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Prc, scelti gli organismi: «Rimettiamoci in moto»

Publie le martedì 23 settembre 2008 par Open-Publishing

I "vendoliani" votano contro. Documenti contrapposti sulla Georgia

Prc, scelti gli organismi: «Rimettiamoci in moto»

di Romina Velchi

La crisi nel Caucaso e la nuova organizzazione del partito (aree e dipartimenti). E’ attorno a questi due temi che si è svolta la discussione nella direzione nazionale del Prc, riunitasi ieri al gran completo nella sede di viale del Policlinico.

Della guerra d’agosto tra Georgia e Russia si era già parlato nel primo comitato politico dopo le ferie, dove si era deciso di rinviare la discussione ad una sede più adatta, visti i diversi punti di vista. Ma il rinvio del dibattito non è servito a trovare un punto d’incontro tra le due linee emerse (materializzate in due documenti separati, uno a firma Fabio Amato, l’altro Elettra Deiana e altri). Secondo Amato, in sostanza, la crisi georgiana va letta all’interno della crisi della globalizzazione e «il problema non è quello di schierarsi con l’uno o con l’altro, ma di capire che ci sono responsabilità ben precise». E quel che serve è rilanciare la battaglia di massa per il disarmo e per la pace.

Una tesi condivisa un po’ da tutti gli interventi degli esponenti della maggioranza. Bruno Steri, per esempio, considera «un bene» il fatto che il mondo unipolare stia finendo, se non altro perché «i pericoli maggiori per la pace vengono dagli Usa» e dunque Russia e Stati Uniti «non possono essere messi sullo stesso piano, senza per questo voler fare l’apologia di Putin». Alfio Nicotra nega qualsiasi ritorno al "campismo" (cioè alla necessità di dover fare una scelta di campo a prescindere), mentre Ramon Mantovani invita a non fermarsi «all’imbuto delle nostre divisioni congressuali» e a guardare le cose come stanno: «Questo è il multilateralismo che abbiamo, non ce n’è un altro». E’, insomma, il criterio delle cause e delle responsabilità, quello che invita a seguire anche Alberto Burgio, secondo il quale, invece, il documento Deiana «capovolge le responsabilità, minimizza il ruolo degli Usa e impedisce di tematizzare il nesso tra crisi economica e tentazioni della politica di guerra».

Di tutt’altro avviso il fronte opposto. Secondo Deiana «ci sono specifiche responsabilità russe», pur dentro una dinamica globale certo ancora dominata dagli Stati Uniti. La vicenda dell’Ossezia non «è il semplice contrappasso del Kosovo», perché la Russia di fatto «concorre alla deflagrazione del diritto internazionale». Amato compie un «errore sulla natura della Russia, una potenza capitalista con forti connotati autoritari», incalza Roberto Musacchio e il multipolarismo così come prospettato, accusa Gennaro Migliore, altro non è che «equilibrio di potenze» e il «nazionalismo russo non viene criticato per quello che è (la Cecenia non è nemmeno nominata)»; in questo senso «Putin è più pericoloso per la pace». E siccome il sistema si va spostando verso est ma «sempre sistema di tipo capitalistico è», avverte Alfonso Gianni, e non c’è «una parte per cui parteggiare», a noi non resta che «fare da soli» e «sviluppare le lotte sociali».

A queste e altre obiezioni risponde il segretario Paolo Ferrero, mettendo di nuovo l’accento sulle «responsabilità di ordine storico e non ideologico. Non c’è alcuna forma di campismo» nel dire che dopo l’89 gli Stati Uniti «hanno messo in campo tutte le condizioni per la crisi di oggi» e che di fronte alla perdita di peso economico sta diventando sempre più forte la tendenza a «mantenere il proprio dominio» manu militari. Questa sì, osserva Ferrero, rappresenta una grave minaccia alla pace. Perciò, a noi il compito di «individuare le contraddizioni e lì dentro agire di conseguenza».

Finisce che il documento Amato è approvato con 31 voti favorevoli, 26 contrari e un astenuto. Più o meno lo stesso risultato (31 favorevoli, 24 contrari) della votazione sui nuovi dipartimenti (nomi e incarichi saranno pubblicati domani su Liberazione ), arrivata dopo un dibattito non privo di qualche momento di tensione. E’ lo stesso Ferrero a spiegarne i criteri, mettendo l’accento in particolare sul fatto che le sette "macro-aree" individuate, avendo una funzione prevalente di indirizzo politico, faranno capo direttamente alla segreteria, anche allo scopo di evitare salti di comunicazione. Più in generale, il segretario - replicando anche ad alcune critiche interne alla maggioranza - spiega che la proposta avanzata certo è «un ibrido», forse anche «ambigua», ma perché ambigua è la situazione del partito.

«E’ urgente rimetterci in modo, altrimenti il rischio è l’implosione - avverte Ferrero - Ci sono dei nodi aperti, ma aspettare di averli risolti significa fare l’organigramma del partito fra tre anni». Inoltre, la proposta tenta di tenere conto del fatto che c’è una minoranza del 47%: «Chi non si riconosce nella linea politica, in questo modo non è obbligato ad andarsene». Nel dettaglio le aree di lavoro sono: radicamento sociale; territorio, ambiente e beni comuni; lavoro e welfare; conoscenza, laicità e nuovi diritti; organizzazione; democrazia e istituzioni;
esteri. Significativa l’attenzione dedicata al radicamento sociale del partito, alla questione settentrionale e ai temi del lavoro, dell’economia e del welfare, nell’ottica di quella direzione di marcia "in basso, a sinistra" decisa a Chianciano.

Ma la minoranza che fa capo a Nichi Vendola boccia la proposta su tutta la linea e non solo perché non è stata accolta la richiesta di avere vicepresidenti in tutti i dipartimenti (respinta perché avrebbe significato, in questo caso sì, avere un partito nel partito: ai "vendoliani" va la responsabilità solo di alcuni dipartimenti). Non piace nemmeno il merito della proposta: «Avete raddoppiato il numero - accusa Ciccio Ferrara - per trovare una quadra, un equilibrio al vostro interno. E’ un disastro».
A scaldare la sala, però, è il tema della cosiddetta agibilità politica di coloro che hanno ricoperto incarichi nel partito: cioè la possibilità di disporre dei mezzi per continuare l’attività politica (ufficio, computer, telefono ecc).

Illustrata da Ferrero (che la cataloga sotto la voce pluralismo, nel solco di una prassi già usata in passato), la proposta ha sollevato polemiche: non si vede perché anche chi è stato in segreteria non debba «tornare a fare politica come gli altri», polemizza per esempio Franco Russo, mentre Aurelio Crippa chiede chiarezza: «Ci sono due partiti nel partito?». Il tema di fondo lo esplicita Alfonso Gianni: posso anche decidere di accettare l’incarico (dipartimento economia), dice in sostanza, ma solo se posso continuare a portare avanti il «mio progetto politico» (che com’è noto è diverso da quello emerso al congresso di Chianciano).

Si vedrà. La questione dell’agibilità politica, precisa in chiusura Ferrero, non fa parte della proposta sui dipartimenti. E resta inteso che ogni decisione sarà portata all’attenzione della direzione nazionale.