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QUEL DOCUMENTO "NASCOSTO" CHE FA TREMARE LE BANCHE EUROPEE

Publie le giovedì 12 febbraio 2009 par Open-Publishing
5 commenti

Un documento segreto di 17 pagine in cui, senza tanti giri di parole, stava scritto che le banche europee sono sedute sopra una montagna di assets tossici quantificabile in oltre 18 trilioni di euro.

È questa l’unica, vera grande novità emersa dal vertice Ecofin di martedì e di cui nessuno ha parlato. Nel dossier, inoltre, si dice chiaramente che se gli Stati tenteranno l’ennesimo salvataggio ricomprando quei titoli spazzatura per ripulire i bilanci, i rischi di default sul debito saranno enormi e potranno gettare l’Unione Europea in uno stato di crisi ancora più profondo di quello attuale. Nel mirino per i rischi di rifinanziamento del debito in caso di un secondo intervento di salvataggio delle banche sono Spagna, Italia, Grecia, Portogallo, Irlanda e Gran Bretagna.

«È essenziale - recita il documento - che il supporto offerto dai governi per garantire sollievo ai bilanci delle banche non sia di scala tale da far crescere preoccupazioni riguardo l’iper-indebitamento o problemi finanziari». Quindi, in entrambe le ipotesi i guai seri sembrano affacciarsi solo ora per l’Europa: se gli Stati staranno attenti al debito come richiesto dall’Ue, le banche presenteranno altri pesanti perdite e svalutazioni. Se invece si farà leva sul debito, il rischio di default statale non sarà più solo una remota ipotesi tecnica. La Commissione Europea ha infatti valutato che gli assets a rischio pesano per il 44% dei bilanci delle banche europee. I cosiddetti strumenti finanziari pesano nei “trading book” delle banche per qualcosa come 13,7 trilioni di euro, l’equivalente del 33% dei bilanci degli istituti di credito dell’Ue.

Oltre a questo ci sono 4,5 trilioni di euro di cosiddetti “available for sale instruments”, pari all’11% dei bilanci delle banche Ue: in totale 18,2 trilioni di assets da eliminare. Inoltre, tutto ciò che finisce nel “trading book” è soggetto alla valutazione mark-to-market, cioè al valore di mercato mentre ciò che va nel “banking book” sono per lo più prestiti o altri assets che le banche pensano di poter portare a maturazione: peccato che tra gli strumenti soggetti al mark-to-market ci siano anche gli “available for sale instruments”, strumenti finanziari poco fa quantificati in 4,5 trilioni di euro.

Il summit Ue di fine febbraio aveva tra le priorità proprio l’indicazione di una modalità condivisa per l’eliminazione degli assets tossici attraverso il loro acquisto da parte degli Stati ma a questo punto il timore si è trasferito sul continuo allargamento dello spread dei titoli di Stato emessi dalle varie nazioni: l’Europa, insomma, si sta sgretolando sotto il peso degli interessi sempre maggiori chiesti per il cosiddetto “rischio paese” e per il debito pubblico ormai fuori controllo di troppi membri. All’Ecofin ne hanno discusso, ma nessuno si è sentito in dovere di dircelo.

Mauro Bottarelli

http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=12342

12.2.2009

Messaggi

  • Non c’é bisogno di far parte di Consessi titolati per prevedere le tempeste finanziarie, occultandole al "popolo bue".
    In data 6 aprile 2008 sul mio Blog www.eugualemcalquadrato.ilcannocchiale.it, io cittadino di strada, stimolato da notizie in anteprima sul Report di Milena Gabanelli osservavo:
    "
    Finanza “locale”

    Report mi informa che la puntata di martedì 8 aprile - su RAI TRE - avrà tema incentrato sulla Finanza esercitata presso gli Enti locali, dal titolo:

    “SPECULANDO S’IMPARA di Stefania Rimini.
    Segue Sinossi:
    Che genere di rischio si sono messi in pancia i nostri Comuni, Province e Regioni sottoscrivendo i contratti derivati?
    Nessuno lo sa, perché il miliardo di perdite registrato dalla Centrale Rischi non considera le operazioni con le banche estere, operazioni che includono i derivati di credito, Credit Default Swap.
    Con i CDS i nostri Enti territoriali si sono messi a fare gli assicuratori delle banche. All’inizio hanno risparmiato, ma l’attuale crisi del credito sta facendo schizzare alle stelle il prezzo di questi strumenti e sta aprendo altrettanti e corrispondenti buchi nel loro valore di mercato.
    Dopo la denuncia dell’ottobre scorso, Report ritorna sul tema con una nuova inchiesta sui derivati venduti agli Enti Locali.
    L’allarme viene dagli analisti finanziari: ci vuole un’azione di “sminamento” perchè molti contratti rischiosi sono ancora in piedi ed esploderanno nei bilanci delle amministrazioni future. Da Piazza San Marco al Monastero di Cassino, dalla Romagna alla Valle d’Itria, ai piccoli Comuni dell’Umbria di 300 abitanti intrappolati con delle rate che non sanno più come pagare: un viaggio nelle operazioni dei nostri amministratori, per scoprire quanto rischia di rimetterci il contribuente e come siamo arrivati a questo. Intanto in Germania ci sono già diverse cause avviate dagli Enti territoriali contro le banche per le perdite da derivati, mentre in Gran Bretagna di derivati gli Enti non ne fanno più uno neanche a morire.
    E da noi, che regole servono per combattere gli abusi ?

    Com’è andata a finire dal titolo “Parzialmente Scremati” di Paolo Mondani.
    Aggiornamento del 29 Febbraio 2004
    L’inchiesta si occupa di aggiornare il cosiddetto caso Cirio: il default che nel 2003 coinvolse la famiglia Cragnotti e portò migliaia di risparmiatori che avevano investito nei bond della Cirio a perdere tutti i loro soldi.”

    La Borsa scotta, va trattata con le molle e da persone esperte, alle quali chiedere i danni di investimenti rischiosi che devono trovare, nell’immediato, copertura nelle tasche dei cittadini che si fidano dei loro amministratori locali. Altro che promesse elettorali, il “giocattolo” è rischioso e gli inesperti non devono poterci giocare; si fanno e ci fanno del male.

    Prepariamoci al peggio anche se a questo non c’è mai fine; mentre la CONSOB ...
    "

  • Quello che sorprende in questa crisi è la cosiddetta "sospensione della credulità" come i bambini in un cartone animato. Sembra incredibile a dirsi ma centinaia di banchieri in tutto il mondo hanno comprato migliaia di miliardi di dollari in titoli di cui non sapevano assolutamente nulla tranne il tasso di interesse particolarmente invitante ed il fatto che avevano la famosa tripla A.Se io accetto un assegno postdatato da un mio cliente lo faccio perchè so che è relativamente affidabile ed ha un conto corrente, magari andrò in banca a chiedere al funzionario amico se il conto ha capienza ma, in generale, so cosa aspettarmi. Le banche di tutto il mondo no,hanno demandato il compito di controllare l’affidabilità di un titolo ad altri: le agenzie di rating, le ormai famigerate agenzie di rating che non negavano la tripla A a niente. Bastava che fosse americano e davano la massima affidabilità come se fosse magico e tutti ci credevano come mio nipote coi Dragonball. Stupisce che dei serissimi banchieri ed assicuratori americani svizzeri,inglesi,francesi ,italiani e chi più ne ha più ne metta vivessero come Alice nel paese delle meraviglie ( e prendessero stipendi per vivere come Sardanapalo) ma è così. Parlavo ieri con un mio amico grosso dirigente di Banca Intesa(neanche se mi portate a Guantanamo dirò il suo nome) e questo mi diceva che la situazione è grave anche perchè nessuno sa dire cosa hanno comprato e quanto realmente vale per cui qualunque valutazione fatta a bilancio è, al minimo, ottimistica. Anche un articolo su un giornale americano qualche giorno fa diceva che neanche i fondi avvoltoio si vogliono avvicinare ai titoli " tossici" perchè nessuno sa cosa rappresentino e quindi cosa valgano.L’unica cosa certa quindi è che c’è un mucchio di carta straccia che non vale assolutamente nulla e che noi cittadini saremo costretti a comprarla a caro prezzo.
    Michele

  • 12 febbraio 2009

    L’America di Obama ce la mette tutta, mentre l’Europa continua a farsi male da sola!

    L’approvazione da parte del Senato di una versione modificata del Piano Obama non ha, ovviamente, messo la parola fine alla telenovela alquanto lunga che sta caratterizzando il primo tentativo del nuovo inquilino della Casa Bianca di mettere in pratica parte del suo programma, ma, e forse soprattutto, il tentativo di non restare imbrigliato da quelli che ha definito in diretta televisiva i soliti giochi di una Washington politica alla quale non si deve essere abituato più di tanto nei soli due anni di esperienza da senatore, una longevità parlamentare veramente effimera alla luce del fatto che è universalmente noto che la camera alta statunitense ha un tasso di ricambio tra i più bassi rispetto alle omologhe istituzioni degli altri paesi maggiormente industrializzati.

    Penso sia totalmente inutile addentrarsi nel merito delle proposte miranti a rendere maggiormente omogenee le due versioni del piano approvate dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato, operazioni certamente indispensabile per giungere a un testo che possa essere portato alla firma del presidente, anche perché l’esperienza insegna che, quando sono al lavoro le diplomazie dei due maggiori partiti americani, è meglio aspettare che si posi la polvere delle discussioni, delle negoziazioni e degli scambi e avere tra le mani il testo definitivo.

    Molti commentatori e analisti più o meno embedded hanno espresso il loro stupore per la reazione molto negativa del mercato finanziario a stelle e strisce rispetto al piano presentato dal nuovo ministro del Tesoro, il giovane ma molto esperto Timothy Geithner, in merito alla non secondaria questione di come verranno utilizzati i secondi e ultimi 350 miliardi di dollari previsti dal TARP, anche perché, grazie a meccanismi moltiplicativi e alla partecipazione prevista da parte dei privati, da fondi per 200 miliardi di dollari dovrebbero scaturire interventi multipli di quasi dieci volte, interventi, peraltro, che sembrano avere, anche per le tecnicalità previste, molto minori probabilità di essere a fondo perduto.

    Molto probabilmente, la reazione che ha affondato martedì l’intera flotta delle entità protagoniste del mercato finanziario statunitense, in particolare le sei maggiori banche sopravvissute ai sempre più alti marosi della tempesta perfetta, ha le sue radici nel fatto che Obama prima e Geithner poi hanno detto a chiare lettere che anche quel meno di un terzo dello stanziamento complessivo destinato a ricapitalizzazioni delle banche non sarà dato senza condizioni molto stringenti sui sistemi di compensation complessiva dei dipendenti di ogni ordine e grado di questi colossi creditizi e sulla stabilità, se non la crescita, degli impieghi in favore delle famiglie e delle imprese, anche perché non è ipotizzabile che la Federal Reserve possa a lungo sostituirsi alle banche come sta, invece, facendo da molti mesi a questa parte!

    Una delle poche critiche condivisibili nei confronti dell’enunciazione delle intenzioni delle autorità monetarie a stelle e strisce è quella che rileva la scarsità dei dettagli su aspetti affatto secondari quali il prezzo al quale verranno acquistati dalla Bad Bank i titoli più o meno tossici della finanza strutturata, prezzi che non possono essere troppo bassi per non dissuadere le banche dal venderli, né troppo alti in quanto, altrimenti, sarà molto difficile coinvolgere finanzieri privati nell’operazione, anche perché è davvero arduo pensare che persone come Buffett, Soros e altri miliardari simpatizzanti del nuovo corso obamiano siano disponibile a partecipare a operazioni destinate a produrre perdite e non profitti.

    La riscossa di ieri delle quotazioni della maggior parte delle banche statunitensi, anche se non del tutto in grado di recuperare appieno le rilevantissime perdite registrate il giorno precedente, nasce dalla constatazione che, in un modo o in un altro, qualcosa come tremila miliardi di dollari sono stati impegnati dal Tesoro e dal Congresso e la gran parte di questi fondi sono aggiuntive rispetto ai 7.600 miliardi già stanziati nei primi diciotto mesi della tempesta perfetta, per non parlare del fatto che buona parte di questi fondi verranno utilizzati per togliere dal groppone delle banche una parte significativa di quella montagna di titoli della finanza strutturata che ancora ingolfano i loro bilanci, una lettura che è rafforzata dal fatto che la parziale riscossa del comparto finanziario non è riuscita a influenzare i tre principali indici di Wall Street.

    Come ho avuto modo di ripetere più volte, gli Stati Uniti d’America, vero epicentro del meltdown finanziario a livello globale, stanno reagendo molto, ma molto meglio dell’Europa alla tempesta perfetta, non solo e non tanto per la vastità dei mezzi finanziari messi in campo con grande determinazione, ma anche perché le ex Investment Banks e le maggiori banche universali sono impegnate nel deleverage e nello smaltimento dei titoli tossici dall’autunno del 2006, un modo di agire molto preveggente che ha visto per molti mesi i maggiori gruppi bancari europei e asiatici nel ruolo di prenditori netti di quei prodotti della finanza strutturata che apparivano allora come galline dalle uova d’oro.

    Ma la vera differenza esistente tra le due sponde dell’Oceano Atlantico risiede nella diversa elasticità dei rispettivi sistemi economici, politici e regolatori, una diversità che non viene certo scoperta oggi, ma che rischia di impedire ai ventisette paesi membri dell’Unione europea, in particolare a quelli di più recente affiliazione che, non a caso, non sono in grado di garantire il passivo delle banche e tra le banche al pari di quanto hanno fatto i paesi fondatori e la Gran Bretagna, una differenza a sua volta rilevante e che difficilmente potrà essere sanata nel prossimo vertice straordinario dei capi di Stato e di governo, né credo che l’intesa franco-tedesca preveda qualcosa in questa direzione.

    Così come non è del tutto un caso che l’intervento congiunto dei governi del Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo per evitare il fallimento di Fortis sia stato respinto dall’assemblea degli azionisti, apparentemente incuranti dell’ipotesi quasi certa del fallimento del gruppo bancario e assicurativo!

    Marco Sarli

    http://diariodellacrisi.blogspot.com/2009/02/lamerica-ce-la-mette-tutta-leuropa.html

  • La prova di questa totale e criminale deresponsabilizzazione dei vertici bancari è il tasso euribor. Tutti sanno che l’euribor è il tasso a cui le banche fanno riferimento per prestarsi danaro le une con le altre ed ora è all’1,60% da oltre il 5% di pochi mesi fa, perchè? Perchè lo stato ha detto alle banche che qualunque debito abbiano se ne assume la responsabilità di ripagarlo ed ecco che hanno ripreso l’allegro andazzo di non pensare alle conseguenze delle loro azioni. Ma come, dopo che le banche ci hanno tosato i risparmi con titoli di cui sapevano solo quanto avrebbero incassato di commissione(persino il 30% di commissione contro lo lo 0,10% dei bot), dopo aver distrutto fette enormi di risparmio pubblico, dopo aver gettato il mondo nel caos, dobbiamo "intervenire" a salvare le banche ed i banchieri qualunque cosa facciano ed a chiunque prestino ora? Non ieri, ora cioè persino se continuassero a fare cazzate noi contribuenti dobbiamo "intervenire"coi nostri soldini per salvare il loro stato di vita degni di imperatori romani!!!!!!!!!