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Prc spaccato dopo il congresso di Ferrero

Publie le lunedì 28 luglio 2008 par Open-Publishing

Prc spaccato dopo il congresso di Ferrero

«Rifondazione si spacca, Ferrero sconfigge Vendola»: la prima pagina de La Repubblica insiste–come del resto tutti quotidiani di oggi–sulla profonda divisione andata in scena al congresso di Chianciano che si è chiuso ieri sera con l’elezione a sorpresa dell’ex ministro Paolo Ferrero come nuovo segretario del partito.

«L’ex ministro della solidarietà sociale, eletto dal comitato politico con 142 voti a favore e 134 no, ha dunque vinto di misura riuscendo a mettere insieme anche i voti di altre tre mozioni [grassiani, trotzkisti, una frangia di ex bertinottiani], sulla base di un documento politico che mette al primo punto la definitiva ‘chiusura di ogni collaborazione organica con il Pd’, così come era avvenuta ‘nella fallimentare esperienza di governo dell’Unione’.

Si riparte da Rifondazione, stop alla costituente di sinistra e ad ogni ipotesi di scioglimento del partito, alle europee con il simbolo del Prc ma ricercando l’unità con altri soggetti comunisti». E se la scissione non ci sarà, «il congresso consegna di fatto un partito spaccato a metà come una mela, con fortissime tensioni». Per Nichi Vendola infatti la linea di Ferrero non è altro che una «aggregazione politica informe». E aggiunge: «Questo congresso è la fine della storia di Rifondazione, una regressione, ma non un colpo mortale».

Sulle pagine del quotidiano romano, Fausto Bertinotti sfoga la sua amarezza: «Questo non è il partito che conoscevo. E non è la Rifondazione che sognavo». E vengono svelati alcuni retroscena del congresso, come il fatto che sia stato il delegato di Cosenza «a dare la linea» e consigliare a Nichi di rinunciare e ricominciare la battaglia dall’interno del partito. «E se voleva uscire di scena–scrive Umberto Rosso–lo psicodramma l’ha rimesso in pista. La pensione può aspettare. Con due partiti sotto lo stesso tetto, Rifondazione 1 e Rifondazione 2, il suo ruolo torna centrale».

«Sotto il tendone bianco del Palamontepaschi ha prevalso, prima della ragion politica, la voglia irresistibile di regolare i vecchi conti, vestendola magari di altri sentimenti come nella trama di un dramma shakespeariano», scrive ancora Repubblica che aggiunge, «a nulla è servita l’affascinante, poetica e astuta orazione con cui Vendola ha aperto il congresso, indicando al partito la strada di una nuova autonomia, però senza rompere con il Pd e senza rinunciare a cercare alleanze a sinistra, ‘infedele ai richiami della nostalgia e dell’identitarismo’».

«Per un partito nato da una scissione, la vera nemesi storica sarebbe la sua scissione. Invece ci sarà solo una coabitazione tra separati in casa: da una parte Vendola con la sua minoranza del 47,3 per cento–‘il nano più alto del mondo’–dall’altra Ferrero con i comunisti duri e puri, da Cito Maselli al trotzkista Bellotti, che alzano una bandiera ancora più rossa e marciano spediti verso il deserto che li aspetta».

Riccardo Barenghi su La Stampa di oggi scrive: «E’ stato proprio il giustizialismo uno dei punti che ha fortemente spaccato il congresso, con quelli di Vendola che accusavano gli altri di essere dipietristi tanto che erano andati in piazza Navona e gli altri che ribattevano «bisogna stare in tutte le piazze». Ma soprattutto a dividere «vincitori e vinti» secondo Barenghi «sono la cultura politica, le idee su come ricominciare, su come e con chi ricostruire questo pezzo di sinistra». I vincitori, spiega ancora Barenghi «considerano il Pd di Veltroni il nemico principale […] riaprono la questione della Nato, snobbano la politica e si buttano a corpo morto nel cosiddetto sociale», i vinti invece «pur criticandolo aspramente [il Pdndr]» lo ritengono un «interlocutore». Quei vinti–continua ancora Barenghi–che «avevano altre idee, per ora resteranno solo idee».

Ancora La Stampa rileva lo smarrimento di Walter Veltroni che «non se l’aspettava». «Il leader del Pd si è compiaciuto perché la vittoria dei massimalisti dimostra quanto la scelta della separazione consensuale con Rifondazione fosse giusta; dimostra quanto infondata fosse la speranza di D’Alema di ricostituire un’intesa con il Prc, una vastissima coalizione, una Unione-2 da Vendola a Buttiglione. Ma soprattutto–in vista delle temutissime elezioni Europee del 2009–l’arroccamento del Prc apre spazi per provare ad assorbire quella piccola galassia che comprende VErdi, Sinistra democratica, Socialisti», scrive Fabio Martini.

«La battaglia di Rifondazione. Vince Ferrero, ira di vendola». Titola così il Corriere della Sera, che dedica pagina 2 e 3 al congresso di rifondazione. «E Nichi disse: qui c’è da chiamare il 113» è invece il sarcastico titolo dell’articolo di Maria Teresa Meli, tutto dedicato ai commenti dell’area ex-bertinottiana. «Niente ingresso nella segreteria del partito, come confermano sia l’ex-capogruppo Gennaro Migliore che Vendola. In compenso la corrente ha già un nome, Rifondazione per la sinistra [e non è un caso che il termine ‘comunista’ non sia presente in nessuna versione e non ci sia neanche una vaga allusione].

Ha un compito, quello di creare una sorta di partito nel partito: la corrente farà tessere per iscrivere al partito più gente possibile e si doterà, come spiega Vendola, di’di strumenti di lotta politica e d’informazione’», spiega l’articolo. Nella stessa pagina Fabrizio Roncone firma una breve storia delle «faide» all’interno di Rifondazione nei suoi 17 anni di vita «la prima lite fu tra Gravina e Cossutta. Russo Spena: noi in ginocchio a casa di Sergio per convincerlo a venire al congresso», è il sottotitolo. A pagina 2 Angela Scarparo, compagna di Ferrero, lo racconta. Paola Di Caro firma invece un’intervista al senatore Pd Nicola La Torre, che aveva espresso una preferenza per Vendola. «Quel che è veramente grave è che viene negata la possibilità di portare la sinistra radicale in una sinistra di governo.

E questa impostazione pone un problema serio non tanto rispetto all’alleanza con il Pd […] ma rispetto alle esperienze di governo locale». E sul futuro del Pd, ora che rifondazione si è «spostata a sinistra»: «il pd ha, ancora più di prima, la responsabilità di mettere in risalto il carattere riformista della nuova sinistra che rappresentiamo, e che deve allargare il suo raggio di azione. Perché è indubbio che un’area sempre più vasta dal punto di vista sociale che reclamerà rappresentanza sociale al Pd», dice ancora La Torre.

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