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QUANDO LA RABBIA E’ TESTIMONE

Publie le sabato 27 ottobre 2007 par Open-Publishing

‘‘La rabbia’’ era il titolo e rabbia suscitò nei due autori, l’un contro l’altro armati di penna e d’immagini di repertorio come il mondo che narravano. Dove vivevano ideologie opposte e contrapposte che s’erano osteggiate nel conflitto e dopo, creando una nuova guerra. Fredda. In verità Pasolini è più rabbioso di Guareschi per quella sensibilità poetica, umana e ideale che s’indigna davanti a un reazionario noto ma non sospettato di posizioni addirittura razziste. E razzista Guareschi si compiace d’essere quando, in più occasioni del monologo da lui diretto inveisce contro i negri africani mostrandoli come animali con tanto di colonna sonora circense. Due spezzoni d’un’ora circa l’uno, progettati e realizzati nel 1963 autonomamente dai due autori che non vollero sfiorarsi. Poi assemblati e mantenuti, per quanto sembrava che a un tratto Pasolini volesse ritirare la sua firma. I due si scrissero, denunciando ciascuno nella propria missiva l’incomprensione e anche la disistima per l’altro ma restando sul terreno della polemica non dell’invettiva. ‘‘Lei è un borghese di sinistra e come tale conformista’’ chiosava il creatore del Don Camillo. ‘‘Lei è un reazionario e usando le armi della mediocrità, della demagogia del qualunquismo riuscirà vincitore nella disputa - rispondeva il poeta -. Ma qual è la vera vittoria, quella che fa battere le mani o quella che fa battere i cuori?’’

Cuori e mani battevano da entrambe le parti come la passione e l’ideologia. Certo, confrontate su ogni argomento, le posizioni erano opposte e incomunicabili, un vero dialogo fra sordi. Perché sull’oppressione dei popoli africani, i massacri, le torture ai leader come Lumumba ricordate dalle immagini proposte da Pasolini, Guareschi risponde col diritto dei bianchi di sfruttare le colonie. Mostra i francesi - costretti ad abbandonare l’Algeria dopo la lunga lotta di liberazione popolare - quali vittime, parla dei parà torturatori come di difensori della libertà dell’Occidente. Libertà, parola abusata dalle dittature d’ogni colore. E’ lo stesso Pasolini comunista ad ammetterlo ‘‘neri giorni d’Ungheria’’ recita e ricorda come ‘‘le colpe di Stalin sono le nostre colpe’’. Ma in nome della libertà dalla repressione sovietica quanto dolore, quanto disprezzo, quanta violenza alla maniera fascista l’Occidente ha profuso. Mentre Guareschi parla di vendetta del dopoguerra a cominciare da Norimberga per finire al triangolo rosso, vendetta contro i vinti. La giustizia dei vincitori è vendetta? Sicuramente per chi vorrebbe in ogni caso farla franca, passando un colpo di spugna su lugubri eventi come in molti casi è stato.

Scorrono le figure dei giganti del Novecento e quelle anonime del popolo e quando i commenti dicono: ‘‘folla degli anni Sessanta che ha bisogno di religione per espiare le proprie colpe’’ oppure ‘‘l’uomo che è nemico di coloro che vorrebbero arare la terra dove giacciono le ossa dei nostri morti’’ già sappiamo chi la pronuncia. Ma in queste posizioni, che oggi apparirebbero rigide e sorde alle ragioni dell’altro, ci sono credo e coerenza svanite assieme alle tante trasformazioni - antropologiche e non - preconizzate proprio dal poeta. Rivedere la pellicola, restaurata dalla Cineteca di Bologna e presentata ieri alla Festa del Cinema, è una sana immersione in un passato recente che come ogni passo della Storia restituisce agli eventi la comprensione dei perché, evitando le decontestualizzazioni di comodo tanto care a chi racconta un presente senza passato.

Enrico Campofreda, 27 ottobre 2007