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Punk e islamici, la crociata danese
Cosa si nasconde dietro lo sgombero di Copenaghen? Una setta che combatte squatter, musulmani e gay, la battaglia culturale del governo di destra contro il «’68». E i giovani si riprendono le strade
Nikolaj Heltoft
Copenaghen
Prima avamposto del movimento operaio e poi centro sociale, situato nel mezzo del quartiere alternativo di Nørrebro, l’Ungdomshuset è da un quarto di secolo l’epicentro della contestazione giovanile e della protesta sociale a Copenaghen. Oggi la «Casa dei giovani» non esiste più. L’hanno sgomberata e poi demolita senza pietà. Attivisti e simpatizzanti hanno allora deciso di riprendersi le strade della città. Con rabbia.
Il palazzo, costruito nel 1897 dal movimento operaio internazionale, si chiamava originariamente Folkets Hus (Casa del Popolo). Fu lì che nel 1910 la Seconda internazionale e Clara Zetkin proclamarono l’8 marzo la giornata internazionale di lotta delle donne. Anche Vladimir Lenin e Rosa Luxemburg vi tennero conferenze e la grande manifestazione del 1918 contro la disoccupazione, che giunse a occupare la borsa danese, partì proprio da lì. Dopo la seconda guerra mondiale, la Casa fu usata per ospitare profughi tedeschi, ma a mano a mano che il tessuto socialista mutava venne sempre più lasciata a se stessa, fino a essere definitivamente abbandonata negli anni ’60. Rimase chiusa fino a che l’ondata punk non portò un gruppo di giovani squatter del quartiere a occuparla all’interno della campagna per ottenere un centro sociale giovanile autogestito a Copenaghen. Nel 1982 l’allora sindaco Egon Weidekamp destinò la casa a uso giovanile e l’edificio venne ribattezzato Ungdomshuset (Casa dei Giovani). «Loro si prendono la casa e noi otteniamo un po’ di pace», dichiarò il sindaco prima di consegnare le chiavi.
Per più di due decenni, la Ungdomshuset è stata il tempio dell’underground danese e il rifugio per tutti quei ragazzi che non si sentivano accettati altrove. Lenin e Luxemburg lasciarono presto il posto al punk rock e a visioni politiche libertarie che contestavano la minaccia nucleare e rifiutavano la vecchia sinistra in toto. Ungdomshuset era comunque soprattutto giovane. Generazioni di giovanissimi hanno fatto le loro prime esperienze politiche, imparato l’etica del «do it yourself» oppure a suonare la batteria, negli spazi della Ungdomshuset.
La lista di icone pop che hanno fatto concerti alla Casa dei Giovani è lunga. Björk e Nick Cave ci hanno suonato prima che diventassero famosi. E nel 1991 un gruppo teenage punk americano chiamato Green Day suonò nella Casa prima di ottenere successo mondiale. Ma la Casa rimaneva una spina del fianco di molti politici locali di destra; i giovani erano fuori controllo e molte azioni e manifestazioni politiche partivano dalla Ungdomshuset. Per anni i conservatori hanno chiesto lo sgombero, ma dato che il municipio di Copenhagen è ininterrottamente socialdemocratico da 106 anni, ci voleva appunto un socialdemocratico per riuscire a raggiungere l’obiettivo.
E così nel 1999 i socialdemocratici decisero di votare assieme alla destra e di mettere la Casa in vendita a un prezzo notevolmente basso. Un assessore commentò così: «Il prezzo che chiediamo è basso, ma ci stiamo sbarazzando di un problema».
In pochi però erano disposti all’acquisto, e l’offerta di una setta cristiana fondamentalista chiamata Faderhuset (Casa del Padre) fu declinata perché la maggioranza in municipio la considerava «un acquirente poco serio». D’un tratto però spuntò l’offerta di una società per azioni fino ad allora ignota chiamata Human A/S. L’amministratrice, un avvocato di nome Inger Loft, affermò che voleva aiutare i giovani. L’offerta venne accettata e gli occupanti vennero svenduti contro la loro volontà.
Presto si scoprì che la donna aveva avuto una posizione amministrativa in municipio fino a poco tempo prima e si iniziò a sospettare una manovra socialdemocratica. Dopo un anno di silenzio, l’avvocata decise di vendere le azioni della sua società proprio alla setta Faderhuset, guidata dalla pastora Ruth Evensen. Il mistero s’infittì quando si seppe che alla vigilia della vendita alla setta era stato concesso un prestito, con la Casa data in garanzia, dalla «Sarah Lee Jones Corporation», una finanziaria con sede a Panama. Gli investitori della Sarah Lee Jones sono sempre rimasti ignoti. E così la casa finì nelle mani di quei fondamentalisti giudicati inaffidabili.
La setta aveva piani molto chiari. Nella sua concezione di risveglio cristiano, il peccato deve essere combattuto stando sempre all’offensiva. La pastora disse che Dio le era comparso in visione dicendole di comprare Ungdomshuset e di sbarazzarsi dei giovani, di combattere «i musulmani che si stanno impossessando di Copenaghen» e scendere in campo contro l’omosessualità. Anni di proteste, cause, processi, un cambio di amministrazione e una fondazione di avvocati e imprenditori culturali a sostegno della Casa dei Giovani non sono riusciti a impedire lo sgombero, effettuato giovedì mattina da forze speciali del governo. Il comune ha permesso che uno dei centri culturalmente più attivi della capitale cadesse nelle mani di una risma di crociati e non si è degnato neanche di dare ai ragazzi un altro spazio, come aveva originariamente promesso. La sindaca si è limitata a offrire agli occupanti di comprare dal comune una sistemazione alternativa. Prezzo: 1,7 milioni di euro.
Dalla trattativa si è così passati alla lotta. Anche se l’intensità della ribellione urbana di questi giorni ha sorpreso gli stessi attivisti. Ciò che è accaduto giovedì e venerdì notte va ben oltre il classico scontro tra militanti e polizia. La lotta in difesa dell’Ungdomshuset ha assunto un significato ben più vasto di quello di un gruppo di occupanti relativamente isolati che lottano per difendere un centro sociale. La minaccia di sfratto di ampie sezioni della storica città libera di Christiania entro l’anno ha certamente aumentato il livello di tensione e spinto molti più giovani allo scontro con la polizia. La ribellione ha portato allo scoperto un livello di tensione fra i giovani di Copenaghen che va ben oltre la difesa degli spazi occupati. Camminando attraverso le strade di Nørrebro fitte di barricate in fiamme, o attorno a Christiania, non si poteva fare a meno di notare quanto fossero eterogenee le folle che si scontravano con la polizia. Giovedì notte centinaia di ragazzi di origine araba si sono uniti agli scontri, aggiungendo elementi e rivendicazioni loro proprie. Un giovane palestinese, prima di unirsi alla ribellione, ha detto: «Non vi preoccupate, oggi non vanno in cerca di arabi. Stanotte arrestano solo ragazzi bianchi».
A partire dalle elezioni del 2001 che l’hanno portata al potere, la destra al governo ha lanciato una «battaglia culturale» contro la presunta egemonia sessantottina su università e tv nazionali, nonché per discriminare i musulmani in nome dei «nostri valori comuni». Si è trattato di un brusco spostamento dell’asse politico danese. Non solo la Danimarca è diventata arcignamente atlantista, ma la destra ha introdotto il neoconservatorismo culturale all’interno del dibattito politico. Dalla crisi delle vignette su Maometto dell’anno scorso alla più recente e contestatissima «riforma» del welfare, fino ad arrivare a Christiania e Ungdomshuset, si è diffuso fra la gioventù alternativa danese il sentimento di essere di fronte a politiche autoritarie tese all’uniformità culturale. Due giorni fa migliaia di frequentatori dell’Ungdomshuset piangevano nelle strade di Nørrebro, mentre le ruspe guidate da uomini incappucciati sventravano e demolivano l’edificio. Ieri si sono svolte feste e concerti per chiedere un altro spazio autogestito. E sabato tutti gli attivisti d’Europa sono invitati a unirsi a una grande manifestazione pacifica per le strade di Copenaghen.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/07-Marzo-2007/art36.html
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1. Punk e islamici, la crociata danese, 5 aprile 2007, 00:00