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Quando Lenin leggeva De Amicis
di Armando Torno
Nella libreria tutto Platone e «Il tramonto dell’ Occidente» di Spengler
La località Gorki, a una cinquantina di chilometri a Sud-Est di Mosca, deve il suo nome - un diminutivo - alla zona collinare, giacché gora nelle lingue slave significa cima, montagna. Noto alle cronache già nel XIII secolo, il luogo divenne celebre agli inizi del ’ 900 quando la moglie dell’ allora sindaco di Mosca, donna Morozova-Reinbot, organizzò una fattoria modello e costruì una magione di campagna senza badare a spese. Fu proprio qui che, dopo la rivoluzione del 1917, Lenin scelse la sua dacia. La permanenza divenne via via più frequente con l’ aggravarsi del suo stato di salute; ivi morì, dopo otto mesi ininterrotti di soggiorno, nel gennaio 1924. Ora, forse per ironia della storia, nella tenuta di Gorki si possono rivedere come in un sortilegio tutti gli ambienti in cui visse.
Dopo che Eltsin ordinò di far sparire le tracce del rivoluzionario dal Cremlino, tutto quello che c’ era è stato portato qui, compresi interruttori e lampadari originali. È conservata anche la sua Rolls Royce con una modifica alle ruote posteriori, sostituite con dei cingolati per viaggiare velocemente nella neve. Le cose di Mosca si sono così unite a quelle di campagna (42 mila pezzi autentici) e ora, per la prima volta, la biblioteca di Lenin è stato ricostruita. Di più: Alexandr Savinov, il conservatore e bibliotecario, ci ricorda che sono emersi anche quei libri che non figuravano nell’ elenco stilato nel 1961, mutilato da numerose censure (conteneva solo 8.450 volumi dei 10.686), e si sono scoperti appunti e chiose inedite. Ma vediamo le cose con ordine, cominciando da un reparto che è una vera novità: lo scaffale italiano.
È stato ricostruito da poco. Si nota subito una Divina Commedia (3 volumi, Voghera, Giani, 1842), uno dei primi acquisti di Lenin, fatto forse per la sorella Anna che era italianista: la teneva sempre con sé, quasi a imitazione di Cechov che portava Dante anche durante i viaggi; ecco poi De Amicis, Nel regno dell’ amore (Treves, 1907), e Manzoni, I promessi sposi, ma in traduzione francese (editi da Paul Carrara, 1877). Ci sono, tra gli altri, le poesie di Ada Negri Tempeste (Treves, 1896), quindi Malombra di Fogazzaro (Galli, 1896) e numerosi opuscoli politici. Tra essi ricordiamo quello della Libreria Editrice del Pc d’ Italia (Roma, 1921) La questione italiana al Terzo Congresso della Internazionale Comunista e le Conversazioni socialiste di Paolo Orano (Tipografia del Lavoro, 1906).
Quest’ ultimo è dedicato ad Antonio Labriola, ma il suo autore confluirà poi nel fascismo, diventando nel 1937 con Gli ebrei in Italia un riferimento per antisemitismo e leggi razziali. La biblioteca di Lenin - era, tra l’ altro, abbonato al «Corriere della Sera» - riguarda ovviamente gli anni dal 1917 al 1924, dal suo rientro in Russia alla morte. È stata divisa da quella della moglie, Nadezhda Krupskaja, una pedagogista che possedeva i più importanti libri russi per i bambini con difficoltà.
Dopo quest’ ultima sistemazione è possibile osservare passioni e inclinazioni del rivoluzionario. Nell’ ufficio del Cremlino, qui ricostruito anche con i telefoni, c’ erano testi pratici (trattati sul capitalismo, sull’ agricoltura) ma anche uno scaffale di classici: tutto Dostoevskij, tutto Tolstoj (con i volumi di critica), tutto Cechov, l’ autore più a portata di mano, l’ adorato.
Di Gogol’ , Herzen, Pushkin c’ è qualcosa, così come sono presenti poeti minori quali Fet o le pièces teatrali di Ostrovskij. Fornito il reparto di enciclopedie - almeno tre - zeppe di appunti (uno appena scoperto riguarda i giacimenti di petrolio) e, chissà perché, accanto ad esse il libro di Wells Russia nell’ ombra, gremito di note e sottolineature. Poi un intero scaffale con i testi degli emigrati e delle guardie bianche: sono i libri che criticavano Lenin, il socialismo e il suo governo.
Ora si possono consultare, ma il comunismo non rimase scalfito da opere come quella del principe Trubetskoj Il senso della vita. Ci sono inoltre le sue ossessioni. A cominciare dalla filosofia, dove si trovano quattro edizioni de Il tramonto dell’ Occidente di Oswald Spengler, che comunque Lenin leggeva nella traduzione russa del 1923. Dello stesso autore c’ è Ascesa e declino della civiltà delle macchine, con foglietti che dovranno ancora essere decifrati.
Poi Gustav Le Bon, Psicologia delle folle, del quale abbiamo notato la prima edizione del 1895: è un testo-chiave per il futuro rivoluzionario, e sarà meditato anche da Mussolini e da Hitler. Si prosegue con le opere di Buffon e Darwin, con Marx (ci sono gli scritti sino allora editi, in tedesco e russo), con tutto Platone, con le opere complete di Feuerbach, con una serie interminabile di testi critici su Rousseau e Kant, ma di essi nemmeno un opuscolo.
Non manca però Hegel: la Fenomenologia dello Spirito nell’ edizione di San Pietroburgo del 1913 e la Scienza della logica in quella di Pietrogrado del 1916. Poi i cari materialisti. Innanzitutto il prete Meslier che, pur facendo il parroco, alla sera confessava ai suoi fogli che il cristianesimo era un imbroglio colossale: Lenin possedeva un’ edizione del Testamento (l’ unica opera dell’ apostata) nella traduzione russa del 1919; ecco poi la Bibbia dell’ ateismo, vale a dire Il sistema della natura di d’ Holbach, subito seguita da opere di Helvetius, Kropotkin, Labriola.
C’ è, per la verità, anche un reparto sulla Bibbia: accanto al testo sacro una serie di scritti sull’ ateismo e, soprattutto, sulla figura dell’ apostolo Paolo, da Lenin ritenuto - lo si evince dai titoli - il vero fondatore della Chiesa. Sulla piccola scrivania c’ è un piano per l’ elettrificazione della Russia, appena ritrovato, risalente al 1922; sul tavolino della camera dove è morto, invece, vi sono le ultime letture: Jack London, Amore per la vita; Gorkij, Le mie università; un calendario del 1924 con la dedica di un anonimo ammiratore «Al caro Lenin» (uno è appeso al muro con la foto dell’ amato Cechov), la Conferenza n.13 del Partito dei bolscevichi. Poi gli occhiali a pince-nez e il tagliacarte. Il catalogo del 1961 fu compilato senza rimuovere le censure ordinate da Stalin.
Il piccolo padre fece togliere, perché diseducativi per chi li avesse anche soltanto visti, i libri di Trotzkij, di Bucharin, di Rykov. Anzi, di Trotzkij si salvò un’ edizione in tedesco sulla rivoluzione di ottobre, forse perché non riconosciuta dalla polizia. Certo, andò meglio alla raccolta di Lenin che ad altre: Efimov, il vignettista per quasi mezzo secolo della «Pravda» (è vivo, ha 108 anni, sta benissimo ma soprattutto è lucido), confidò a chi scrive che si mangiò quattro pagine di prefazione del suo libro firmate da Trotzkij. Non erano gustose, ma gli evitarono alcuni problemi.