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di Luciano Muhlbauer
La recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego del 2003 e 2004 non ha ricevuto l’attenzione che merita. Non tanto per quello che dice in sé, poiché interviene esclusivamente sulla sfera di competenza tra legge statale e autonomie locali, bensì per la possibilità offerta di riaprire la questione in relazione alla Finanziaria attualmente in discussione. In questo senso si rischia la classica occasione mancata, rivelatrice però di un problema di fondo che riguarda buona parte sia del sindacato confederale che dell’opposizione politica.
Troppo spesso la critica e il contrasto delle politiche berlusconiane si ferma alla superficie del problema, evitando di fare i conti con il cuore politico e sociale di quelle controriforme strutturali che attraversano litigi e tempeste con sorprendente costanza e coerenza. E le misure contro i dipendenti pubblici, alla pari della "riduzione delle tasse", non sono semplici manovre pre-elettorali o improvvisazioni congiunturali, ma si inscrivono in un disegno strategico ed evocano un progetto di società, dove proprio il rapporto tra pubblico e privato, tra collettivo ed individuale, assume una indubbia centralità.
Ufficialmente il blocco delle assunzioni trova la sua giustificazione nella necessità di ridurre gli sprechi, facendo furbescamente leva sul diffuso luogo comune del dipendente pubblico "fannullone" e di una pubblica amministrazione inefficiente. Ma è davvero così?
Il blocco delle assunzioni nella misura del 50% del turn over disposto a suo tempo per il 2003 e 2004 - giudicato appunto incostituzionale per gli enti locali e la sanità- e quello più radicale, dell’80%, previsto per il triennio 2005-2007 non riguardano affatto l’insieme delle assunzioni operate dalle pubbliche amministrazioni, ma esclusivamente le assunzioni a tempo indeterminato. Ovvero, non ci sono state, né ci saranno, vincoli alle assunzioni precarie, se non quelli parecchio indulgenti dei contratti nazionali, oppure all’affidamento di servizi e settori di attività a società e cooperative private.
Questo significa, qualora il blocco venisse confermato, che degli oltre 300mila posti di lavoro "fissi" che verranno eliminati nel prossimo triennio soltanto una parte si tradurrà in una riduzione effettiva di personale e di spesa, mentre tutto il resto si risolverà in una semplice sostituzione con lavoro precario e privatizzato. Che le cose stiano effettivamente così lo ammette peraltro la stessa Anci che afferma senza tanti giri di parole che agli enti locali "rimane solo la possibilità, senza limiti di alcun genere, di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato".
Insomma, già oggi i lavoratori precari rappresentano nella pubblica amministrazione quasi il 20% del totale, mentre non esistono cifre affidabili rispetto ai lavoratori, il più delle volte precari, dipendenti dalle imprese private che invadono in maniera crescente il campo dell’amministrazione e dei servizi pubblici. E non bisogna essere profeti per capire che il maxi-blocco previsto dalla Finanziaria rappresenterà una formidabile accelerazione dei processi di precarizzazione e di esternalizzazione. Per i dipendenti pubblici, tra i peggio pagati in Europa e tra i più penalizzati dall’erosione del potere d’acquisto, questa Finanziaria ha l’aspetto di una vera è propria spedizione punitiva, visto che aggiunge alla prospettiva della crescente precarietà anche quella del mancato recupero dell’inflazione. Più in generale, per l’insieme dei cittadini e delle cittadine rappresenta la prospettiva di una ulteriore destabilizzazione e dequalificazione del servizio pubblico.
Altro che riduzione degli sprechi e investimento nella qualità! Il blocco del turn over assomiglia piuttosto ad un cavallo di troia dello smantellamento del servizio pubblico. Ce ne sarebbe dunque per aprire una battaglia seria, porre il problema di una vera riqualificazione del servizio pubblico, nel rispetto dei diritti dei cittadini e dei lavoratori. Invece sembra prevalere anche qui una sottovalutazione delle politiche delle destre e una certa subalternità alla loro filosofia liberista, che finiscono per limitare fortemente l’efficacia dell’opposizione, sia sociale che politica.
Occorre davvero darsi un mossa, di fronte ad un centrodestra che avanza cercando di dribblare un giudizio di incostituzionalità, ma capace di produrre iniziativa e senso. Non basta, né sul piano sindacale, né su quello politico, invocare "un po’ di meno" di questo o "un po’ di più" di quello, ma vi è la necessità impellente di indicare una strada diversa, alternativa e credibile. E in questo senso la questione del pubblico e del privato è ineludibile e dirimente.
segr. naz. SinCobas




