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Processo g8 Un carabiniere "buono" nella caserma di Bolzaneto
Publie le domenica 20 marzo 2005 par Open-PublishingGenova«Siamo commossi per l’attenzione della questura, ma può
accomodarsi». E’ con queste parole che il giudice Stefano De Matteis
allontana, dall’aula dove a porte chiuse si sta svolgendo l’udienza
preliminare per le violenze nella caserma di Bolzaneto al G8 del luglio
2001, un poliziotto. E’ un agente, mescolato agli avvocati sugli scranni
dell’aula bunker del palazzo di giustizia; De Matteis lo squadra, lo
interroga: «Scusi, ma lei chi è? Un legale?». «No, un poliziotto della
digos, mi ha mandato la questura». Immediato il "cartellino rosso": «Lei
non ha titolo per rimanere qui, si accomodi». Poi l’udienza ha ripreso il
suo corso regolare e si sono concluse le arringhe degli avvocati di parte
civile. Gli avvocati che assistono i no global hanno chiesto il rinvio a
giudizio di tutti gli imputati.
La tesi comune: le violenze all’interno della caserma erano così
generalizzate che funzionari e agenti indagati non potevano non sapere
quello che stava succedendo. Gli episodi denunciati sono stati così tanti,
le occasioni di vessazione e angheria così ripetute e diffuse in tutti gli
spazi della struttura di Bolzaneto, che non è possibile siano sfuggite a
chiunque fosse lì in quei giorni e in quelle ore. Il giudice De Matteis ha
quindi aggiornato l’udienza a giovedì prossimo, 24 marzo, quando
parleranno l’Avvocatura dello Stato e i primi legali della difesa.
L’avvocato Stefano Bigliazzi ha parlato ieri in aula di un carabiniere che
a Bolzaneto «diceva di vergognarsi di essere l’unico vero servitore dello
Stato, lì dentro. Pur avendo avuto l’ordine di far stare in piedi gli
arrestati, permetteva loro di sedersi, e li faceva alzare con un cenno
della mano solo quando arrivava qualcuno, per evitare problemi». E’ un
episodio agli atti processuali (molte arringhe hanno fatto riferimento
alla lunga memoria del pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri
Miniati) e il giovane testimone ha anche ringraziato quel carabiniere per
il suo comportamento in un frangente così complesso.
L’avvocato Fabio Taddei ha ribadito come l’impossibilità per gli avvocati
di parlare con i loro assistiti all’interno della struttura, conseguenza
della decisione dell’allora procuratore capo di differire i colloqui fino
alla traduzione in carcere, abbia aggravato la situazione. «A uno dei miei
assistiti - ha spiegato il legale - è stato detto: ti porteremo in un bel
posto, con tante belle corde appese».




