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Presentato al festival di Toronto «Death of a President» - L’assassinio di Bush

Publie le venerdì 15 settembre 2006 par Open-Publishing

Bush colpito dal killer in una scena del film Death of a President.

Chi ha ucciso W. Bush?

Code infinite al festival di Toronto per la prima di «Death of a President» dell’inglese Gabriel Range. La pellicola,
che mette in scena l’assassinio di Bush, alterna immagini reali
e di fiction, senza sfociare mai
nel fantapolitco

Giulia D’Agnolo Vallan
Toronto
Code di ore avvitate intorno agli isolati circostanti al Cumberland Theater hanno accolto, martedì mattina, la proiezione stampa/industry di Death of a President o, come indicato nel catalogo del festival, D.O.A.P. la docu-fiction inglese costruita intorno all’assassinio di George W. Bush.

Proiettato per gli addetti ai lavori solo dopo la sua prima mondiale, domenica sera, il film è costato alcuni mal di testa agli organizzatori del festival: incontrato in ascensore, il condirettore Noah Cowan raccontava di non aver ancora finito di rispondere agli attacchi dei media americani per aver preso il film. La coincidenza con le commemorazioni dell’11 settembre - in quest’anno elettorale a un livello di isteria mai visto - ha gettato ancora più benzina sul fuoco...

In realtà, D.O.A.P. è un oggetto meno interessante dell’idea stessa di farlo (e del fenomeno per cui centinaia e centinaia di persone si sono precipitate a vederlo), sia dal punto di vista filmico che politico. Una produzione dell’inglese Film Four (con tutte le caratteristiche dei documentari Bbc - clip di newsreels autentici e ricreati, interviste a funzionari vari) D.O.A.P. è una scommessa che flirta con l’idea dello snuff film (non a caso, in Usa è stato acquistato dalla Newmarket, diventata miliardaria con un altro snuff non riuscito, La passione di Cristo).

L’atmosfera in sala era, all’inizio, piena di curiosità, durante il film ansiosa di farsi qualche risata (ma i clip del presidente americano non si prestavano che a qualche ghigno forzato) e, un’ora e mezza dopo, persino un po’ annoiata. In altre parole, l’idea non va sufficientemente in là: né nell’ambito della satira, né in quello della fantapolitica (George Romero, che tra l’altro sta apprestandosi a girare un nuovo zombie-film qui in città) ne avrebbe fatto un capolavoro.

Ci sono però delle cose curiose. Per esempio le scene di apertura - ambientate il 19 ottobre 2007 a Chicago - che vedono la motorcade presidenziale (diretta allo Sheraton locale dove Bush deve fare un discorso) attaccata da migliaia e migliaia di dimostranti. Manganellate, esplosioni di violenza piuttosto decisa, botte da orbi da parte della polizia, una fuga improvvisata...: la temperatura è quella di un paese in rivolta, incandescente - inevitabile non pensare al teatro degli omicidi dei Kennedy o di Martin Luther King... Questa non è l’opposizione minoritaria di cui riferiscono ogni sera i canali news via cavo - ma parla molto bene della percezione del presidente Usa, specialmente all’estero.

La giornata è raccontata attraverso spezzoni di telegiornali (che includono il vero presidente Bush durante una visita analoga) e commenti (fiction) di chi era con lui quel giorno: una speechwriter, il responsabile della sicurezza... l’Fbi. Alternando «chirurgicamente» immagini di un discorso a beneficio della leadership economico/politica dell’Illinois, e ricostruzioni drammatiche, D.O.A.P., accompagna Bush all’uscita dell’hotel: quando il presidente si accascia colpito dalle pallottole, si tratta ovviamente di un attore, ma fino all’istante precedente i primi piani erano autentici.

L’effetto funziona bene in quanto verisimigliante - è una scena che, nella messa in scena, ricorda un po’ il fallito attentato a Ronald Reagan. Risucchiato immediatamente in un limousine scura Bush viene portato via. Poco dopo sono i telegiornali a annunciare che è morto all’ospedale, mentre l’Fbi spiega il meccanismo delle indagini («in genere, quando si tratta di omicidio, la prima cosa che ci cerca è un motivo», dice il responsabile. «Il problema è che quel giorno a Chicago c’erano quindicimila persone che potenzialmente avevano un motivo»).

Da quello di Reagan sembrano presi anche i clip del funerale di Bush, inclusa l’orazione funebre del suo successore, Dick Cheney. D.O.A.P. continua con l’approvazione di un Patriot Act 3 e con le testimonianze di una donna siriana che racconta di come suo marito sia stato arrestato (e condannato) per l’omicidio grazie e una fragile connection con Al Queda.

Il vero responsabile (nelle parole del figlio ex soldato nel Golfo) si rivela in realtà un veterano afroamericano di Desert Storm, che si è suicidato subito dopo l’attentato. Il siriano innocente però rimane nel braccio della morte. Ma queste sono la parti più scontate di D.O.A.P., tratteggiate superficialmente. E non reggono nemmeno lontanamente il confronto con gli abusi, le menzogne e i sotterfugi a cui questo governo ci ha già abituati. Ben prima del 19 ottobre 2007 e di un Patriot Act numero 3.

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