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Presidenti o movimenti

Publie le mercoledì 28 gennaio 2009 par Open-Publishing

Presidenti o movimenti

di Pablo Stefanoni

Trionfa Morales

Il presidente Evo Morales si è aggiudicato con calma, domenica, il terzo successo consecutivo sull’opposizione in tre anni al potere. Secondo i dati preliminari - stante la lentezza del conteggio ufficiale - il Sì alla nuova costituzione si sarebbe imposto con circa il 60% dei voti. E oltre al testo costituzionale, i boliviani hanno votato perché la proprietà agraria non possa superare i 5.000 ettari, (la misura non sarà retroattiva).

«Oggi, 25 di gennaio del 2009, si rifonda una nuova Bolivia con uguaglianza di opportunità per tutti i suoi abitanti», ha gridato il presidente boliviano dal balcone del Palacio Quemado di La Paz, tre ore dopo l’arrivo dei primi risultati. «Qui finisce il colonialismo, interno ed esterno, qui finisce la svendita del paese. Andiamo di vittoria in vittoria, i vendepatria stanno per essere sconfitti un’altra volta dalla coscienza dei boliviani», ha proseguito di fronte a campesinos, indigeni e impiegati pubblici concentrati in Plaza Murillo.

I canali televisivi - in maggioranza oppositori - hanno dedicato lunghe ore a discutere chi ha vinto e chi ha perso, cercando di allestire una «teoria del pareggio» basata su un dato che ha reso un po’ amara la vittoria della sinistra: secondo i conteggi rapidi, il No alla nuova costituzione si sarebbe imposto nelle regioni autonomiste di Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija, anche se in quest’ultima regione il voto rurale - sempre in base alle stime sui primi conteggi - potrebbe aver costretto l’opposizione al pareggio.

Il preambolo costituzionale dichiara che i più di 400 articoli della nuova magna carta vogliono lasciarsi alle spalle lo stato coloniale e neoliberale, e riconosce l’ispirazione ricevuta dalle guerre del gas e dell’acqua che tra il 2000 e il 2005 provocarono la caduta di diversi governi e aprirono il passo a Evo MOrales. Tra le sue disposizioni, la nuova costituzione instaura uno stato plurinazionale e riconosce alle 36 «nazioni indigene precedenti all’invasione coloniale spagnola» il diritto all’autogoverno, che si traduce nel riconoscimento di usi e costumi come la giustizia comunitaria, che nelle regioni indigene ha pari valore rispetto a quella ordinaria.

Piuttosto nuova è l’inclusione tra i diritti fondamentali dell’accesso all’acqua, all’elettricità, al gas a domicilio e alle telecomunicazioni (uno degli argomenti che portarono alla nazionalizzazione della compagnia telefonica italiana Entel, lo scorso anno). Il testo proibisce inoltre la privatizzazione delle risorse naturali e l’installazione di basi militari straniere, e impone alla proprietà privata di adempiere a una funzione sociale. Tra i punti più polemici c’è la dichiarazione di indipendenza dello stato rispetto alla religione, motivo di una forte offensiva propagandistica dei gruppi cattolici e evangelici. Alcuni dei quali hanno definito il voto come una scelta tra Cristo e Evo.

«Il governo può contare su un vantaggio: mentre il Sì ha una base elettorale compatta, il No è il prodotto di espressioni multiple e disperse dell’opposizione», ha spiegato l’analista di Santa Cruz Reymi Ferreira, contro altri che insistevano a dare una lettura del risultato come una sconfitta del governo. Per lo storico radicale cruceño Alcides Parejas «l’unica spiegazione è che ci sia stata una grande frode elettorale».
In caso di dubbio, l’ex presidente Carlos Mesa - che ha votato No - ha chiarito che l’elezione era nazionale e che la vittoria del Sì permette l’applicazione della nuova costituzione anche se in alcune regioni avesse vinto il No. «I prefetti devono accettare la loro realtà, che è quella di leader locali», ha dichiarato il vicepresidente Alvaro Garcia Linera.

I cruceños hanno festeggiato per le strade la loro vittoria: nella regione il No potrebbe arrivare al 60%. Ma davanti alle grida di «insubordinazione» che i manifestanti hanno strillato nella piazza centrale, il leader dei civicos Branko Marinkovic ha sollecitato a ringoziare la nuova costituzione. «C’è un grande pareggio nazionale, che può essere risolto da un grande accordo nazionale», ha detto Marinkovic, prendendo le distanze da una strategia - come l’assalto violento alle sedi istituzionali dell’anno scorso - che ha indebolito profondamente l’opposizione. Nonostante la nuova Carta introduca autonomie regionali, la classe dirigente locale le considera insufficienti.

Dopo lo schiacciante trionfo di Morales il 10 agosto scorso, in cui riuscì a perforare la «mezzaluna» autonomista e lasciare la destra sull’orlo del ko, i risultati di ieri tornano a mostrare una Bolivia divisa in due. E’ certo che il 40% che si oppone alla nuova costituzione è una porzione minoritaria del paese. Ma questa minoranza nazionale è maggioranza in regioni compatte del territorio boliviano.

Con tutto ciò, la denuncia di frode da parte dell’opposizione mostra la sua impotenza al momento di misurarsi con lo scenario nazionale, e evidenzia la sua difficoltà nel comprendere le dimensioni del «fenomeno Evo» tra gli esclusi. Ma le divisioni non sono solo tra oriente e occidente: exit polls e conteggi rapidi evidenziano una divisione tra campo e città. Nella maggioranza delle nove capitali regionali si è imposto il No: battere sul fatto che la nuova costituzione avrebbe comportato «un razzismo al contrario» ha convinto molti «meticci» a fare quadrato. Al contrario nelle zone rurali le popolazioni più dimenticate ritengono, per la prima volta nella loro storia, di poter essere cittadini di prima categoria, in condizione di uguaglianza con i criollos-meticci.