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Potere e propaganda bellica statunitense - Ivan Jutzi
Publie le domenica 15 gennaio 2006 par Open-PublishingNato dalla consapevolezza del fascino coinvolgente ed esaltante del verbo politico, quest’approfondimento intende soffermarsi - da una parte - sull’apparato propagandistico, in ottica bellica, dell’attuale amministrazione statunitense.
Dall’altra, sulla fragilità e l’ingenuità di un tessuto sociale globale strumentalizzato dalla comunicazione di massa nonché sull’importanza progressivamente assunta dalla filosofia neoconservatrice.
Potere e propaganda
Profilatasi anche negli ultimi anni come strumento bellico dalle molteplici funzioni, la propaganda politica - nonostante l’evoluzione tecnologica - ha conservato tutte quelle caratteristiche a suo tempo già rilevate da un retore non comune, capace di convincere, coinvolgere ed infervorare le masse come nessuno riuscí a fare nel corso del XX secolo: Adolf Hitler.
[...] la propaganda di guerra degli Inglesi e degli Americani era psicologica e razionale. Rappresentando al loro popolo i Germanici come dei barbari e degli Unni, [essa] preparava ogni soldato a resistere agli orrori della guerra [...] Nell’arma terrificante impiegata contro di lui, egli vedeva la conferma di quel che gli si era detto e ciò rinforzava in lui, con la consapevolezza della correttezza delle affermazioni del suo governo, la sua rabbia e il suo odio nei confronti dell’infame nemico.
(Adolf Hitler, Ma doctrine, Paris, Librerie Arthème Fayard, 1938, p.59. Trad.e grassetto miei).
Questo passaggio tratto dalla Mia dottrina di Hitler mette in evidenza alcune peculiarità della propaganda bellica anglofona durante la prima Guerra Mondiale. In merito, risulta interessante notare che esse contraddistinguono ancora ai giorni nostri i discorsi del presidente statunitense George W.Bush.
In effetti, prima di dare avvio all’offensiva armata in Medioriente, il sopracitato ha attuato un vero e proprio processo di demonizzazione tendente ad animalizzare o a privare di umanità taluni sostenitori del terrorismo internazionale legati prevalentemente ad al-Qaeda.
Raffigurandoli come bestie spietate o incarnazioni del Male, egli ha inteso fomentare l’odio nei confronti di un nemico dichiarato ma non ancora affrontato, preparando psicologicamente soldati e civili americani ad un conflitto di lunga durata definito immediatamente diverso:
I also want to talk about the battle we face, the campaign to protect freedom [...] This will be a different kind of campaign than Americans are used to. It’s a campaign that must be fought on many fronts [...] As I said, this is a different kind of war. It’s hard to fight a guerrilla war with convention forces. But our military is ready [...] You see, the evildoers like to hit and then they try to hide. And slowly, but surely, we’re going to make sure they have no place to hide. Slowly, but surely, we’re going to move them out of their holes [...]
Voglio anche parlare della battaglia che abbiamo davanti, la campagna [bellica] per proteggere la libertà [...] Questa sarà una campagna diversa rispetto a quelle a cui gli Americani sono abituati. È’ una campagna che deve essere combattuta su molti fronti [...] Come ho detto, questo è un tipo di guerra diversa. È duro combattere una guerriglia con forze convenzionali. Ma il nostro militare è pronto [...] Vedete, ai maligni [o cattivi] piace colpire e poi tentare di nascondersi. E lentamente, ma sicuramente, ci assicureremo che non abbiano nessun posto ove nascondersi. Lentamente, ma sicuramente, li staneremo dalle lero buche [...]
(George W.Bush, Washington, D.C., President: "We’re Making Progress", 1° ottobre 2001. Trad.e grassetto miei.)
Radici dell’ostilità, il riconoscimento di una fondamentale diversità e il conseguente procedimento di colpevolizzazione nonché di emarginazione assumono una funzione persuasiva e denigratoria. Cosí, l’isolamento o l’espulsione dalla democratica società globale si profila quale misura atta a giustificare determinate sanzioni, militari e non.
A tale proposito, va ricordato che una simile condanna si è abbattuta - tra gli altri - sui governi comunisti, mutati celermente dalla propaganda politica in antagonisti della libertà, in meccanismi offensivi succettibili di rendere l’uomo schiavo di un sistema oppressore e repressivo.
Una volta persuasa dell’esistenza di una minaccia incombente, l’opinione pubblica sostiene e consolida quella governativa, generando una coincidenza interpretativa sfruttata al fine di legittimare, a titolo esemplare, delle incursioni armate come quella nella Baia dei Porci cubana.
I media di massa come veicolo ideologico
Vieppiù ridotta al ruolo di semplice spettatrice di uno spettacolo governativo, la società globale osserva ingenua o assiste impotente alla moltiplicazione di fenomeni di collusione a carattere settario che coinvolgono rappresentanti delle sfere politica e giornalistica.
Questi ultimi - accomunati dalla brama di primeggiare e di sconfiggere la concorrenza nonché assetati di notorietà - si uniscono sul sacro altare dell’indice d’ascolto e dello share per poi stuprare l’Informazione, incatenandola a quella legge del mercato in base alla quale si baratta il leader d’opinione con l’esclusiva giornalistica.
Soffermandosi esclusivamente sul caso americano, va rilevato che il presidente George W.Bush - in qualità di personalità ideologicamente influente - ha potuto sfruttare l’interdipendenza tra politica e informazione al fine di veicolare un’ opaca dottrina antiterroristica simbolizzata dal Patriot Act1.
In merito, la retorica sfumata2 o imprecisa contraddistingue una concezione impregnata di etnocentrismo e di discriminazione nei confronti di una comunità islamica colpevole di aver partorito il presunto “asse del Male”.
È opportuno ricordare che, delle 42 organizzazioni3 percepite dal Dipartimento di Stato americano come terroristiche, quelle mussulmane rappresentano il 75% circa. Evidentemente, in una graduatoria di potenziali minacce eversive promulgata dalla Casa Bianca, i comunisti non potevano che classificarsi al secondo rango.
I dati in questione sono inoltre avvalorati dalle indicazioni del governo statunitense in materia di nazioni che sostengono il terrorismo internazionale: Iran, Libia, Siria, Sudan, Corea del Nord e Cuba. Ovverossia, quattro stati islamici e due comunisti.
A tale proposito, risulta perlomeno assurdo ritenere che la sopracitata nazione sudamericana - sprofondata nella povertà a causa dell’embargo decretato proprio dagli USA - sia in grado di fornire il proprio sostegno finanziario e non a determinati gruppi eversivi attivi a livello mondiale.
Ciononostante, migliaia di testate informative4 hanno accordato molto spazio alla divulgazione di teorie talvolta assolutamente disancorate dalla realtà, come quella che faceva riferimento alla presenza di armi di distruzione di massa sul territorio iracheno.
Emblema della complicità tra potere politico e mediatico, la catena televisiva americana Fox News ha ormai assunto i contorni di un mero strumento propagandistico in favore del partito Repubblicano.
Ne è proprietario il miliardario Rupert Murdoch, grande sostenitore di George W.Bush e della guerra in Iraq. A titolo informativo, tutti i 175 giornali da lui posseduti nel mondo si sono dichiarati favorevoli all’offensiva contro il regime di Saddam Hussein.
Uno di questi, il settimanale The Weekly Standard - considerato come la “Bibbia dei neoconservatori” - è diretto dallo stratega William Kristol, regolarmente iscritto al partito Repubblicano.
Nel 1997, egli fondò il Progetto per il Nuovo Secolo Americano (Project for the New American Century, PNAC), un gruppo di raccomandazione estremamente influente che sostiene - tra l’altro - la “leadership globale” degli USA ed una “politica reganiana di potenza militare e chiarezza morale”. Tra i firmatari dell’iniziativa in questione figuravano numerose personalità successivamente integrate nell’amministrazione Bush Jr: Richard Cheney, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, I. Lewis Libby5 e molti altri.
Il generatore politico: la poliedrica struttura neoconservatrice
Nell’era post-11 settembre, in nome del mantenimento di equilibri strategici favorevoli e dell’incremento della sfera d’influenza internazionale, l’amministrazione Bush Jr ha dunque abbracciato una corrente di pensiero “neoconservatrice” ormai profilatasi come principio violento di chi intende proporsi quale nucleo decisionale globale o quale fulcro nevralgico del solo impero contemporaneo.
Sostenuta da un impressionante apparato editoriale-mediatico6 e dal denaro dell’establishment americano, tale filosofia patriottica ed auto-celebrativa esprime una chiara volontà di supremazia da parte degli Stati Uniti e - come in un recente passato nazionalistico europeo - dimostra che l’impiego della forza, per poter essere giustificato, accettato dalla popolazione ed attuato, deve servire una dottrina etnocentrista suscettibile di generare paura e fomentare l’odio:
La forza non ottiene risultati durevoli se non è al servizio di un’idea [...] Ogni persecuzione che non ha alcun fondamento spirituale sembra moralmente ingiusta [...]
(Adolf Hitler, op.cit., pp.41-42. Trad.mia.)
In questo senso, il messianesimo7 della Casa Bianca, cristallizzatosi attorno ad una retorica politica che la rende strumento divino, procacciatrice di giustizia e di libertà, non è altro che un volto della poliedrica struttura neoconservatrice.
Quest’ultima - sin dall’inizio degli anni ‘90, cioè dal crollo della superpotenza sovietica, intesa quale presenza dissuasiva capace di circoscrivere la sua smania d’espansionismo - proclamava l’esportazione della democrazia in Medioriente e l’abbattimento di regimi potenzialmente ostili o sfavorevoli alla sua percezione della politica estera.
Ottenuti importanti appoggi non solo nella sfera economica, l’apparato neoconservatore divenne progressivamente più autorevole, sino a quando - da una proposta del PNAC - alcune importanti personalità indirizzarono all’allora presidente Bill Clinton una lettera di fondamentale importanza per la comprensione di quanto sarebbe accaduto dopo il crollo delle Twin Towers. Era il 26 gennaio del 1998:
We are writing you because we are convinced that current American policy toward Iraq is not succeeding, and that we may soon face a threat in the Middle East more serious than any we have known since the end of the Cold War [...] We urge you to seize that opportunity, and to enunciate a new strategy that would secure the interests of the U.S. and our friends and allies around the world. That strategy should aim, above all, at the removal of Saddam Hussein’s regime from power [...] As you have rightly declared, Mr. President, the security of the world in the first part of the 21st century will be determined largely by how we handle this threat [weapons of mass destruction] [...] The only acceptable strategy is one that eliminates the possibility that Iraq will be able to use or threaten to use weapons of mass destruction. In the near term, this means a willingness to undertake military action as diplomacy is clearly failing. In the long term, it means removing Saddam Hussein and his regime from power. That now needs to become the aim of American foreign policy. We believe the U.S. has the authority under existing UN resolutions to take the necessary steps, including military steps, to protect our vital interests in the Gulf. In any case, American policy cannot continue to be crippled by a misguided insistence on unanimity in the UN Security Council.
Le scriviamo perché siamo convinti che l’attuale politica americana nei confronti dell’Iraq non è concludente, e che potremmo presto confrontarci con una minaccia in Medioriente più seria di tutte quelle conosciute dalla fine della Guerra Fredda [...] La sollecitiamo a cogliere questa opportunità, e ad enunciare una nuova strategia che renda sicuri gli interessi dedli US e dei nostri amici e alleati nel mondo. Questa strategia dovrebbe essere mirata, soprattutto, alla rimozione del regime di Saddam Hussein dal potere [...] Come ha dichiarato giustamente, Signor Presidente, la sicurezza del mondo nella prima parte del 21° secolo sarà largamente determinata da come trattiamo questa minaccia [armi di distruzione di massa] [...] L’unica strategia accettabile è una che elimini la possibilità che l’Iraq sia in grado di usare o minacciare di usare delle armi di distruzione di massa. A corto termine, questo significa una ferma volontà d’intraprendere un’azione militare visto che la diplomazia sta chiaramente fallendo. A lungo termine, significa rimuovere Saddam Hussein e il suo regime dal potere. Questo deve diventare ora lo scopo della politica estera americana. Noi crediamo che gli US abbiano l’autorità, conformemente a esistenti risoluzioni delle Nazioni Unite, per adottare le azioni necessarie, militari incluse, al fine di proteggere i nostri interessi vitali nel Golfo. In ogni caso, la politica americana non può continuare ad essere bloccata da una disorientante insistenza in materia di unanimità in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
(PNAC, Letter to President Clinton on Iraq, 26.01.1998. Trad.e grassetto miei.)
Rivelatore, il documento in questione è stato firmato - tra gli altri - da William Kristol, Robert kagan8, Francis Fukuyama9, Richard Perle10, Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz, e Richard L. Armitage11. Quest’ultimo, all’indomani degli attentati dell’11 settembre, esternerà una convinzione perlomeno inquietante: “La storia comincia oggi”12. Da parte sua, ormai sotto pressione, Bill Clinton sottoscrisse l’Iraqi Liberation Act, il cui intento principale era di sostenere l’opposizione irachena contro Saddam Hussein.
Occorre tuttavia sottolineare che soltanto il collasso del World Trade Center e l’attacco al Pentagono consentirono ai neoconservatori di imporsi definitivamente all’attenzione dell’attuale leader statunitense, il quale aderí alle teorie da loro esposte.
In una fase di inorridito stupore in cui un governo scosso e fragile non riusciva ad interpretare quanto accaduto, esse assumevano infatti due funzioni di essenziale rilievo. Da una parte, fornivano una spiegazione esauriente, poiché indicavano colpevoli e motivazioni. Dall’altra, proponevano una strategia operativa atta ad eliminare la minaccia.13
Cosí, in data 20 settembre 2001, alcuni orgogliosi ed ampiamente soddisfatti esponenti del PNAC trasmisero una lettera a George W. Bush:
We write to endorse your admirable commitment to “lead the world to victory” in the war against terrorism [...] In order to carry out this “first war of the 21st century” successfully [...] we believe the following steps are necessary parts of a comprehensive strategy [...] We agree with Secretary of State Powell’s recent statement that Saddam Hussein “is one of the leading terrorists on the face of the Earth....” It may be that the Iraqi government provided assistance in some form to the recent attack on the United States. But even if evidence does not link Iraq directly to the attack, any strategy aiming at the eradication of terrorism and its sponsors must include a determined effort to remove Saddam Hussein from power in Iraq.
Le scriviamo per approvare il suo ammirevole impegno a “condurre il mondo alla vittoria” nella guerra contro il terrorismo. Al fine di eseguire con successo questa “prima guerra del 21° secolo” [...] crediamo che i seguenti passi siano parti necessarie di una strategia completa [...] Concordiamo con la recente affermazione del Segretario di Stato Powell secondo la quale Saddam Hussein “è uno dei principali terroristi sulla faccia della Terra...” Potrebbe rivelarsi corretto che il governo iracheno ha fornito in qualche forma dell’assistenza al recente attacco contro gli Stati Uniti. Ma anche se le prove non collegano direttamente l’Iraq all’attacco, qualsiasi strategia volta allo sradicamento del terrorismo e dei suoi sponsors deve includere uno sforzo determinato per rimuovere Saddam Hussein dal potere in Iraq.
(PNAC, Letter to President Bush on the War on Terrorism, 20.11.2001. Trad.e grassetto miei)
Il futuro ci dirà se quei firmatari non ancora globalmente conosciuti riusciranno ad accedere a prestigiose cariche governative. Concludendo, ci si permette di menzionare un’affermazione rilasciata da Richard Perle nel quadro di un’intervista svoltasi nella sua proprietà provenzale: “Affinché il vino della democrazia potesse essere versato, si doveva far saltare il tappo Saddam Hussein”.14
Note:
1 Acronimo di (Uniting and Strengthening America by) Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act. Legge firmata da George W.Bush in data 26.10.2001. Per ulteriori informazioni: http://fr.wikipedia.org/wiki/Patriot_Act.
2 Ivan Jutzi, Il totemismo della violenza nell’amministrazione Bush.
3 Lista resa di pubblico dominio in data 15.11.2005.
4 Ci si limita a ricordare i due seguenti contributi CNN di enorme impatto sull’opinione pubblica: Khidhir Hamza: Saddam Hussein and the Iraqi weapons program, 22.10.2001 e Cheney: Saddam working on nuclear weapons, 10.09.2002. Le date di diffusione sono significative.
5 Rispettivamente, attuali Vice-presidente, Segretario alla Difesa, Segretario di Stato aggiunto alla Difesa e presidente della Banca Mondiale, Segretario personale di Dick Cheney e suo assistente in materia di sicurezza nazionale sino al 28.10.2005, data in cui ha rassegnato le dimissioni in seguito alla sua incriminazione nel quadro dell’affare Plame-Wilson, sovente definito come CIA Gate.
6 Oltre ai media classicamente concepiti, non vanno dimenticati i Think tanks (come il PNAC) sorte di circoli di riflessione e di suggerimento spesso finanziati dalle multinazionali. L’ ascendente politico dei loro esponenti e delle loro pubblicazioni è molto rilevante.
7 Cfr. Alain Frachon e Daniel Vernet, L’Amérique messianique: les guerres des néo-conservateurs, Paris, Éditions du Seuil, 2004.
8 Co-fondatore del PNAC, ha scritto articoli per The New Republic, Policy Review, The Washington Post, The Weekly Standard.
9 Economista politico molto influente. Prof.di economia politica internazionale e direttore del Programma di sviluppo internazionale alla Johns Hopkins University.
10 Soprannominato “Il Principe delle Tenebre”, egli è stato Segretario alla Difesa aggiunto nell’amministrazione Reagan (1981-87), membro della Commissione di Politica della Difesa dal 1987 al 2004. Nel luglio 2001 Bush gli affidò l’incarico di Presidente del Defense Policy Board Advisory Committee, un comitato strategico della Difesa. È uno dei direttori del quotidiano israeliano Jerusalem Post, proprietà del gruppo Hollinger Inc., di cui è alla testa. Fa inoltre parte del think-tank conservatore American Enterprise Institute for Public Policy Research.
11 Consigliere in materia di politica estera durante l’amministrazione Reagan, Segretario di Stato aggiunto dal 26.03.2001 al 22.02.2005: venne sostituito da Robert B.Zoellick, altro firmatario della lettera a Clinton.
12 Cfr. James Mann, Rise of the Vulcans: The history of Bush’s War cabinet, Penguin Paperback, 2004. L’autore è giornalista per il Los Angeles Times.
13 Cfr. Adam Wolfson, Conservatives and Neoconservatives, in The Public Interest, Inverno 2004.
14 Alain Frachon e Daniel Vernet, op.cit, p.26. Intervista à Gordes (Alpes-Maritimes, Francia), 29 novembre 2003.
Articolo originale completo di foto: http://www.nucleoculturale.org/userfiles/ijpotereepropaganda.doc
Fonte: www.nucleoculturale.org