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QUIRINALE: BERLUSCONI, NON PAGHEREMO LE TASSE

Publie le domenica 7 maggio 2006 par Open-Publishing
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Milano, 12:53 www.repubblica.it 7.5.06

"Se non saremo rappresentati non accetteremo di pagare le tasse". Lo ha detto il leader della Cdl Silvio Berlusconi parlando alla convention di Milano per Moratti sindaco, riferendosi alla successione di Ciampi.

"Useremo tutto cio’ che loro ci hanno insegnato - ha proseguito Berlusconi - e se non saremo garantiti sapremo fare anche noi lo sciopero, uno sciopero fiscale o ostruzione in parlamento".

Il discorso di Berlusconi, spesso interrotto da cori di "forza Silvio", non lascia dubbi sul Quirinale.

"Vogliamo un presidente che ci lasci tranquilli. Che sia garante anche della nostra parte".

Messaggi

  • QUESTI LO SCIOPERO DEL FISCO LO FANNO DA UN PEZZO !

    Anche io penso che dietro le sparate di Berluskaiser ci sia una sceneggiata ad uso e consumo dei polli che l’ hanno votato e che invece anche lui stia lavorando di fatto per l’ ipotesi D’Alema, come dichiarato da Scalfari, Capezzone, Confalonieri, Ferrara, Kossiga e molti altri.

    Però, parlando del minacciato "sciopero del fisco", questo è oggettivamente in corso da anni, come dimostra il seguente articolo del "Messaggero" di ieri .....

    Sabato 6 Maggio 2006

    Le Fiamme Gialle hanno impiegato 140 pattuglie per ispezionare 570 locali. Trovate irregolarità nel 47,3%

    La Finanza nei negozi: metà evade le tasse

    Un commerciante romano su due non è in regola. E’ la sintesi del nuovo blitz dei finanzieri del comando provinciale di Roma. Su 570 esercizi controllati in tutti i municipi della Città 270 (pari al 47,3%) hanno fatto registrare irregolarità. La maggior parte evadeva parzialmente o totalmente le tasse, altri invece si servivano di personale “in nero”.

    Dopo l’operazione effettuata nello scorso febbraio che assestava le irregolarità intorno al 41,3%, nei giorni scorsi 140 pattuglie del comando provinciale della guardia di finanza, agli ordini del colonnello Giuseppe Zafarana, hanno setacciato la Capitale. Tra le attività ispezionate, spiegano le Fiamme Gialle, i bar e caffè hanno fatto registrare irregolarità per il 15,5%, i ristoranti e pizzerie per l’11,8%, gli ambulanti di frutta e verdura il per 10,4%, i fiorai per il 10,4%, gli ambulanti di alimentari e bevande per l’8,7%, mentre l’abbigliamento e le pasticcerie si sono attestati intorno al 7,9%.

    L’operazione della guardia di finanza è stata organizzata e condotta nell’ottica di non limitare l’azione di controllo al solo aspetto fiscale, ma si è estesa sul versante del «lavoro nero», che ha dato esiti significativi, soprattutto sul fronte dell’immigrazione clandestina. Su 200 esercizi, circa il 42,5% sfruttava manodopera irregolarmente assunta, per un totale di 85 dipendenti.

    Quindici «irregolari» perché, anche se assunti, risultavano impiegati a tempo pieno anziché part-time con la conseguente evasione dei contributi previdenziali e assistenziali. Settanta, invece, erano completamente «in nero». Tra questi ultimi, quindici lavoratori erano anche immigrati clandestini per i quali sono state avviate le procedure di rimpatrio, deferendo all’autorità giudiziaria i titolari dei relativi esercizi commerciali. «I trucchi sono sempre i soliti - spiega il capitano provinciale della Guardia di finanza, Vincenzo Di Pietro - Invece di rilasciare degli scontrini fiscali venivano consegnati ai clienti le stampate delle bilance o quelle di calcolatrici che non hanno alcun valore fiscale. In un paio di casi ci siamo trovati di fronte ad attività commerciali che erano evasori totali».

    Sorpreso e perplesso il presidente della Confcommercio Roma: «Siamo i primi ad essere contro chi non rispetta le regole perché pratica una concorrenza sleale - commenta Cesare Pambianchi - Mi piacerebbe però sapere il vero peso di queste irregolarità perché sono numeri che non ci risultano. Non vorrei che queste retate siano figlie di una necessità di dimostrare la propria presenza sul territorio. Chiederò un incontro al comandante Zafarana. Così si danneggia l’immagine di tutta la categoria».

    D.Des.

    www.ilmessaggero.it

  • 12:30 Capezzone: "Sempre più chiaro asse Berlusconi-D’Alema"

    "E’ l’ora di svelare un gioco opaco che è in corso: Silvio Berlusconi sta ingannando i suoi elettori perché, al di là delle urla e degli strepiti (che ci sono stati in passato sui ’comunisti mangiatori di bambini’, e proseguiranno ora con il ’regime comunista’ che occupa tutte le ’casematte’...), il leader della Cdl sta lavorando alacremente affinché D’Alema sia eletto". Lo ha detto l’esponente della Rosa nel pugno Daniele Capezzone. "L’asse tra i due - ha aggiunto - è sempre più chiaro: D’Alema e i Ds lavorano per evitare che emerga qualunque altra candidatura, mentre Berlusconi è pronto a fare muro contro ogni altra soluzione".

    14:41 Cossiga: "Parole Berlusconi su Amato aiutano D’Alema"

    "Escludendo quello che si riteneva essere il candidato più vicino al centrodestra, ovvero Giuliano Amato, Berlusconi oggettivamente aiuta Massimo D’Alema provocando il ricompattamento dell’Unione su di lui". Lo afferma il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. "Com’è noto, D’Alema - aggiunge Cossiga - non è il mio candidato ma lo voterò ".

    QUIRINALE: CONFALONIERI, D’ALEMA MOLTO INTELLIGENTE E SIMILE A BERLUSCONI
    OSPITE DA FAZIO, ’NON SO SE SAREBBERO CONTENTI DEL PARAGONE...’

    Roma, 6 mag. (Adnkronos)- ’’Non ho detto proprio che D’Alema andrebbe bene al Quirinale. Da uomo della strada considero D’Alema una persona molto intelligente. E poi e’ molto simile al Cavaliere...non so quanto sarebbero contenti di questo paragone ma entrambi non fanno bizantinismi. Se devono dare un giudizio tagliente, lo danno’’. Cosi’ il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, si e’ espresso sulla candidatura alla Presidenza della Repubblica di Massimo D’Alema, intervistato da Fabio Fazio nella puntata di questa sera di ’Che tempo che fa’ su Raitre. Incalzato da Fazio su chi la spuntera’ per il Colle, Confalonieri hatagliato corto: ’’e’ una cosa che si decide nelle stanze segrete. E’ una scelta che coinvolge molti alleati...’’. Quanto a D’Alema, Confalonieri ha ricordato di ritenerlo ’’un uomo di parola’’, perche’ nella campagna elettorale del ’96 ’’venne a Mediaset a dire che eravamo un patrimonio del Paese e che non saremmo stati toccati in caso di vittoria del centrosinistra, e cosi’ e’ stato. Adesso leggo e sento dire che dovremmo dimagrire’’- ha aggiunto Confalonieri riferendosi alle dichiarazioni di Fausto Bertinotti.

    Dalla Bindi a Ferrara, i «dalemiani» non si arrendono

    ROMA — Quella strana «alleanza» che va da Nicola Latorre a Giuliano Ferrara, passando per Rosy Bindi, Vittorio Feltri e due ex Potop come Lanfranco Pace e Oreste Scalzone, barcolla ma non molla. Per loro il candidato ideale per il Colle (o, visto da destra, la «disgrazia accettabile») resta sempre Massimo D’Alema, anche dopo la nota ufficiale con cui Berlusconi ha proposto il Ciampi bis.

    Ferrara, che sul Foglio ha lanciato con un pizzico di malizia la candidatura di D’Alema come la «Grande Sorpresa Politica» della legislatura, è spiazzato eppure non si arrende. Lunedì, nell’editoriale dal titolo «Il pensiero con i baffi che tormenta Berlusconi», spiegava perché l’ormai ex premier dovrebbe avere tutto l’interesse a sponsorizzare uno «autonomo» come D’Alema e ora deve illustrare ai suoi lettori il fascino di un secondo mandato di Ciampi: «È una soluzione istituzionale decente, un rinvio illustre. Se invece si passa dalle schermaglie al negoziato politico concreto, restiamo della nostra idea».

    L’idea dei foglianti, che ha sedotto Piero Ostellino, Carlo Rossella, Giano Accame e tanti altri, è che la candidatura di D’Alema sia l’alternativa allo stallo politico, una cosa che spariglia, una salvifica anomalia. Come scrive Lanfranco Pace, «o D’Alema o moriamo di pizzichi». E poi, chi meglio di colui che aprì al dialogo con la Bicamerale farebbe dormire a Berlusconi sonni tranquilli?

    Vittorio Feltri lo scrive candidamente su Libero:
    «L’ex comunistone sarebbe il miglior garante per Silvio. Al Polo conviene puntare sull’ipotesi peggiore per il futuro di Mortadella: Baffino». D’Alema, va avanti Feltri, «è di una antipatia sconfinata, è saccente però non è cretino. E con chi non è cretino si può trattare. Se Forza Italia intuisce l’affare non si tira indietro». Ora però gli azzurri invocano Ciampi... «Io non lo reggo — confessa il direttore di Libero —. Non lo voterei mai e penso che per Berlusconi sia meglio dialogare con D’Alema che con Ciampi. Adesso il rischio è che il presidente rifiuti e a quel punto per la sinistra non resta che D’Alema». E se non ce la facesse? «Sarebbe un colpo mortale per lui, ma non credo che i Ds vorranno far fuori uno dei pochi cavalli di razza».
    Il timore di «bruciare» il presidente della Quercia è il tormento dei dalemiani, cui certo non sfugge quella punta di perfidia con cui, da destra, va di moda sostenere il lider Maximo.

    «Non mi risulta che esista la formalizzazione di alcuna candidatura dell’onorevole D’Alema» frena infatti il fedelissimo Nicola Latorre, che però aggiunge: «Ciampi è stato un grande presidente, ma non va tirato per la giacca». E poi «c’è da capire se lui è d’accordo» dice Anna Finocchiaro, secondo cui «l’ipotesi D’Alema resta in campo». Rosy Bindi, che è stata tra i primi a sinistra a lanciare la candidatura di D’Alema, rimane della sua idea anche dopo la mossa «strumentale» di Berlusconi: «Ritengo Ciampi una proposta degnissima, ma per rispetto alla sua persona credo si debba cercare un’altra soluzione». Quanto a D’Alema, per la pasionaria della Margherita «rimane una via assolutamente percorribile». Lo pensava, fino a ieri, anche il leghista Roberto Maroni, che rimpiange i tempi delle sardine con Bossi: «Se andasse sul Colle non scapperei in Svizzera».

    A Peppino Caldarola non sfugge quel po’ di perfidia che lega le lusinghe di tanti nel centrodestra, ma il deputato ds ci vede anche la voglia di un ritorno alla politica: «La Cdl sa che con D’Alema si può dialogare». Se però la proposta di Berlusconi è vera cambia tutto, conclude l’ex direttore dell’Unità, «perché il tema D’Alema non può esistere in contrapposizione a Ciampi».

    Monica Guerzoni www.corriere.it
    03 maggio 2006

    • Commedia all’italiana di pessima fattura

      by Eugenio Scalfari www.repubblica.it 7.5.06

      Sia a sinistra sia a destra si cerca e si vuole un presidente della Repubblica gradito alle due parti in causa. Questo è bene. Il Capo dello Stato rappresenta la nazione nella sua unità e non può essere espressione d’una sola forza politica. Infatti, non appena eletto e quali che siano la sua biografia, la sua cultura, le sue convinzioni, egli si affretta a porsi al di sopra delle parti e proclamare la sua autonomia nei confronti di chiunque. Così è sempre stato, almeno a parole. Talvolta anche nei fatti.

      Non è però quasi mai accaduto nei 60 anni della nostra storia repubblicana che al Quirinale sia andato un uomo scelto al di fuori del Parlamento e dei partiti che vi sono rappresentati. Gronchi era democristiano e leader d’una delle correnti di quel partito. Così pure Antonio Segni.

      Così Cossiga. Leone fu utilizzato da tutti i democristiani che volevano bloccare l’ascesa di Moro. Saragat era fondatore e capo dei socialdemocratici e si contrappose a Nenni. Pertini, socialista e partigiano, fu di fatto candidato dal Pci. Scalfaro fu scelto per superare lo stallo tra Forlani e Andreotti. Dunque tutti uomini di partito e di lunga militanza.

      Restano il primo e l’ultimo di questa cronologia: Einaudi e Ciampi. Provenienti entrambi dalla Banca d’Italia. Ma Einaudi era, con Benedetto Croce, uno dei massimi esponenti del liberalismo e del partito che ne era l’espressione. È rimasto celebre anche per aver nominato presidente del Consiglio Pella senza neppure aver consultato i presidenti delle Camere, attenendosi alla lettera della Costituzione ma scavalcando il rito delle consultazioni.

      Perciò, a ben guardare, l’unico esempio d’un presidente scelto al di fuori dei partiti e dello stesso Parlamento è stato Carlo Azeglio Ciampi. Dal punto di vista dell’arbitro imparziale e garante della Costituzione, così come è concepito nella nostra architettura istituzionale, è stato certamente quello che meglio di tutti ha rappresentato la nostra massima autorità di garanzia.

      Si è parlato molto in questi giorni a proposito dei modi della sua elezione, di metodo Ciampi. Se ne è parlato in maniera imprecisa e spesso con lingue biforcute. La sua candidatura fu proposta da Veltroni, allora segretario del Pds, a Fini il quale convinse Berlusconi mandando a gambe all’aria un’intesa precedentemente intercorsa tra D’Alema (allora presidente del Consiglio) Marini e lo stesso Berlusconi sul nome della Russo Iervolino. Da due manovre incrociate e condotte all’insaputa dell’interessato che a tutto pensava fuorché a ricoprire la massima carica dello Stato, nacque la migliore e oggi giustamente rimpianta presidenza che la Repubblica abbia avuto nei 60 anni della sua storia.

      In questi sessant’anni le maggiori forze politiche hanno avuto accesso a quella carica, vi si sono anche succeduti cattolici professi e laici. Ma mai una donna e mai un comunista. Dal 1989, caduta del Muro e fine del Pci, sono passati diciassette anni e si sono succeduti tre presidenti della Repubblica ma ancora nessun ex o post comunista è mai stato insediato al Quirinale. Il presidente del Consiglio uscente ha condotto l’intera sua campagna elettorale all’insegna dell’anti-comunismo (che non c’è più) e ancora due giorni fa comiziando a Napoli ha confermato che mai e poi mai "un comunista" varcherà quella soglia. Si riferiva a D’Alema, proprio mentre molti dei suoi collaboratori e consiglieri si affrettavano a smentire ogni discriminazione e alcuni di essi tifavano e tifano in favore del leader dei Ds.

      Qual è dunque, in questo guazzabuglio, la reale posizione di Silvio Berlusconi e del partito di sua proprietà che ha raccolto e quindi rappresenta il 24 per cento del corpo elettorale (9 milioni di italiani su 36 milioni di votanti)?

      Se capisco bene (ma posso anche sbagliarmi) Berlusconi e Forza Italia si sono rassegnati a D’Alema presidente della Repubblica; alcuni di loro addirittura pensano che quella sia la soluzione ottimale. Però non sono in grado di votarla. Si augurano che il centrosinistra lo voti compattamente. Lo elegga con i propri voti che, dalla quarta votazione, sono - almeno sulla carta - ampiamente sufficienti: 547, quarantuno in più del quorum di 506 necessario per l’elezione.

      Poi, una volta eletto, Forza Italia e Berlusconi lo riconosceranno e lanceranno più di un ponte nei suoi confronti. E la discriminazione anticomunista sarà superata una volta per tutte. Capitolo chiuso.

      * * *
      A questo schema, allo stato attuale delle cose, si oppongono tenacemente Fini e soprattutto Casini. Casini punta alla fine del berlusconismo. Una presidenza D’Alema favorita o non ostacolata da Berlusconi avrebbe come effetto un consolidamento del Cavaliere alla guida dell’opposizione rinviando a babbo morto i progetti successori dei suoi alleati. La Lega viceversa è sulla scia berlusconiana o addirittura lo precede.

      Andrà così? La cartina di tornasole, che dovrebbe rivelarci l’esito di questa complessa partita entro poche ore, sta nella risposta che Berlusconi darà alla candidatura D’Alema quando (e se) gli sarà ufficialmente proposta.

      Se risponderà rifiutandola e controproponendo il nome di Letta o di un "esterno" tipo Mario Monti, vorrà dire che Berlusconi non ostacola l’elezione di D’Alema. Sembra un paradosso ma è esattamente così. Oppure il Cavaliere e tutti i suoi alleati sceglieranno un nome all’interno del centrosinistra, per esempio Giuliano Amato o Giorgio Napolitano. In quel caso ci sarà la "larga intesa" e il candidato potrebbe addirittura essere eletto in prima o seconda votazione.

      Ma, dettaglio non piccolo, affinché questa evoluzione sia possibile è necessario che il centrosinistra presenti una rosa di candidature e non un solo nome.
      Quanto all’ipotesi che la Cdl accetti la candidatura di D’Alema e la voti fin dall’inizio, si tratta d’una soluzione poco probabile ma non impossibile.
      In fondo il Cavaliere è anche celebre per i suoi improvvisi capovolgimenti di fronte.

      * * *
      Fin qui ci siamo occupati di come si stanno predisponendo i pezzi sulla scacchiera del centrodestra. Ma vediamo che cosa avviene nel frattempo nell’opposto schieramento.
      D’Alema. Vuole, per sé e per il suo partito, il Quirinale.
      Non ne fa mistero. Ritiene che l’intera coalizione debba votarlo. Conosce la posizione di Berlusconi. Non dispera che qualche drappello di parlamentari berlusconiani nel segreto dell’urna si unisca alla sua maggioranza e serva a rimpiazzare qualche dissidente di casa propria (per esempio i radicali). Tutta la strategia, sua e di Fassino, è concentrata nell’evitare candidature plurime. In più, per vincere l’ostilità e la perplessità degli interlocutori, Fassino propone un programma di politica costituzionale condivisibile con il centrodestra.

      Sarebbe una novità assoluta. In sessant’anni non c’è mai stato un candidato al Quirinale che abbia preventivamente (ma neppure successivamente) assunto impegni d’alcun genere salvo il rispetto della Costituzione.

      Fassino ha dato atto (in un’intervista al Foglio, accanito sostenitore di D’Alema) che l’idea d’un programma di politica costituzionale sarebbe un fatto profondamente innovativo e anche traumatico ma lo ritiene giustificato dalla divisione in due metà del corpo elettorale e dal fatto che un sistema bipolare richiede profonde innovazioni istituzionali che finora non ci sono state.

      Prodi. Segue con apparente distacco questa partita. Lo interessa soprattutto che essa non finisca per coinvolgere e sconvolgere la partita del governo, che avrebbe dovuto precedere e non seguire l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Preferirebbe avere D’Alema nel governo e non al Quirinale, ma non ne fa una tragedia. Fassino lo ha avvertito che comunque al Quirinale dovrà andare un Ds altrimenti liberi tutti. Siamo dunque, per quanto riguarda Prodi, nello stato di necessità.

      Rutelli. Si è opposto all’ipotesi di più candidature ed è pronto a votare D’Alema se altri nomi fossero rifiutati o non fatti.

      Le altre forze del centrosinistra attendono che la partita si sviluppi. Non hanno molto spazio per impostare un proprio gioco al di là di piccoli dispetti tattici.

      * * *
      Sia permesso chiudere questa analisi esprimendo un parere personale che deriva da quello che, secondo noi, è l’interesse generale degli italiani. Lo farò per punti per essere il più chiaro possibile.

      1. Pensare che le divisioni del corpo elettorale siano ricucite o permangano secondo la persona che sarà eletta al Quirinale è un errore. La gara può affascinare la fantasia, ma ripartire insieme, come si augura Prodi, deriva da quella che sarà in concreto l’azione di governo, non dall’accordo o dal disaccordo tra il centrosinistra e Berlusconi sul nome del nuovo Capo dello Stato. Sono in gioco aspettative e interessi. Anche speranze, anche valori. In fondo il programma costituzionale proposto da Fassino è esattamente quello perseguito da Ciampi per sette anni, che purtroppo però non ha evitato la divisione in due metà del corpo elettorale.

      2. È augurabile che al Quirinale sia eletta una personalità col maggior numero di consensi possibile. Dico possibile. Altrimenti bisognerà fare di necessità virtù e contentarsi di varcare la soglia dei 506 voti. E procedere alla formazione del governo.

      3. Quello che certamente non si può fare (che purtroppo si è in parte già fatto, come risulta dalla grottesca sequenza di comunicati seguiti all’incontro tra Gianni Letta e Ricky Levi) è di abbozzare una sorta di patto segreto tra i due maggiori contraenti al di fuori di quella trasparenza che viene invocata a parole e regolarmente tradita nei fatti.

      4. Una lotta intestina nel centrosinistra è ipotesi da scongiurare a tutti i costi. Dopo una brutta campagna elettorale dividersi nel finale sarebbe catastrofico.

      5. Qualora l’ipotesi dovesse affacciarsi all’orizzonte occorrerebbe che i candidati in lizza facessero un passo indietro, come ha già fatto D’Alema di fronte alla candidatura di Bertinotti alla Camera. Passo indietro meritorio; non è detto che debba sempre esser lui a farlo anche se non è escluso che quest’onere ricada di nuovo sulle sue spalle. I veri statisti si vedono in queste occasioni, sia nel pretendere sia nel lasciare.

      6. Ci vorrebbe un uomo come Ciampi. Ma non c’è. Mario Monti è sul mercato da troppo tempo e non somiglia affatto a Ciampi. Si sente en réserve de la République da almeno tre anni. Forse è meglio che ci resti. I terzisti non sono al di sopra delle parti, sono dalla parte propria. Non è la stessa cosa.

      7. Quando finalmente Romano Prodi riceverà l’incarico è auspicabile che componga il ministero attuando pienamente il dettato costituzionale. Prenda nota delle aspettative dei partiti ma proceda decidendo da solo la composizione del suo governo. Certe inclusioni e certe esclusioni sussurrate nei giorni scorsi appartengono ai riti della lottizzazione e non sono più tollerabili. Vale per il governo, per la Rai, in generale per lo spoils system. Lo Stato è lo Stato ed è o dovrebbe essere degli italiani. Da questo punto di vista Prodi ha una grande responsabilità. Non si chiuda e non si faccia chiudere nell’orticello partitocratico. E neppure nell’orticello prodiano. Veda di mettere la persona giusta al posto giusto e su questo sarà giudicato.
      La partita comincia domani. Speriamo che non sia lunga, sarebbe un pessimo segnale. A tutti noi spettatori auguro buona visione pur avendo scarse speranze sulla qualità della medesima.

      (7 maggio 2006)

    • Ma di quale sciopero fiscale si parla se meta’ dei commercianti evade le tasse? Se e’ fuori regola 1 su 2! Come minimo essi hanno personale in nero, nel totale fallimento della strombettata campagna di FI contro il lavoro nero. Ora B ci vuol far credere che i commercianti evadono le tasse “per motivi politici”? E’ anche peggio della Chiesa che si approprio’ dell’astensionismo al referendum!
      Ci sono persino evasori totali. Ma perche’ non chiudere loro l’esercisio in tronco per inettitudine amministrativa? Perche’ non procedere a massicce assunzioni di Fiamme Gialle pagandole con le percentuali di multe brucianti? E perche’ non il carcere, all’americana?
      Il presidente della Confcommercio protesta: “Così si danneggia l’immagine di tutta la categoria». I clienti pensano che e’ da un pezzo che la categoria si e’ infamata da sola.
      Il governo B di sparate propagandistiche ne ha fatte tante, ma sul piano fiscale ha solo incentivato l’evasione, al punto che, alla fine, l’imponibile occulto e’ pari ad un terzo dell’intero Pil e l’imposta evasa supera i 200 miliardi di € (400 mila miliardi delle vecchie lire), una evasione spudorata che riduce le risorse necessarie allo sviluppo del Paese e aumenta la pressione fiscale sugli onesti che non evadono.
      Nel 2004 il Censis avvertiva che le irregolarita’ di impresa (dal sommerso totale all’evasione sistematica) erano del 53%, di domanda: come puo’ reggere un’economia che ha un sommerso del 40%? Ma B se ne rallegra: "Smettiamola di preoccuparci cosi’ tanto per l’economia italiana- disse- abbiamo un sommerso del 40% , vi sembra che la nostra economia non tenga? Ma andiamo... " Altro che minaccia cinese!? La minaccia ce l’abbiamo in casa quando si inaugura l’era del condono permanente e si mandano al potere i macro-violatori della legge!
      Nel 2002 per gli esuberi della FIAT B ebbe a dire che “potevano trovare un 2° lavoro magari non ufficiale.” Certo con piu’ di 22 condoni (fiscali, tributari, previdenziali e edilizi) e’ difficile indicare la retta via! Nel 2004 dichiaro’: “Se lo Stato ti chiede più di un terzo di quello che guadagni c’e’ una sopraffazione nei tuoi confronti e allora ti ingegni a trovare sistemi elusivi o addirittura evasivi, ma in sintonia con il tuo intimo sentimento di moralita’”. L’intimo sentimento di moralita’ di B lo abbiamo visto !? La Cirielli ha addirittura accorciato i termini di prescrizione da 10 a 6 per emissione di fatture false, il che, conoscendo gli ingorghi dei tribunali, equivale a una sanatoria. Poi non ci si puo’ lamentare se il gettito in 5 anni crolla dal 42.1% del Pil al 40.9. E la Lega ci mette del suo nell’elogiare l’evasione ingiusta contro “Roma ladrona”, con tasse viste come “gabelle estorte a uno Stato inefficiente e sprecone”!
      Le recenti promesse elettorali di esenzione Ici e nettezza hanno mostrato su che china siamo. A Londra chi abita in una zona, sia egli inquilino o padrone, paga una tassa locale, che per una casa di 70 mq a 30 minuti dal centro ammonta a 1500 pound l’anno, 4 milioni e mezzo di lire!! Da noi promettendo l’evasione dall’Ici si conquista voti!
      Chi fomenta l’evasione fiscale non avra’ poi i soldi per pagare sanita’, scuola, polizia, giustizia, infrastrutture.. Sgomenta che gli italiani siano cosi’ sciocchi da non capirlo. Cittadini seri di un paese serio dovrebbero scendere in piazza “contro” i condoni che minano alla base la solidita’ di uno stato, guardandoli come atti di aggressione interna.
      In USA l’evasione fiscale e’ punita per quello che e’: un furto, che danneggia la collettivita’, un reato federale per cui si va in galera, perche’ chi vive in un paese deve contribuire ai servizi di cui usufruisce. Gli italiani invece credono sia meglio coltivare l’evasione, la violazione di legge, il comportamento spregiudicato, le sporche raccomandazioni, l’idiota mancanza di senso civico, gli astuti clientelismi, le consolidate lottizzazioni, gli scambi tra diritti e favori, i triccheballacche.. operazioni indecenti che portano alla bancarotta dello stato, risolvendosi nel danno di tutti. Cosi’ quello che altrove e’ un reato d anoi e’ un precetto e ci sono anche governanti cosi’ biechi da specularci sopra e da farne materia di propaganda, nella dissoluzione di quei legami che di una massa fanno un popolo e di una terra uno stato.
      Uno stato in deficit e’ uno stato che non funziona e che non puo’ razionalizzare i suoi conti, e’ uno stato ingiusto e fallimentare. Ma chi e’ piu’ pericoloso? Chi fuma uno spinello o chi manda in bancarotta un paese? Le regole sono il fondamento di una societa’. Le regole possono essere migliorate e rese piu’ efficienti ed eque, ma chi distrugge la regole distrugge la societa’ e dovrebbe essere trattato come nemico sociale. In USA l’evasione e’ colpita da un tabu’ “morale”. Da noi e’ un atto di utile furberia, predicato dall’alto! E’ il rovesciamento di ogni senso dello stato. Il senso di solidarieta’ nazionale di un Paese e’ ricavabile dall’ adempimento ai doveri fiscali. E’ li’ che si vede la maturita’ del cittadino, in quanto partecipe alle spese per i servizi pubblici e in quanto rispettoso di chi le tasse non puo’ evaderle. Ma un popolo puo’ essere educato al rispetto della legge come alla sua violazione, al senso della collettivita’ o alla difesa anche illegale del piccolo egoismo. Per questo la legalita’ si associa all’evoluzione e capi come B risultano fortemente deleteri, proprio in quanto immorali.
      In Usa ci si preoccupa perche’ l’evasione, malgrado tutto, si attesta attorno al 9%, da noi ci si rallegra che sia del 22.
      Uno stato efficiente che fa pagare le tasse a tutti puo’ fare molto: abbassare le accise sul petrolio, creando maggiore agilita’ economica, ridurre le tasse su imprese e famiglie con un respiro generale, tenere l’economia pulita da reati finanziari, usare rigide pene fiscali per combattere le mafia (“ Dal 92 al 94, di fronte ad un presumibile giro di affari di circa 70.000 miliardi, sono stati sequestrati beni per 6.000 miliardi e confiscati beni per soli 700 miliardi, solo l’1 per mille del giro di affari della mafia! Ridicolo! L’impoverimento della mafia e’ obiettivo essenziale: un mafioso impoverito in liberta’ e’ meno pericoloso di un mafioso ricco in carcere” http://www.regione.toscana.it/cld/manifestazioni/convegno1996/violant.htm).
      Propugnare vie di ingiustizia rende lo stato piu’ ingiusto e amplifica i problemi totali. Se lo stato lascia indisturbati gli evasori deprime stato sociale e servizi, aumenta tasse indirette, tariffe e tasse locali, con un aggravamento di costi della comunita’ e un peggioramento del disagio del vivere.
      Un evasore come Previti, che ha dovuto aspettare 14 anni per veder terminare un iter giudiziale contrastato, altrove sarebbe in carcere da anni solo per evasione aggravata. Figuriamoci B, che e’ il maestro dell’evasione. Questi soggetti l’evasione fiscal-politica l’hanno praticata da sempre! Ma non per odio a uno schieramento politico, bensi’ per odio allo stato! E dovrebbero essere, per cio’ stesso, esclusi da ogni candidatura. Se non si vuol carcerare gli evasori, rendiamoli almeno non candidabili a cariche pubbliche! Come puo’ dire a me di pagare le tasse uno che le evade? E’ in controtendenza!
      I risultati di questa politica sciagurata li vediamo: in 5 anni di governo i risparmi delle famiglie italiane sono diminuiti del 40%, ci stiamo mangiando quello che avevamo messo da parte. Non e’ cosi’ che funziona un paese sano!

      Viviana