sono stati cancellati, abbandonati al loro destino, alcuni morti in circostanze sospette ( tra cui i sopra citati Stefano Giovannone, scomparso in un dubbio incidente autostradale, e Mario Ferraro, “suicidato”). E insieme a loro, sono stati cancellati fatti e misfatti dell’organizzazione segreta alla quale appartenevano: un pezzo della storia italiana non raccontata, anzi nascosta, taciuta. Franz rammenta che l’ultimo a promettergli tutela fu Bettino Craxi, il quale però gli scrive nel giugno 1987, in una lettera che ci mostra, “insisto ad esortarvi a tacere, nell’interesse del paese, fino a che non siamo pronti a rendere pubbliche le difficili verità che potrebbero provocare reazioni illiberali”. Falco Accame, ex ufficiale superiore della Marina, eletto deputato nel ’76 ed ex presidente della Commissione Difesa, oggi presidente della Ana-Vafaf (Associazione che tutela le famiglie dei militari deceduti in tempo di pace), ha già tentato di portare alla luce l’inquietante vicenda con un esposto alla magistratura e con numero altre iniziative. Ha chiesto anche al presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Mitrokin, Paolo Guzzanti, di convocare il gladiatore Franz, che aveva il ruolo specifico di spiare i campi di addestramento delle Br all’est. Ma Guzzanti non ci pensa nemmeno.
I due gladiatori non hanno mai voluto dire i nomi degli ex 007 speciali che vogliono ritrovarsi in questa chiamata alle armi: oggi, dopo l’inchiesta della DIGOS di Genova avviata per capire chi fosse veramente Fabrizio Quattrocchi, il body guard rapito in Iraq con tre suoi colleghi, Stefio, Agliana e Cupertino, è stato reso noto che i loro compagni di avventura, il presidente missino che arringava la Sala Cavour e quello che fu presentato con tutti gli onori come il suo vice, Roberto Sindoca, altri non sono che responsabili della ’Dssa’, il Dipartimento studi strategici antiterrorismo, una struttura parallela per la lotta al terrorismo scoperta dalla Digos della Questura di Genova che ha già compiuto 25 perquisizioni in nove regioni italiane. La struttura di questa organizzazione di ’polizia parallela’ era costruita su sei divisioni la cui sede legale era in Italia ma che disponeva anche di sedi operative in vari Paesi. Le divisioni erano coordinate fra loro, dai relativi Capi Divisioni (ex agenti e collaboratori dei servizi segreti), e ufficiali operativi dell’organizzazione Stay behind (Gladio), operativi in Nord Africa e Medio Oriente durante la guerra fredda (i reati contestati: associazione per delinquere finalizzata all’usurpazione di pubbliche funzioni, illecito utilizzo di dati ed informazioni riservate attraverso l’illegale consultazione delle banche dati del ministero dell’Interno).
Saya, ex massone, fu uno dei teste d’accusa al processo Andreotti per l’omicidio del generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nato a Messina nel 1956, a 18 anni si arruola nel Corpo delle Guardie di pubblica sicurezza per poi essere ingaggiato dai Servizi segreti della Nato. Esperto in controspionaggio, terrorismo e ’Ispeg’ (Informazioni, sabotaggio, propaganda e guerriglia), nel 1975 entra, tramite l’intercessione del Generale Giuseppe Sansovito allora capo del Sismi, nella massoneria. In breve tempo diverra’ Maestro venerabile di ’Divulgazione 1’, loggia a carattere internazionale. Riccardo Sindoca, presentato nel sito della DSSA come vicedirettore dell’organizzazione, è portavoce nazionale dell’Unione nazionale forze di Polizia, un sindacato della Polizia di Stato di cui Saya era presidente onorario.
E’ inutile dire che gli aspetti inquietanti della vicenda sono diversi: davvero, ancora una volta, il governo italiano non sapeva nulla di questa struttura parallela? E perché tutto emerge proprio a poche ora dalla sconcertante rivelazioni dell’operazione CIA per il rapimento di Abu Omar (ricordate l’operazione Mordechai Vanunu?) Perché gli esponenti della Fiamma, oggi più noti come responsabili della DSSA, gridarono ai quattro venti le loro intenzioni di entrare a far parte della Casa delle Libertà e poi nulla più? Attraverso quali canali soldi pubblici sono finiti nelle casse dell’organismo? Gli ex-agenti della Gladio fantasma ritenevano di essere in credito con lo Stato: dopo un po’ di tempo dal quell’incontro bucato dalla stampa perché non sembrava affatto appetitoso, fecerono infatti sapere di aver ricevuto incarichi di intelligence, in quanto maxi-esperti del settore...




